di:
Tomaso Perani
12 agosto 1296 - 26 agosto 1346
31 dicembre 1330 - 21 ottobre 1333
Brescia (31 dicembre 1330), Bergamo (5 febbraio 1331), Cremona (26 gennaio 1331), Como (1° febbraio 1331), Pavia, Novara, Vercelli, Parma (2° marzo 1331), Reggio (14 aprile 1331), Mantova, Modena (23 aprile 1331), Lucca (1° marzo 1331) e Milano (8 febbraio 1331).
Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, era figlio primogenito dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Era quindi discendente della famiglia comitale di Lussemburgo che, sebbene ricompresa nei limiti territoriali dell’impero, dalla fine del XIII secolo stava entrando sempre più nell’orbita di influenza del regno di Francia.
Giovanni di Boemia ottenne il titolo di Dominus perpetuus delle città che gli si sottomisero.
chiamato dai bresciani che, spossati dalle lotte di fazione che dilaniavano la vita della città, cercavano qualcuno in grado di promuovere una pacificazione generale e che li potesse difendere dall’espansionismo scaligero. Per le altre città, a partire da Bergamo, vennero concordate delle dedizioni. Il grande e rapido successo di Giovanni fu dovuto in parte ciò all’entusiasmo che animò le popolazioni italiane stanche delle continue guerre e in parte dall’abilità dei signori lombardi che decisero di sfruttare la spinta emotiva per mantenersi al potere. Esempio di questa situazione fu la dedizione Milano concordata con Azzone Visconti che però avvenne sub certis pactis (probabilmente la temporaneità del dominio). Per Como una volta fimati gli accordi Franchino Rusca si oppose all’effettiva entrata in città del re, anche se alla fine lo accolse formalmente come signore. La dedizione di Cremona al re di Boemia fu trattata dal ghibellino Ponzino Ponzone mentre l’ingresso a Pavia fu dovuto all’appoggio dei Beccaria. La dominanzione di Giovanni di Boemia su Vercelli non è sicura in quanto attestata solo da Galvano Fiamma. Per quanto riguarda Lucca i signore delle città, Gerardino Spinola, inviò ambasciatori presso Giovanni per ottenere protezione contro l’espansionismo di Firenze. La signoria su Parma fu offerta a Giovanni dai Rossi, dopo contrattazioni avvenute a Brescia. Il 5 marzo venne deliberata la consegna della città al re già entrato a Parma da parte di una commissione di sindaci eletti per l’occasione. Dopo trattative con i Pio, Giovanni ottenne anche la signoria si Modena. In aprile, al momento della sua effettiva entrata in città gli vennero consegnate le chiavi e venne accolto dalla folla festante. Il 23 aprile ci fu la fomale dedizione della città al re.
La spedizione italiana di Giovanni di Boemia era priva di qualsiasi legittimità, nonostante il sovrano avesse cercato di presentarsi inizialmente come emissario dell’imperatore e successivamente cercando di intavolare relazioni con il legato pontificio in Italia. Falliti entrambi i tentativi, Giovanni formalmente fondò la legittimittà della sua signoria sul riconoscimento da parte dei consigli cittadini proponendosi come pacificatore. In realtà puntò sul rapporto con le fazioni o i signori già a capo delle città. Una parte del suo prestigio era senza dubbio dovuta al prestigio e alla memoria del padre, l’imperatore Enrico VII.
Quella di Giovanni fu una signoria individuale pluricittadina. Per mantenere un più stretto controllo sulle città del suo dominio pose in onuna di esse un vicario da lui nominato. A Lucca e Bergamo venne delegata al signore la facoltà di nominare i magistrati del comune. Tuttavia, vista la precaria legittimità della sua spedizione, dovette più che altro riconoscere il titolo vicariale a coloro che già dominavano i centri a lui formalmente sottomessi. Fu questo il caso di Milano con Azzone Visconti, Como con Franchino Rusca, Cremona con Ponzino Ponzone. Lo stesso avvenne anche a Pavia, Lucca, Parma, Modena e Reggio. Il vicariato su Novara venne probabilmente affidato ad Azzone Visconti e allo zio Giovanni, vescovo della città.
In alcune città come Lucca, Modena e Reggio, impose in aggiunta un ufficiale di provata fedeltà, soprattutto per assecondare le richieste del popolo che chiedeva di porre dei limiti allo strapotere dei vicari-signori. Queste iniziative ebbero però scarso successo perchè Giovanni non poteva alienarsi le simpatie delle famiglie dominanti senza andare incontro alla disgregazione del suo dominio.
Presentandosi come pacificatore delle lotte di fazione impose in tutte le città il rientro dei fuoriusciti, sucitando però grandi scontenti come a Brescia e a Pavia. Unica eccezione fu Milano dove Azzone si oppose al rientro dei Torriani.
Nonostante la sua effettiva capacità di azione all’interno delle singole realtà del suo dominio fosse fortemente limitata, cercò di prendere provvedimenti in materia economica a favore dei ceti produttivo e mercantile come a Bergamo e a Parma, dove cercò, seppur con scarso successo, di ridurre il peso della pressione fiscale. Cercò inoltre di favorire la circolazione dei mercanti all’interno del suo dominio e si impegnò per garantire la sicurezza degli scambi sul Po.
Inoltre, al momento dell’arrivo di Giovanni a Bergamo, vennero promulgati nuovi statuti. Questa iniziativa non fu promossa dal re di Boemia ma direttamente dal popolo della città orobica che era deciso a sfruttare la figura del sovrano per limitare le violenze delle maggiori famiglie aristocratiche come i Suardi e i Colleoni.
Essendo Giovanni di Boemia soprattutto un importante sovrano europeo, prima che un signore delle città italiane, la sua politica di alleanze si sviluppò su un duplice piano. Sul piano locale infatti cercò di stringere alleanza con le famiglie e i signori che dominavano i centri dell’Italia centro settentrionale per garantire una maggiore stabilità al proprio dominio.
Contemporaneamente però dedicò importanti risorse per stringere un’alleanza con i grandi poteri universali. Già prima della sua venuta in Italia, Giovanni si era speso per una mediazione tra il papa e l’imperatore. Fallito questo tentativo, negli anni successivi mantenne una posizione di forte ambiguità cercando alternativamente la legittimazione del pontefice o di Ludovico il Bavaro.
Nell’aprile del 1331 Giovanni di Boemia incontrò il legato pontificio Bertrando del Poggetto a Castelfranco. In questa occasione furono raggiunti da emissari delle città dominate da Giovanni ma anche dalle città toscane, della marca di Ancona e di Roberto d’Angiò. L’incontro privato tra il re di Boemia e il legato pontificio si concluse con un accordo di cui però non furono resi noti i termini. Probabilmente si trattò la cessione a Bertrando delle città emiliane soggette a Giovanni. Inoltre il legato attraverso questo nuovo legame puntava ad infliggere un duro colpo alle signorie lombarde. Il re vedeva invece in questi accordi un forte valore legittimante, visto che fino ad ora la sua azione non aveva avuto alcuna legittimità formale. Tuttavia questa nuova alleanza tra il re di Boemia e la chiesa creò grandi scontenti in entrambi gli schieramenti. I Fiorentini temendo che la nuova alleanza portasse alla sottomissione della toscana cercarono accordi con l’Angiò a Napoli. Anche i Gonzaga, fino ad ora alleati di Giovanni, nell’agosto del 1331, strinsero un’alleanza difensiva con Scaligeri ed Estensi in funzione anti-papale.
L’atteggiamento del papa in seguito ai negoziati si mantenne comunque molto freddo ed attendista. Nel giugno 1331 concedette però al legato pontificio la facoltà di rimettere l’interdetto alle città soggette al re in cambio dell’insdiamento dei vescovi legittimi e della restituzione dei beni loro sottratti.
Poco dopo però, tornato in Germania nell’estate del 1331, Giovanni si incontrò ripetutamente con l’imperatore con il quale raggiunse un accordo circa le terre italiane. Si convenne infatti che il re di Boemia avrebbe tenuto le città italiane in pegno in attesa della corresponsione da parte di Ludovico di 120000 fiorini, inoltre non avrebbe dovuto effettuare ulteriori annesioni territoriali ai danni dei domini imperiali.
Particolarmente importante per Giovanni fu anche il rapporto con il re di Francia presso la corte del quale trascorse diversi mesi tra il 1331 e il 1332. Grazie all’intercessione di questi il re di Boemia riuscì a riallacciare i rapporti con il papa, che erano tornati tesi dopo gli accordi stretti tra Giovanni e Ludovico.
Una simile politica, così altalenante, ebbe come unico effetto quello di alienare al sovrano boemo i favori di tutte le parti in causa, soprattutto degli attori nello scacchiere italiano. Nel 1332 infatti vide la luce un’inedita alleanza tra le forze ghibelline, tra cui quelle del Visconti e degli Scaligeri, e i guelfi di Firenze e del Regno che portarono alla definitiva sconfitta di Giovanni.
Su un piano intermedio si collocavano le grandi famiglie dell’aristocrazia feudale italiana come i marchesi di Monferrato, gli Aldobrandeschi, i Savoia. Se le prime due famiglie si schierarono sempre al fianco del boemo, i Savoia ebbero un’atteggimento più prudente. Ludovico di Savoia infatti rimase nella stretta cerchia dei fedelissimi di Giovanni e del figlio Carlo, fino a quando questi non entrarono in contrasto con Azzone con il quale il Savoia era imparentato. Filippo di Acaia fu invece un sostenitore della spedizione del re al quale offri non solo una sontuosa accoglienza, ma anche il passaggio e il mantenimento delle truppe boeme all’interno dei suoi domini.
In generale Giovanni cercò di presentarsi come favorevole alla chiesa, soprattutto dopo l’estate del 1331 quando il suo migliore alleato fu Bertrando del Poggetto. In particolare, a Cremona entra in città insieme al vescovo e a diversi religiosi e fa catturare il vescovo creato dall’antipapa Niccolo V e lo fa consegnare al legato pontificio a piacenza. Impose inoltre la restituzione di tutti i beni e i diritti usurpati alla chiesa cremonese.
Giovanni non impose gradi cambiamenti alle città da lui dominate. Si ricorda però che a Bergamo diede inizio alla costruzione di una fortezza al cui interno però non potevano essere ammessi i bergamaschi.
In tutte le città su cui estese il suo dominio Giovanni organizzò grandi feste, come quelle per il primo anno di dominazione che ebbero luogo a Parma nel 1332 e che avevano lo scopo di celebrare la grandezza del signore.
Con la dedizione di Cremona ebbe inizio anche il conio di monete con l’effige del re, del valore di un denaro imperiale. Una simile iniziativa venne intrapresa anche a Parma, città che divenne il fulcro della dominazione boema in italia.
Proponendosi in veste di pacificatore Giovanni di Boemia fu in grado di suscitare una larga approvazione iniziale. Tuttavia aveva dato vita a grandi aspettative sul suo operato che se disattese avrebbero potuto portare a grandi delusioni e ad allontanare il favore della popolazione dal re. Questo infatti avvenne in un primo tempo a Brescia dove riammise i ghibellini fuoriusciti e scese a patti con gli scaligeri, suscitando malcontento nella popolazione che temeva l’avvento dei veronesi in città. Sccessivamente anche a Bergamo, dove fu appoggiato dai Suardi ghibellini e non contrastato dai Colleoni, la cancellazione di alcuni privilegi commerciali alla fine di febbraio del 1331 ebbe gravi conseguenze sul consenso verso il re che da quel momento iniziò a calare bruscamente. A Modena e a Reggio il popolo si oppose al nuovo assetto proposto dal re che sostanzialmente lasciava inalterata la situazione precedente in cui il potere era detenuto rispettivamente dai Pio e dai Manfredi e Fogliani. Tale assetto di potere infatti pregiudicava l’attuazione di una vera politica di pacificazione a cui il popolo aspirava e di cui Giovanni si era fatto promotore. Tuttavia il re di Boemia non poteva scontentare i precedenti signori che gli permettevano di mantere il dominio, seppur formale, sulle città.
Il 27 aprile 1332 venne i signori del nord Italia ruppero gli indugi e formarono una lega anti boema capeggiata da Azzone Visconti, Franchino Rusca, Luigi Gonzaga, gli Scaligeri, gli Estensi e i Tornielli a cui si aggiunsero poi Firenze e ROberto d’Angiò.
La dominazione di Giovanni di Boemia in Italia fu sempre caratterizzata da una estrema debolezza e per quanto nel suo complesso durò più di due anni rimase sempre una costruzione effimera. L’uso di nominare vicari delle città diminate i signori che già le possedevano si dimostrò una mossa suicida sul lungo periodo, anche se appare essere stata l’unica praticabile dal re che si presentava in Italia senza alcuna legittimità. Già nell’estate del 1331 l’attività di Giovanni aveva suscitato grandi malcontenti suprattutto a causa dell’ambiguità del sovrano che attraverso un’intensa azione diplomatica cercava il consenso dell’imperatore e del legato pontificio in Italia. Nella primavera del 1332 il suo dominio iniziò a sgretolarsi quando i maggiori signori lombardi si coalizzarono tra loro e con Firenze e Roberto d’Angiò in funzione antiboema. Da questo momento in poi, nonostante l’effimera vittoria di Carlo, figlio di Giovanni, contro i collegati a Ferrara, si assistette ad uno stillicidio di defezione nello schieramento boemo. Azzone Visconti agiva ormai in piena autonomia e si accordò con gli Scaligeri per la spartizione delle terre di Giovanni: ai Veronesi venne assegnata Brescia, mentre il Visconti conquistò Bergamo alla fine del 1332. Anche Pavia era andata perduta e Vercelli e Como erano ritornate autonome sotto i Tornielli e il Rusca.
Vista la gravità della situazione, complicata dalla caduta di Bertrando del Poggetto, ultimo suo alleato nel nord Italia, Giovanni decise di tornare in Boemia nell’autunno del 1333. Lasciava suoi vicari i Rossi a Parma, i Pio a Modena e i Manfredi e i Fogliani a Reggio. Già l’anno successivo però quello che rimaneva dei suoi domini veniva conquistato dagli avversari, fino alla capitolazione di Lucca in mano fiorentina.
C. Dumontel, L'impresa italiana di Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, Cuneo 1952.