di:
Valentina Dell'Aprovitola
5 febbraio 1321 – 19 marzo 1372
1337-1372
la principale preoccupazione di G. fu quella di ristabilire il controllo sui centri occupati dagli antenati aleramici e paleologi, unita ad un progetto di dominio che travalicava i tradizionali confini geografici monferrini e si spingeva fino alle porte di Milano. Per questo, numerosi furono gli scontri con gli Angioini per il controllo del Piemonte meridionale, e con i Visconti, per il controllo del Piemonte orientale e di alcuni territori alla destra del Po. Due furono i centri che più di altri catturarono l’interesse di G: Chieri e Alessandria, a lungo contese e assediate ma mai conquistate. L’ambizioso progetto di rendere il marchesato un’entità sovraregionale rimase incompiuto.
Votato a progetti di grandi dimensioni, G. non abbandonò neppure l’idea di conquista dell’impero bizantino, sui cui vantava dei diritti ereditari. Pur non essendosi mai concretizzato, tale progetto rimase tra gli intenti del marchese, tanto da essere citato nelle sue volontà testamentarie.
vd. scheda Paleologi di Monferrato
nel 1339 G. fu dichiarato governatore e difensore della città di Asti da parte del consiglio del comune. Fu riconosciuto come dominus, con tempi e durate molto differenti, dai Comuni di Ivrea, Asti, Alba, Casale, Novara, Vercelli, Mondovì, Cherasco, Cuneo, Chivasso.
dopo essere stato designato dal padre Teodoro come suo successore, Giovanni iniziò ad occuparsi del governo del marchesato già dal 1337, nonostante il padre fosse ancora in vita. I primi atti di governo riguardarono investiture a vassalli e testimoniano l’inserimento di G. nella vita politica monferrina. Dopo la morte del padre, avvenuta il 21 aprile 1338, G. divenne marchese ed ereditò i domini paterni.
nel 1339 il consiglio del comune di Asti dichiarò il marchese «governator et defensor» della città per quattro anni, assegnandogli il pieno potere di amministrare la giustizia e conferendogli uno stipendio annuo di 500 lire astigiane. G. nel 1355 accompagnò Carlo IV di Lussemburgo durante il viaggio a Roma, dove Carlo fu incoronato imperatore; durante il viaggio di ritorno, a Pisa, G. represse una violenta rivolta capitanata dalla famiglia dei Gambacorta e, probabilmente come ricompensa per questa brillante azione, Carlo IV concesse, oltre alla conferma di diverse località precedentemente appartenute ai Monferrato, il vicariato imperiale di Pavia a G. Sono molte le città e le località che, spontaneamente o meno, si diedero al marchese: tra queste dobbiamo ricordare la dedizione di Ivrea nel 1344 e nel 1346; quella di Casale nel 1351, in accordo con la fazione dei Cane; quella di Asti nel 1356. Nello stesso anno prestarono omaggio Mondovì, Alba, Cherasco e alcune terre minori dell’astigiano.
obiettivo cardine di tutta la politica di G. fu il recupero delle località in precedenza appartenute alla dinastia degli Aleramici del Monferrato. Nonostante le circoscritte risorse economiche, G. volle dare vita ad un progetto di espansione territoriale sovradimensionato alle effettive possibilità. Sfruttò abilmente le discordie tra i Signori dei territori confinanti e diede vita ad una serie di campagne belliche che però solo in alcuni casi si dimostrarono efficaci, tanto che possiamo definire il suo progetto politico come contrassegnato da ambizioni e progetti incompiuti.
Per condurre le sue campagne militari G. ricorse spesso all’assoldamento di mercenari stranieri: la compagnia di ventura del condottiero tedesco Malerba fu la prima ad essere assoldata, nel 1339. Seguirono la Compagnia bianca, composta da circa 2000 inglesi al comando del tedesco Alberto Sterz, nel 1361, e la compagnia guidata dal condottiero francese Robin du Pin, sempre nel 1361. Ancora, nel 1369, G. arruolò la compagnia dell’inglese Ugo detto il Dispensiere.
La scelta di assoldare compagnie esterne, unita alle continue campagne militari condotte per la conquista del territorio, portò il marchesato ad una grave crisi finanziaria, per superare la quale G. ricorse spesso a prestiti, impegnando le sue proprietà.
G. affiancò alle tradizionali zecche di Chivasso e di Moncalvo anche quella di Asti, e coniò diverse monete, tra cui mezzi grossi e bianchetti, questi ultimi recanti l’effigie di S. Secondo, patrono di Asti, che al tempo di G. fu la vera capitale del marchesato.
Più concentrato sulla politica estera che su quella interna, G. non alterò la struttura governativa costituita dai suoi predecessori.
il 1 marzo 1325, quando G. aveva da poco compiuto 4 anni, il padre Teodoro I stipulò un accordo matrimoniale con Filippo I principe di Acaia: l’accordo prevedeva che G. avrebbe sposato una delle figlie di Filippo. L’accordo però, a causa di rivolgimenti politici, venne presto dimenticato.
Il 4 febbraio 1338 G. sposò la contessa Cecilia d’Astarac, figlia di Bernardo VII di Comminges; la donna, nipote del cardinale Gian Raimondo di Tolosa, nonostante fosse vedova e anziana, portò in dote la cospicua somma di 40.000 fiorini per i quali, però, G. dovette offrire in garanzia tre tra le più importanti località monferrine: Chivasso, Mombello e Moncalvo.
Rimasto vedovo e senza figli, il marchese, consigliato da una commissione cardinalizia ad Avignone, decise di prendere in moglie Elisabetta, figlia del re di Maiorca e nipote del re di Aragona; il contratto matrimoniale, stipulato il 12 dicembre 1358, prevedeva che Elisabetta portasse in dote 70.000 fiorini e che G. non interferisse con la rinuncia al trono di Maiorca cui la moglie si era impegnata. Nel 1363 peraltro Giacomo di Maiorca dichiarò G. erede del suo regno. Da questo matrimonio nacquero 5 figli: Secondo Ottone, noto come Secondotto, nel 1360; Giovanni, nel 1361; Teodoro, verosimilmente nel 1362; Guglielmo, intorno al 1363-1364 e Margherita nel 1365.
Non è possibile delineare una precisa ossatura di alleanze, dal momento che ad ogni mutazione del clima politico corrispose un mutamento dei sistemi di alleanze di G. Tuttavia, possiamo notare alcuni nuclei più stabili di alleanze e di rivalità, indicando come alleati il marchese di Saluzzo Tommaso II, con il quale G. tentò di occupare Caluso e Chieri nel 1338 e il cugino Ottone di Brunswick, sempre al fianco del Paleologo e così fedele da essere designato, in occasione della stesura del testamento di G., tutore dei suoi figli.
Gli scontri tra i Monferrato e gli Acaia si basavano sulle reciproche pretese sul Canavese e un primo tentativo di pacificazione fu proposto da Aimone di Savoia: l’accordo prevedeva il possesso da parte del principe di Acaia di metà della città di Chieri, come feudo del re, ottenuto in cambio della cessione ad Aimone di metà di Ivrea; lo stesso Aimone avrebbe poi investito G. della parte ottenuta in qualità di suo vassallo. L’accordo però salto sia perché nel 1339 Chieri si diede agli Angioini, sia perché G. si rifiutò di occupare solo in parte una città che nel passato i suoi antenati avevano dominato per intero. Proseguirono così le discordie tra Monferrato e Acaia. Numerose furono le tregue firmate dai due contendenti, e altrettanto numerose furono le occasioni in cui queste tregue non vennero rispettate.
Dopo essersi distinto nella battaglia di Parabiago del 1339, dando un fondamentale contributo alla vittoria contro le truppe mercenarie di Lodrisio Visconti, rimase per alcuni anni in buoni rapporti con i Visconti: un iniziale segno di debolezza deve però essere visto nella cessione della città di Asti a Luchino Visconti, cui fu indotto nell’agosto del 1342. Nel 1346 presenziò, a Milano, al battesimo dei figli di Luchino Visconti, e nello stesso anno fu costituita una lega contro i Savoia e gli Acaia composta da G., Tommaso di Saluzzo e i Visconti. La lega ottenne buoni risultati nel monregalese ma non riuscì ad occupare Chieri. L’alleanza Paleologi-Visconti diede i frutti migliori nel 1347, quando furono occupate congiuntamente Bra, Alba e Valenza Po. L’ultima operazione che vide la comunione di intenti tra G. e Luchino fu l’occupazione, nel 1348, di Cuneo. Successivamente, timorosi delle reciproche ambizioni territoriali, i due ruppero l’alleanza. Giovanni infatti mirava anche alla conquista di centri ora viscontei (Alessandria, Tortona, Vercelli, Novara, Pavia) che in precedenza erano appartenuti alla dominazione dei Monferrato mentre i Visconti intendevano impadronirsi di Pavia, cosa che avvenne il 15 novembre 1359. Gli scontri proseguirono anche alla morte di Luchino e di Giovanni Visconti, e si interruppero momentaneamente solo grazie alla pace del 1364, promossa dal legato papale, l’abate di Cluny: in essa veniva stabilito che G. cedesse ai Visconti i possedimenti in territorio pavese in cambio dei possedimenti viscontei nell’astigiano. Coronava la pace l’accordo matrimoniale tra il figlio di G., Secondotto, e la figlia di Bernabò Visconti, Caterina. Il breve periodo di pace tra le due signorie fu interrotto già a partire dal 1369, quando G., dopo aver trattato con Ugo il Dispensiere, in cambio di 16.000 fiorini ottenne Alba e Mondovì, terre dei Visconti, mentre i Visconti occuparono Valenza e Casale.
Rivalità evidenti vi furono con gli Angioini, relativamente al dominio sul Piemonte meridionale. In particolare, dopo la morte di Roberto d’Angiò, nel gennaio del 1343, il Paleologo diede inizio ad una serie di incursioni nel territorio chierese, senza tuttavia riuscire a conquistarne il centro maggiore. Il siniscalco per Piemonte nominato dalla regina Giovanna d’Angiò, Reforza d’Agoult, assediò nel marzo del 1345 i fuoriusciti di Chieri, rifugiati nel castello di Gamenario, i cui abitanti godevano della protezione del marchese. La risposta di G. non si fece attendere; la battaglia di Gamenario, brillantemente vinta da G. nell'aprile 1345, rappresentò il preludio al tracollo dell’egemonia angioina in Piemonte. La campagna procurò al marchese, più che reali vantaggi territoriali, un grandissimo prestigio, grazie alla fama di valoroso condottiero che il Paleologo si procurò sul campo.
I rapporti con l’imperatore Carlo IV rimasero sempre buoni e fruttarono il vicariato imperiale sulla città di Pavia e una serie di diplomi imperiali nei quali si confermavano concessioni elargite in passato ai Marchesi di Monferrato.
grazie al prestigio ottenuto negli anni precedenti, nel 1360 G. fu chiamato come arbitro tra la Repubblica di Genova e Pietro d’Aragona, per risolvere i contrasti in Sardegna e Corsica.
buoni i rapporti con il papato, in particolare con papa Innocenzo VI, confermati anche dal contributo di 14.500 fiorini stanziato dal papa per il pagamento della Compagnia bianca comandata da Alberto Sterz, assoldata dal marchese per compiere diverse offensive in territorio sabaudo. Legato al monastero di Grazzano, G. confermò nel 1351 alcuni privilegi già concessi dai suoi predecessori all’abbazia. Nel suo testamento, redatto il 9 marzo 1372, a pochi giorni dalla morte, leggiamo una volontà di pace dopo un’esistenza votata allo scontro e alla guerra: G. dispose infatti la costruzione di un monastero in valle Stura, il restauro dei beni ecclesiastici in Monferrato, l’assegnazione a S. Giovanni di Rodi di 100 combattenti e la restituzione delle terre occupate al vescovo di Vercelli.
subito dopo la dedizione di Casale del 1351, ottenuta grazie all’appoggio del sindaco Giovanni Cane e del podestà Giacomino Bianco, il marchese avviò la costruzione del castello cittadino.
il cronista contemporaneo Pietro Azario lo ricorda come «probus, sapiens, moderatus et formosus nec non quietis impatiens». Il suo valore in guerra e le sue incessanti lotte contro i principi di Acaia, i Visconti e gli Angioini gli valsero la fama di uomo audace, coraggioso e abile nell’uso delle armi, «taliter quod Hector ».
dopo aver superato una prima grave malattia nel 1344, che lo preoccupò al punto da designare un erede, individuato nella figura di Amedeo VI di Savoia – il marchese a quel tempo era ancora senza figli, nati successivamente dal secondo matrimonio con la principessa Elisabetta di Maiorca – governò il marchesato fino al 19 marzo 1372, giorno in cui morì a Volpiano. Nel testamento, stilato qualche settimana prima della morte, G. indicò come suo erede universale il figlio primogenito Secondotto.