di:
Valentina Dell'Aprovitola
1240 circa–1292
1253-1292
proseguendo i progetti politici dei suoi predecessori, inizialmente l’interesse principale del marchese fu la supremazia sul territorio del Piemonte meridionale. Le città di Alessandria ed Asti furono obiettivo cardine delle conquiste monferrine. Riuscì ad estendere il suo dominio oltre Milano e conferire un’estensione al marchesato che i suoi successori cercheranno di ripristinare, senza mai riuscirci del tutto. G. riuscì a dominare, pur senza continuità e spesso per breve tempo, le città di Asti, Alba, Alessandria, Torino, Ivrea, Vercelli, Novara, Pavia, Como, Cremona, Milano.
vd. scheda fam. Monferrato. Figlio del Marchese Bonifacio II e di Margherita di Savoia.
il 27 settembre 1260 i fuoriusciti di Alessandria chiesero aiuto a G. per rientrare in città, promettendogli in cambio il titolo ereditario di Capitano e Signore. Questo accordo rappresentò il primo esperimento di signoria personale cittadina del marchese. Dopo aver preso il potere nominò suo podestà in città lo zio Bastardino. 1266: ottenne la piena signoria su Ivrea. 1272: Alfonso X di Castiglia nominò G. suo vicario per la Lombardia. 1277: nominato difensore e tutore della Chiesa eporediese. 1278: in primavera fu accolto come Signore e Capitano di guerra in Vercelli per dieci anni; a maggio alcune trattative con Alessandria terminarono con il conferimento della Capitania a G., con condizioni estremamente favorevoli per il marchese; sempre nel mese di maggio G. divenne capitano di Tortona per cinque anni, e uno dei suoi compiti sarebbe stato quello di difendere, insieme al vescovo, anche le terre del vescovado; in luglio divenne Capitano di Casale Monferrato, con poteri piuttosto limitati; nello stesso mese una coalizione composta dai comuni di Milano, Pavia, Vercelli, Novara, Asti, Alessandria, Alba, Tortona, Torino, Genova, e i fuoriusciti di Brescia, Lodi, Cremona, Como, Verona e Mantova nominò G. Capitano di Guerra per cinque anni; alla fine di luglio G. fu investito della Capitania di Pavia; nell’agosto divenne Capitano del Popolo di Milano mentre nel dicembre il Consiglio Generale del Comune nominò G. “dominus civitatis et districtus Mediolani” per dieci anni, con pieni poteri. Si concludeva così l’anno più importante della vita politica del marchese. Nel 1280 il Consiglio del Popolo di Alessandria riconobbe G. “dominus generalis”; nel 1282 fu proclamato Capitano a Como e Signore a Cremona; dopo trattative iniziate sul finire del 1282, nel gennaio del 1283 G. ottenne la signoria ereditaria su Alba.
designato nel 1253 come erede al marchesato dal padre Bonifacio – nel testamento che egli redasse il giorno della sua morte – non prese immediatamente parte alla vita politica, a causa essenzialmente della sua giovane età. Fu posto sotto la tutela della madre Margherita fino al 1257 quando, raggiunta la maggiore età, iniziò ad emanare i suoi primi atti di governo.
trattandosi di uno dei primi esperimenti di signoria pluricittadina, in questo specifico caso le legittimazioni al potere di G. coincidono esattamente con i titoli formali di cui fu investito.
la sua fu essenzialmente una signoria di tipo militare, senza particolari innovazioni dal punto di vista istituzionale. Le città assoggettate o che si erano spontaneamente date al marchese venivano governate da un podestà scelto da G., spesso appartenente alla sua diretta parentela. Pur essendo spesso impegnato in una frenetica politica espansionistica, G. non trascurò le terre del marchesato, impegnandosi particolarmente in questioni riguardanti confini e nomine di castellani. G. rivolse il suo impegno in particolare nella creazione di un governo stabile, che superasse le lotte di fazione che in quel tempo dilaniavano i Comuni. Pur non essendo riuscito nel suo obiettivo di dar vita ad un organismo robusto e persistente, a causa di “fondamenta troppo malferme” (A.A. Settia), il modello da lui creato fu da esempio per i signori successivi.
all’interno di un quadro di collaborazioni piuttosto variabile è possibile identificare due precisi assi di alleanze. Inizialmente G., interessato alla conquista di Alessandria e Asti, si schierò con Carlo d’Angiò e la Chiesa. Il 31 luglio 1261 G. strinse con l'Angioino e con Oberto Pelavicino signore di Piacenza un'alleanza difensiva che fu sanzionata da un progetto matrimoniale tra Manfredino, figlio di Oberto, e Margherita, figlia di G., nata nel 1259. L'accordo finì però a suo danno poiché nella primavera 1262 Alessandria venne occupata a sorpresa dal vicario di Manfredi ristabilendo il regime precedente; G. venne estromesso e, a causa dei suoi legami con il Pelavicino, fu anche colpito da scomunica. Temendo che lo strapotere di Carlo d’Angiò, nel frattempo diventato re di Sicilia, potesse ritorcersi contro i suoi piani espansionisti, G. aderì alla politica antiangioina rappresentata da Alfonso X di Castiglia; a suggello di tale avvicinamento G., ormai rimasto vedovo della prima moglie Isabella di Gloucester, sposò nel 1271 Beatrice, la figlia di Alfonso, e promise in matrimonio sua figlia Margherita a Giovanni, l’infante di Castiglia. Le attente politiche matrimoniali di G. si evidenziarono anche nel caso dell’unione di Iolanda, figlia di G. e di Beatrice, con Andronico II Paleologo, imperatore di Bisanzio, e dell'altra figlia Alina, andata in sposa a Bertoldo Orsini.
la relazione con la pars ecclesiae fu piuttosto complessa e altalenante. Dopo una iniziale alleanza, stabilita per mantenere un controllo più saldo sul Piemonte meridionale, il legame con la Chiesa si deteriorò a tal punto che, essendo G. legato da accordi con il Pelavicino, venne scomunicato. Resosi conto dell’errore strategico, G. decise nuovamente di avvicinarsi alla causa angioina e ai progetti di egemonia della Chiesa in Italia, ai quali aderì formalmente nel 1264, ottenendo l’assoluzione dalla scomunica. Dopo aver ottenuto la piena signoria di Ivrea nel 1266, G. si scontrò con il vescovo eporediese e l’anno dopo fu cacciato dalla città e scomunicato; l’assoluzione dalla scomunica fu pronunciata da papa Niccolò III solo nel 1278, con l’obbligo da parte di G. di schierarsi con l’imperatore riconosciuto dalla Chiesa. G. non nutrì un particolare interesse nelle fondazioni religiose, anche se restano tracce di suoi interventi tra il 1258 e il 1287 nei confronti delle monache di S. Maria di Rocca delle Donne e dei cistercensi di S. Maria di Lucedio, i due monasteri di famiglia. Ancora, restano testimonianze di una salvaguardia concessa ai cistercensi di S. Maria di Casanova, nei pressi di Carmagnola, e della conferma dei privilegi concessi da Bonifacio, padre di G., al monastero femminile di S. Maria di Brione, nelle vicinanze di Torino.
fu fondatore di due villenuove, Borgo S. Martino e Occimiano, progettando per loro un preciso impianto urbanistico ad imitazione di quello presente nei borghi nuovi fondati in precedenza dai Comuni di Asti e Vercelli. Stando alle notizie del Cibrario, G. realizzò, nel periodo del suo dominio su Torino, una casa forte che cedette a Tommaso di Savoia quando questi recuperò la città, insieme ad un ponte e alcune fortificazioni sul Po.
G. fu vittima di una prima congiura nel maggio del 1280 quando, dopo essere stato invitato da Pietro d’Aragona – che si preparava a conquistare la Sicilia – ad intercedere presso Alfonso di Castiglia, suocero di G., messosi in viaggio fu catturato in Provenza, precisamente a Saint-Maurice de Rotherens, dal vescovo di Valence e di Die, che agiva per conto di Tommaso III di Savoia. Fu rilasciato solo ad agosto, dopo aver accettato durissime condizioni quali la cessione di Torino ai Savoia, con la casa forte e le fortificazioni sul Po che aveva costruito, e dei centri minori di Grugliasco e Collegno, insieme al deposito di 6000 lire come prova della rinuncia ad ogni tentativo di vendetta nei confronti del vescovo di Valence. Successivamente nel 1282 il podestà che governava Milano in nome di G. fu bruscamente esautorato da Ottone Visconti e il marchese fu diffidato dall’entrare in città.
Infine, nel 1291 gli astigiani e gli alessandrini congiurarono contro G., riuscendo a catturarlo dopo averlo convinto ad entrare in Alessandria per trattare una possibile pace.
G. pur trovandosi alla testa di un dominio vasto e variegato, non esercitò un governo oppressivo e corrotto; conferma di ciò deriva dai lusinghieri giudizi dei contemporanei, che ne lodarono la liberalità. Tra essi, spicca certamente il giudizio di Dante Alighieri, che nel Convivio lo cita insieme ad altri personaggi virtuosi e che nella Commedia lo inserisce nel VII canto del Purgatorio, tra i principi negligenti, per aver creato lutto a causa delle sue guerre nell’Alessandrino e nel Canavese, ma presentandolo come pronto ad espiare le proprie colpe.
dopo aver conquistato e perso per l’ennesima volta la città di Alessandria, nel 1291 gli astigiani convinsero gli alessandrini, dietro il pagamento di un’ingente somma di denaro, a ribellarsi al Marchese. Compresa la gravità della situazione G. si recò alle porte della città con un piccolo esercito. Convinto dagli alessandrini ad entrare in città scortato solo da pochi uomini, nel tentativo di cercare un accordo diplomatico, venne invece catturato e imprigionato in una gabbia di ferro. Morì prigioniero ad Alessandria il 6 febbraio 1292.
vd. scheda fam. Monferrato.
vd. scheda fam. Monferrato.