di:
Gabriele Taddei
1228 ca - 1293.
Quella dei Guidi fu una famiglia di origine comitale discesa da tal Teugrimo che la tradizione vuole essere venuto in Italia al seguito di Ottone I e da questi investito di estesi possedimenti a cavallo dell’Appennino Emiliano e di quello Tosco-Romagnolo. Sul finire del X secolo i Guidi erano radicati nel Pistoiese ma di lì a breve avrebbero esteso i propri interessi nel Mugello, nel Casentino e nel Valdarno, sia inferiore che superiore. Tra i membri della famiglia, la figura di Guido Guerra II riveste particolare rilevanza: alla morte di Matilde di Toscana, dalla quale era stato adottato, egli assunse il titolo di Marchese di Tuscia ereditando oltre ad una parte consistente dei beni di lei anche quelli degli estinti conti Cadolingi. Fedeli all’Impero, i Guidi individuarono nelle rocche di Empoli, Dovadola, Modigliana e Poppi altrettanti centri di irradiazione del proprio potere. E quest’ultimo castello, posseduto in quote-parti, divenne il fulcro dei dominati famigliari allorché il potere della casata, pur divisasi in almeno quattro rami principali, si concentrò nell’area casentinese.
Tra il 1260 ed il 1262 G.N. fu Podestà di Firenze su nomina di Manfredi per divenire poi, dal 1263, suo Vicario in tutta la Tuscia.
Nel 1270, costretto dalla riscossa guelfa in Firenze a lasciare la città, fu a Siena, simultaneamente, Podestà, Capitano del Popolo e Capitano Generale.
Costretto dalla sua militanza ghibellina, prima del 1260, a tenersi lontano dalla città di Firenze, G.N. poté entravi dopo la giornata di Montaperti, al seguito del vincente esercito di Manfredi, in veste di fidelis e partigiano del sovrano svevo. Fu quest’ultimo a conferire al Guidi, per un biennio, l’ufficio podestarile e, successivamente, quello di suo Vicario in Toscana.
La parabola politica senese, invero assai breve, si compì integralmente dopo la scomparsa di Manfredi a Benevento ed il ritorno di Firenze nelle file guelfe. Già sconfitto presso Colle, il Comune di Siena volle conferire ad uno dei pochi leader ghibellini ancora dotati di prestigio personale le cariche di Podestà, Capitano del Popolo e Capitano Generale.
L’autorità acquisita da G.N. entro le mura fiorentine si legittimò sulla scorta del conferimento da parte di Manfredi del titolo podestarile prima, di quello vicariale poi. Il potere del Guidi, dunque, promanò e si inserì nella superiore struttura funzionariale satufica, che, dopo la scomparsa di Federico II, suo figlio Manfredi era intenzionato a preservare quale strumento di potere e controllo in tutta la Tuscia.
Dopo la battaglia di Benevento, G.N. tentò di preservare il titolo di Vicario regio che pure la morte di Manfredi privava della sua effettiva legittimità. Costretto da rivolgimenti politici interni ad abbandonare Firenze, il Guidi continuò a qualificarsi come alfiere della causa staufica dapprima promuovendo una nuova lega ghibellina quindi ottenendo dal Comune di Siena, battuto ma non ancora rassegnato ad allinearsi al guelfismo vincente, gli incarichi di Podestà, Capitano del Popolo e Capitano Generale.
Ottenuto da Manfredi, negli ultimi giorni del novembre 1260, l’incarico podestarile in Firenze, G.N. resse l’ufficio con il chiaro intento di demolire dalle fondamenta il precedente regime popolare e conferire alla città un’inedita colorazione ghibellina. Sorretto dalla presenza di una massiccia guarnigione di cavalieri tedeschi e dal revancismo dei suoi compagni di parte, G.N. avviò conseguentemente una radicale riforma degli assetti istituzionali fiorentini a seguito della quale conseguì un indiscusso primato sulla vita cittadina che perdurò ben oltre il biennio del mandato podestarile. A partire dal dicembre del 1260, i principali istituti che avevano caratterizzato il Governo del Primo Popolo vennero soppressi scomparendo, dunque, oltre all’ufficio di Capitano, anche l’Anzianato e le stesse Società armate. Le riforme istituzionali si affiancarono a massicce espulsioni delle principali famiglie popolari e delle più illustri casate di tradizione consolare ad orientamento guelfo. L’insieme di questi provvedimenti garantì al Podestà, in nome di Manfredi e sotto l’egida del suo vicario Giordano d’Anglano, di rimanere nei fatti l’unico arbitro della politica cittadina. Sebbene le risoluzioni venissero infatti formalmente prese dal Consiglio Generale dei Trecento e dal Consiglio speciale dei Novanta, ad esercitare un’azione decisiva era il trionfante partito ghibellino sul quale G.N. esercitava la sua indiscutibile autorità. Che il nuovo governo di parte si venisse presto configurando come un personale predominio del Guidi è parzialmente dimostrato dai successivi giudizi del cronista Giovanni Villani che, circa un cinquantennio dopo, pur da membro della dirigenza popolare e guelfa, qualifica il Nostro, senza troppe reticenze, come «signore in Firenze» (Nuova Cronica, VII, lxxxv)
Il primato di G.N. non scemò affatto al termine del mandato biennale essendo nominato, in stretta successione, Vicario di Manfredi per tutta la Toscana dal 1264 al 1266. La nuova carica, anzi, conferì al Guidi, che succedeva a Giordano d’Anglano, il potere di nomina dei podestà delle altre città toscane filosveve, garantendogli la designazione dei primi ufficiali di Volterra, Prato e San Gimignano. Del resto, in quegli stessi anni, Simone Guidi, fratello del Nostro, ottenne per un triennio consecutivo, l’ufficio podestarile presso Arezzo. Fu insomma per il tramite di G.N. che, alla metà del decennio, la coordinazione ghibellina riuscì a controllare politicamente buona parte dei Comuni della Tuscia fatta eccezione per Lucca e Orvieto rimaste fedeli alla causa pontificia.
Una delle pagine sicuramente centrali nella parabola politica di G.N. fu comunque quella che si consumò a Siena nell’anno 1270. Costretto, a seguito della sconfitta di Manfredi a Benevento e del successivo rivolgimento politico a Firenze, ad abbandonare la città gigliata (si veda meglio infra Fine della signoria), G.N. si avvicinò in maniera del tutto naturale a Siena rimasta fedele alla causa staufica. Fu dopo la dolorosa sconfitta di Colle del giugno 1269 e la conseguente morte di Provenzano Salvani, che quel Comune decise di conferire a G.N. la carica di podestà e –simultanemante- quella di Capitano Generale e Capitano del Popolo. I Senesi -il cui partito popolare, a differenza di quello fiorentino, orientava le proprie simpatie verso lo schieramento ghibellino fin dai tempi di Ildebrandino Cacciaconti- vollero così concentrare i pieni poteri nelle mani del Guidi al fine di meglio proseguire la già compromessa lotta contro la lega guelfa. Se la somma di competenze attribuite a G.N. era dunque motivata dallo stato di pericolo nel quale la città versava, essa comunque perpetuava quell’esperienza di predominio personale sulla vita politica senese già raggiunto dal defunto Salvani. Di fronte ad un guelfismo ormai trionfante, la linea di condotta del Guidi non fu tuttavia univoca: chiamato a proseguire la guerra, egli tentò la strada della pacificazione con Carlo d’Angiò, al quale offrì in ostaggio i suoi figli, pur mantenendo la città estranea alla generale concordia tra i due opposti schieramenti siglata il 2 maggio 1270. Furono le apparenti titubanze del Guidi e l’isolamento nella quale la città si trovò dopo tale trattato a suggerire ai consigli cittadini, che pure lo avevano innalzato ai pieni poteri, ad esonerarlo da tutte le sue cariche promuovendo essi, in modo diretto, il 4 agosto 1270, un accordo con Carlo.
Il primato personale conseguito da G.N. si inscrive integralmente nella contrapposizione tra i partiti ghibellino e guelfo, si legittima attraverso le cariche funzionariali conferite da Manfredi e si attua mediante il sostegno materiale offerto da quest’ultimo. Logico dunque che G.N., fin dagli anni precedenti il suo ingresso a Firenze, abbia da un lato intessuto stabili relazioni con le città di provata fede imperiale, dall’altro abbia aspirato ad instaurare con lo Staufen solidi legami parentali. E così, se già sul finire degli anni ’50 del secolo, ancora bandito da Firenze, il Guidi si adoperava a mantenere buoni rapporti con Siena (della quale, dopo l’esperienza fiorentina sarebbe divenuto Podestà, Capitano del Popolo e Capitano Generale), egli si univa matrimonialmente ad una figlia illegittima di Federico II divenendo cognato di Manfredi.
Attivo entro le fila ghibelline già prima di assumere la carica podestarile a Firenze, G.N. aveva detenuto il medesimo ufficio nel 1247 ad Arezzo e nel 1250 a Cortona entrambe città, in quegli anni, inserite nello schieramento filosvevo.
Divenuto podestà di Firenze nel 1260 e quindi, due anni dopo, Vicario di Manfredi in tutta la Tuscia, ancora insignito di tale incarico, G.N. accettò nel 1264 l’ufficio di Podestà a Lucca che, fino ad allora rimasta fedele alla causa guelfa, era infine capitolata.
Dopo l’importante esperienza senese, l’ultimo incarico politico rivestito da G.N., dopo esser stato nel 1275 podestà di Faenza, fu quello di podestà di Arezzo, ufficio assunto nel 1289 pochi mesi innanzi la battaglia di Campaldino. L’infausto esito della giornata per le schiere ghibelline è anzi stato tradizionalmente addebitato al Guidi, che si dice si sia inopinatamente sottratto allo scontro in una delle sue fasi più decisive.
I Guidi erano tradizionalmente legati alla congregazione camaldolese alla quale afferivano i monasteri casentinesi di Pratovecchio e Poppiena posti “in districtu comitis Guidonis”. Nondimeno è probabile che la profonda devozione verso l’ordine minoritico dimostrata da G.N. e da suo fratello Simone, cofondatori del convento francescano di Certomondo e della cappella delle stimmate della Verna, fosse dovuta al desiderio di calmierare un’autorità camaldolese divenuta eccessiva e pericolosamente competitiva, soprattutto in quell’area casentinese entro la quale si concentravano i dominati familiari.
Tra i principali interventi urbanistici che G.N. patrocinò a Firenze si deve ricordare la realizzazione della via che tutt’oggi, nonostante il successivo reintegro della città nelle file guelfe, porta il nome di Via Ghibellina. Si trattò in sostanza di tracciare una strada che assicurasse un facile ingresso agli uomini fedeli al Guidi eventualmente accorsi in suo sostegno dai dominati familiari extracittadini. Per tal fine, la via -assolutamente rettilinea- congiungeva le propaggini orientali della città, in direzione delle aree casentinesi di tradizionale egemonia guidinga, al Palazzo del Bargello, edificato pochi anni innanzi dal Governo del Primo Popolo ma eletto da G.N. a sua residenza.
Parallelamente in quegli stessi anni, la famiglia stava procedendo ad irrobustire le difese del castello di Poppi ed a conferire una facies più spiccatamente urbana a questo insediamento dal quale tanto G.N. quanto Simone traevano sicurezza, prestigio ed un solido appoggio per le loro iniziative politiche presso Firenze ed Arezzo.
Nel 1263 il Popolo fiorentino, le cui aspirazioni non erano evidentemente state integralmente fiaccate dai repressivi interventi di G.N., si sollevò contro il nuovo regime. Il moto, che non tardò a tingersi di guelfismo, comportò nel giugno di quell’anno la reintegrazione del soppresso ufficio di Capitano del Popolo e la ricostituzione del Consiglio degli Anziani. Si trattò comunque di esiti effimeri: la reazione ghibellina, cui G.N. si pose a capo, sciolse nuovamente l’Anzianato e cacciò il neoeletto Capitano del Popolo reclutato presso la città di Orvieto tradizionalmente fedele alla parte guelfa.
In immediata successione alla battaglia di Benevento, un’ulteriore sollevazione popolare e filoguelfa si verificò nell’aprile 1266. Sebbene ancora una volta G.N. ed i suoi partigiani riuscissero in breve tempo ad avere ragione di ogni forma d’opposizione, la scomparsa di Manfredi e la critica situazione nella quale stava ormai versando il partito svevo avrebbero ben presto comportato la fine del regime guidingo.
La fine dell’egemonia di G.N. entro la città di Firenze fu conseguenza –sebbene non immediata- della scomparsa di Manfredi nella battaglia di Benevento. Caduto il sovrano svevo, il Guidi fu costretto a rinunciare alla carica di Vicario di un Re ormai defunto. Nondimeno il rinnovamento di una lega ghibellina tra Firenze e Siena, nel settembre 1266, garantì al Nostro di poter ancora esercitare, per un mese soltanto, un ruolo di superiore coordinamento nella regione. L’11 novembre 1266, infatti, l’ennesima sollevazione costrinse G.N., ormai privo di superiori referenti politici, ad abbandonare precipitosamente la città che di lì a breve sarebbe tornata a rappresentare il principale alfiere del guelfismo in Toscana.
La breve esperienza politica a Siena trovò invece la sua naturale conclusione nella revoca di tutti gli incarichi attribuiti al Guidi da parte di quegli stessi Consigli cittadini che glieli avevano conferiti.
G.N. morì nel 1293. Innanzi ad un guelfismo ormai vincente tanto a Firenze quanto a Siena, nessun altro membro della famiglia ebbe modo di tornare a recitare un ruolo di primato personale nelle vicende politiche delle due città.
La lunga ed articolata esperienza politica di G.N. è variamente documentata. La parabola fiorentina è indagabile soprattutto grazie alla testimonianza cronachistica di Giovanni Villani ma anche per il tramite degli scritti di Guido Monatti, astrologo personale del Guidi ai cui consigli questo ricorse con assidua costanza. Le vicende senesi, testimoniate in modo più incerto, trovano comunque eco in alcune delle Riformagioni cittadine.
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