di:
Poloni Alma
?-post aprile 1314.
1287.
Guelfo era un cittadino di Lucca. La sua famiglia era originaria di Lombrici, località vicino a Camaiore, ma non sappiamo quando fosse avvenuto il trasferimento in città. Il suo nucleo familiare sembra comunque non avere nulla a che fare con il ramo della domus aristocratica dei da Montemagno che si denominava “da Lombrici”. Guelfo era un giudice, e prestò servizio nelle curie lucchesi a partire dai primi anni ’80 del Duecento. Non si sono conservate attestazioni di un impegno politico diretto nella sua città, ma almeno in un’occasione i priori delle armi, la magistratura ultrapopolare istituita nel 1292, lo scelsero come consulente. Il nostro giudice è l’unico membro della sua famiglia ad avere lasciato tracce documentarie, e non pare avere relazioni con le famiglie lucchesi più attive politicamente. Possiamo dunque inquadrare Guelfo come un popolano di non grande visibilità, che in alcune occasioni pose le proprie competenze professionali al servizio degli organi istituzionali di Popolo.
Prior XV artium. Il cronista quattrocentesco lucchese Giovanni Sercambi scrive che Guelfo fu capitano del Popolo. La sua affermazione tuttavia non è attendibile, poiché contrasta con tutte le altre testimonianze cronachistiche, assai più vicine agli avvenimenti, che lo indicano sempre solo come priore delle Arti.
È molto probabilmente da identificare con il L. il dominus Guelfus che ricoprì ad Arezzo la carica di iudex appellationum – ufficio riservato a esperti di diritto forestieri – nel 1285. Guelfo doveva aver lasciato un buon ricordo, perché nel 1287 fu richiamato come priore delle quindici Arti, magistratura anch’essa affidata a forestieri (nel 1285 era stata ricoperta da Danzivalle Gozzadini, appartenente a un’influente famiglia del Popolo bolognese). La creazione, tra il 1282 e il 1285, del priore delle Arti, che era affiancato da subpriores espressi dalle Arti stesse, era la conseguenza di una riorganizzazione politica del mondo corporativo, espressione della formazione di uno schieramento favorevole a una radicalizzazione in senso popolare della politica aretina (vedi paragrafo “principali caratteristiche del sistema di governo”). Tale svolta politica aveva trovato la netta opposizione del vescovo Guglielmino degli Ubertini, che a partire dal 1281 era entrato in contrasto con il governo popolare, che gli aveva sottratto diverse località in precedenza soggette alla giurisdizione vescovile. Secondo i cronisti, Guelfo si fece entusiasta interprete delle istanze del fronte ultrapopolare, assumendone la guida in un colpo di mano che portò nel 1287 alla cacciata del podestà Bernardo Lanfredi, anch’egli lucchese, all’allontanamento del vescovo e a una politica vessatoria nei confronti dei nobili, che si videro anche distruggere diversi castelli nel contado. Grazie alla leadership del movimento popolare il L. per qualche mese esercitò un notevole ascendente politico, interpretato dai cronisti come un potere quasi signorile.
Elezione a priore delle Arti, presumibilmente da parte delle Arti stesse.
Arezzo era un Comune di Popolo dalla metà degli anni ’50 del Duecento. Dal 1260 gli anziani, che rappresentavano il vertice del sistema istituzionale popolare, furono sostituiti dai Ventiquattro del Popolo. Il priore delle quindici Arti compare per la prima volta nella documentazione aretina nel 1285. Non sappiamo quando fosse stata istituita questa magistratura, ma essa ancora nel 1282 non compare nell’organigramma istituzionale. Fino agli anni ’70 le Arti politicamente riconosciute erano dodici. I loro rettori, o capitudini, partecipavano di diritto al consiglio del Popolo. La creazione del priore delle Arti negli anni ’80, tuttavia, segnò una totale riorganizzazione della rappresentanza politica delle corporazioni, che andò ben al di là dell’aggiunta di tre nuove Arti. Il priore, che doveva essere un forestiero, entrando così in concorrenza con il capitano del Popolo, era il rappresentante unitario del mondo corporativo, ed era affiancato da subpriores eletti direttamente all’interno delle corporazioni. Ma, soprattutto, i delegati delle Arti non si limitavano più a prendere parte al consiglio del Popolo, ma nel 1285 compaiono in un atto di governo al fianco dei Ventiquattro, sullo stesso piano. L’istituzione della nuova magistratura, dunque, riflette la formazione di un movimento favorevole a una radicalizzazione in senso popolare della politica aretina, e soprattutto a una diversa distribuzione del potere decisionale all’interno del comune di Popolo.
È possibile pensare a una qualche forma di imitazione dei priori delle Arti fiorentini, non a caso istituiti nel 1282. Tuttavia, l’organizzazione della Arti aretine era diversa, non solo perché a capo di essa veniva posto un priore forestiero, ma anche perché i subpriori erano espressione diretta delle Arti, mentre i priori fiorentini erano reclutati per sesto, e non erano eletti direttamente dalle Arti. La soluzione aretina è dunque in qualche modo più radicale; essa esprime senza dubbio il diffondersi di un nuovo clima politico all’interno della città, e non può essere liquidata come un fenomeno imitativo. Secondo alcuni storici, il priore delle Arti sostituì il capitano del Popolo; in realtà, nel 1285 il capitano è ancora attestato, come del resto i subpriori non rimpiazzarono i Ventiquattro, ma entrarono in competizione con essi facendo pressione per una “democratizzazione” delle strutture popolari. Dal suo ufficio di priore, Guelfo guidò il tentativo di colpo di mano delle Arti riorganizzate.
- “1287. Johannes de la Porta de Placentia pro sex mensibus, et dominus Bernardus Lamfredi de Luca pro aliis sex mensibus qui a dominio expulsus est; Mazzettusque demum de Burgo electus, destructe sub quo fuerunt artes; priore artium domino Guelfo de Luca aufugiente, ab illisque de Tuoro capto” (Annales Arretinorum maiores, p. 9).
- “Arezo si governava in quel tempo pe' Guelfi e Ghibellini per equal parte, et erano nel reggimento di pari, e giurata avieno tra loro ferma pace. Onde il popolo si levò, e feciono uno della città di Lucca che si chiamava Priore, il quale condusse il popolo molto prosperevolmente, e i nobili constrignea a ubidire le leggi. I quali s'accordorono insieme, e ruppono il popolo; e lui presono e misono in una citerna, e quivi si morì” (D. Compagni, Cronica, I, 6).
- “Nel detto anno, del mese di giugno, vacante la Chiesa, e la parte ghibellina presa molta baldanza in Toscana perché non v'era papa, essendo nella città d'Arezzo alquanto tempo dinanzi creato popolo, e fatto uno caporale che chiamavano il priore del popolo, il quale perseguitava molto i grandi e possenti, per la qual cosa messer Rinaldo de' Bostoli cogli altri Guelfi si legarono con messer Tarlato e cogli altri grandi Ghibellini per abbattere il detto popolo. E così feciono, e presono il detto priore, e feciongli cavare gli occhi; per la qual cosa rimasono signori i grandi guelfi e ghibellini” (G. Villani, Nuova cronica, VIII, 115).
- “E in quell’anno…era potestà d’Arezzo messer Bernardo Lamfredi di Luccha, e messer Guelfo da Lombrici era chapitano. Et il dicto messer Guelfo chacciò fuori d'Arezzo lo vescovo, e anco ne chacciò messer Bernardo Lamfredi e’ tucti i grandi, guelfi e ghibellini, e rimase signore d'Arezzo messer Guelfo soprascripto….E allora messer Guelfo da Lombrici fu preso et messo in prigione in Civitella” (Le croniche di Giovanni Sercambi, p. 45).
La politica accesamente antinobiliare dello schieramento ultrapopolare guidato da Guelfo, che attaccò le famiglie aristocratiche anche nei loro possessi signorili nel contado, distruggendo diversi castelli, portò tali famiglie a fare fronte comune sotto la guida del vescovo Guglielmino degli Ubertini, mettendo momentaneamente da parte le divisioni tra guelfi e ghibellini. Il L. fu catturato e imprigionato, e l’organizzazione politica delle corporazioni fu smantellata: di fatto, la reazione aristocratica pose fine al regime popolare di Arezzo. La fine di Guelfo, invece, è un piccolo giallo. Secondo alcuni cronisti, per esempio Dino Compagni, egli fu ucciso; secondo altri, per esempio Giovanni Villani, accecato. In realtà, la documentazione lucchese mostra senza possibilità di errore che il L. continuò a essere attivo a Lucca, anche prestando servizio nei tribunali cittadini, almeno fino al 1314. Egli dunque, dopo la brutta avventura del 1287, potè tornarsene a Lucca, e a quanto pare senza grandi conseguenze.
La documentazione relativa a questa fase della storia aretina è conservata negli Archivi di Stato di Arezzo e di Firenze e nel Archivio Capitolare di Arezzo. Buona parte della documentazione pubblica duecentesca è stata edita da U. Pasqui (vedi Bibliografia).
Fonti: Le croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bongi, 3 voll., Lucca 1892, I, p. 45; Annales Arretinorum Maiores et Minores, in RIS2, XXIV, a cura di A. Bini e G. Grazzini, Città di Castello 1909, p. 9; U. Pasqui, Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, II, Firenze 1916, pp. 462-464; G. Villani, Nuova cronica, edizione critica a cura di G. Porta, 3 voll., Parma 1990-1991; D. Compagni, Cronica, edizione critica a cura di D. Cappi, Roma 2000
Studi: C. Lazzeri, Guglielmino Ubertini vescovo di Arezzo (1248-1289) e i suoi tempi, Firenze 1920, pp. 201-214; R. Davidsohn, Storia di Firenze, 8 voll., III, Firenze 1956-1968, pp. 418-420; G. Cherubini, Le attività economiche degli aretini tra XIII e XIV secolo, in Quaderni medievali, XXVI (2001), pp. 19-63; G. P. Scharf, Fiscalità e finanza pubblica ad Arezzo nel periodo comunale (XII secolo-1321), in Archivio storico italiano, CLXIV (2006), pp. 215-266, distribuito in formato digitale da Reti Medievali.