di:
Alma Poloni
1325 circa-1373.
1347-1373.
Pesaro. Secondo i cronisti fiorentini, nel 1363, essendo stato ingaggiato da Firenze come comandante delle sue truppe, con il titolo di capitano di guerra – incarico che aveva ricoperto anche in precedenza –, egli tentò di farsi trasmettere poteri straordinari, con l’ambizione addirittura di porre le basi per un’affermazione signorile nella città toscana. Il suo progetto fu sventato dalle magistrature fiorentine, che lo allontanarono prontamente, sostituendolo però con lo zio Galeotto, probabilmente per non pregiudicare i buoni rapporti con i Malatesta.
Vedi scheda famiglia Malatesta. Pandolfo era figlio di Malatesta Guastafamiglia.
Podestà di Pesaro.
Il padre di Pandolfo, Malatesta Guastafamiglia, viveva stabilmente a Pesaro, e in un momento non specificato, ma successivo alla morte del padre Pandolfo (I), nel 1326, ottenne per sé e i suoi discendenti la cittadinanza pesarese. L’atto di concessione della cittadinanza, che consentiva ai Malatesta anche di avere accesso alle cariche politiche comunali, fu inserito degli statuti cittadini, una circostanza di per sé indicativa dell’ascendente del quale essi già godevano. È certo dunque che la formalizzazione dell’influenza di Pandolfo (II), con l’elezione a podestà – la prima attestazione è del 1347 –, sia stata preceduta da un lungo periodo di influenza informale, che passò magari anche attraverso l’occupazione di seggi consiliari e l’accesso alle principali magistrature cittadine. La dispersione della documentazione pubblica non ci consente tuttavia di verificare quest’ultima ipotesi.
Il potere di Pandolfo (II) passò esclusivamente attraverso la carica di podestà, nella quale è attestato almeno nel 1347, 1349, 1355 e 1368. Non abbiamo tuttavia alcuna informazione sulle forma delle elezioni, e se esse osservassero la consueta periodicità, o avessero validità pluriennale.
Nel 1355 il padre di Pandolfo, Malatesta Guastafamiglia, e lo zio Galeotto ottennero il vicariato apostolico in temporalibus su Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone per dieci anni, poi rinnovato negli stessi termini nel 1363. Dopo la morte di Malatesta, nel 1364, Galeotto rimase il solo titolare del vicariato. In teoria, quindi, Pandolfo reggeva Pesaro per conto dello zio. Non sembra che questo rapporto di dipendenza sia mai stato esplicitato formalmente negli atti ufficiali finchè il M. fu in vita. Dopo la sua morte, tuttavia, probabilmente per ribadire i suoi diritti nel momento difficile della successione, Galeotto intentò una causa contro il figlio di Pandolfo, Malatesta, e i suoi tutori per ottenere la restituzione «de redditibus ac proventibus perceptis a dicto Pandulfo in regimine civitatis Pisauri per eum exercito nomine et vice eiusdem Galeocti vicarii Pontificii ab anno 1364 [cioè dalla morte di Malatesta Guastafamiglia] usque ad annum 1373» (il corsivo è mio).
Un importante momento di legittimazione fu rappresentato dalla pubblicazione di una nuova redazione dello statuto cittadino, avvenuta nel 1347, al tempo della prima podesteria del M. a noi nota. Il nuovo testo statutario introduceva importanti modifiche nel sistema istituzionale comunale (vedi voce principali caratteristiche del sistema di governo).
Vedi anche scheda Giovanni Malatesta. I capitulares artium, che alla fine del Duecento affiancavano i capitani del popolo al vertice del comune popolare, non compaiono più dopo il 1315, segno probabilmente di un forte ridimensionamento, già all’inizio del Trecento, del ruolo delle Arti negli equilibri politici cittadini.
Lo statuto del 1347 introdusse innovazioni istituzionali importanti. Il consiglio generale fu ridotto da quattrocento a duecento componenti, che dovevano essere scelti de maiori alibratu, cioè tra i cittadini più abbienti. Al consiglio generale fu affiancato un nuovo organo consiliare ristretto, il consiglio di credenza, di sessanta membri; entrambi i consigli venivano interamente rinnovati ogni anno. La base del reclutamento era probabilmente sempre il quartiere. Rimaneva invece in vita la magistratura dei quattro capitani del popolo, uno per quartiere, che restavano in carica un mese. I capitani del mese di gennaio nominavano tutti i consiglieri dei due consigli cittadini.
A differenza di quelle del consiglio generale, le prerogative del consiglio della credenza non sono precisamente definite né nello statuto del 1347 né in quello successivo degli anni di Malatesta dei Sonetti. I due testi statutari si limitano a segnalarne l’esistenza, ma non fanno alcun riferimento alle attività di questo organo consiliare. I pochi verbali rimasti, non anteriori comunque agli anni ’30 del Quattrocento, attestano che a quell’altezza cronologica il consiglio della credenza aveva in realtà un’importanza centrale, costituiva il vero consiglio del signore, l’organo di mediazione tra il potere signorile e la società cittadina. Naturalmente non ci sono prove che esso svolgesse questo ruolo già nel Trecento. Tuttavia, è possibile che la mancata regolamentazione statutaria non sia una conseguenza dello scarso peso del consiglio, ma al contrario della volontà di non definire in maniera rigida la sua sfera di competenze, per farne un organo agile capace di esercitare un notevole potere decisionale senza troppe formalità e stringenti limiti di azione.
Pandolfo sposò giovanissimo Lapa Francesca, figlia di Bernardo Bulgarelli dei conti di Marsciano. Rimasto vedovo, nel 1362 sposò Paola di Bertoldo Orsini di Roma. Da lei ebbe il figlio Malatesta e le due figlie Elisabetta, che sposò Rodolfo di Gentile dei Varano di Camerino, e Paola Bianca, che sposò prima Sinibaldo Ordelaffi signore di Forlì e poi il consanguineo Pandolfo (III) Malatesta signore di Fano.
Pandolfo ebbe un’intensa carriera di capitano di ventura, che lo portò al servizio delle principali potenze dell’epoca. In particolare, tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 fu in più occasioni assoldato come capitano di guerra da Firenze, che considerava i Malatesta preziosi alleati per la comune militanza nel fronte guelfo. Ciò, tuttavia, come spesso accadeva per queste famiglie signorili che traevano dalle condotte risorse economiche ormai indispensabili per sopravvivere nel difficile contesto politico, non impedì al M. di porsi al servizio anche dei Visconti di Milano: in particolare, egli ebbe un rapporto privilegiato con Galeazzo Visconti, attirandosi, a quanto pare, l’antipatia di Bernabò.
Pandolfo non mancò comunque di prestare sostegno militare al papato, che rimaneva sempre il principale referente dei Malatesta. Egli fu governatore papale di Città di Castello (1368-1369) e poi di Urbino (1370), dopo aver guidato l’occupazione militare delle due città.
Pandolfo promosse attivamente il culto della beata Michelina Metelli di Pesaro, terziaria francescana morta il 19 giugno 1356. All’inizio del 1356 Pandolfo si recò in pellegrinaggio in Terrasanta per adempiere a un voto. Secondo la tradizione, sulla via del ritorno la nave sulla quale viaggiva incontrò una tempesta, durante la quale egli sognò la morte di Michelina. Il M. attribuì quindi lo scampato pericolo all’intercessione della pia donna. Nel 1359 fu consacrata la nuova chiesa di S. Francesco, edificata con il patrocinio dei Malatesta. Al suo interno fu collocato il sarcofago fatto costruire da Pandolfo per la Metelli, che recava lo stemma malatestiano. Come è noto, in tutte le città sulle quali estesero la propria influenza i Malatesta ebbero un rapporto privilegiato con l’ordine francescano, e anche a Pesaro, come a Rimini, la chiesa di S. Francesco divenne il mausoleo di famiglia, nel quale furono sepolti nel 1371 Paola Orsini, moglie di Pandolfo, e l’anno successivo Pandolfo stesso. La promozione del culto della beata Michelina contribuì dunque a legittimare la centralità di S. Francesco, la chiesa dei Malatesta, nella topografia religiosa cittadina.
Di Pandolfo si ricorda soprattutto il rapporto di amicizia con Petrarca, che egli incontrò in più occasioni presso le corti dei Visconti di Milano e di Francesco Novello da Carrara signore di Padova, dove lo portò la sua carriera da capitano di ventura. I due intrattenero scambi epistolari che ci aiutano a inquadrare la figura di Pandolfo, i suoi vivaci interessi culturali e la sua passione bibliofila. Il signore di Pesaro aveva infatti una ricca biblioteca, andata totalmente perduta, per la quale si fece inviare da Petrarca una copia del suo Canzoniere approvata dall’autore. Su questa biblioteca non sappiamo altro, se non che il M. chiese a Ludovico Gonzaga, per trarne copia, un codice contenente le opere di Paolo Diacono e di Giordane. Pandolfo si assunse anche il ruolo di protettore di intellettuali, in particolare di Francesco da Fiano, che egli mise in contatto con Petrarca, e che rimase presso di lui fino alla sua morte. Il M. intercesse presso Petrarca anche per Francesco Bruni.
Il cronista fiorentino Matteo Villani racconta un tentativo di colpo di mano che sarebbe stato portato avanti da Pandolfo nel 1363, mentre era capitano di guerra di Firenze: “Quetato il popolo, e lasciata l’arme, i signori ebbono gran consiglio di richiesti, e veduto il pessimo animo di messer Pandolfo, e ccome pure intendea a volere essere signore di Firenze a dispetto del popolo, diterminarono li fosse tenuto mente alle mani sicchè no lli venisse fatto, e da quell’ora inanzi cominciò a essere in dispetto di tutti.….E se non fosse stato della casa di Malatesti, per lo nome e titolo di parte guelfa amata e onorata dal Comune di Firenze, per certo si tenne n’arebbono presa altra via….Avemo tristemente narrato questo caso per essempro, se protesse profittare, a cquelli che verranno, di no tor mai a capitano di guerra tiranno di terra notabile, però che ll’avenimento della guerra è vario, e lla fortuna or quinci or quindi presta il favore suo, e sovente il tiranno la fa esser ria per esurpare la sua libertà” (M. Villani, Cronica, XI, 73).
Morte.
Gran parte della documentazione relativa alla signoria malatestiana su Pesaro è andata perduta. La fonte più importante per quel periodo è rappresentata dalla cronaca di Tommaso Diplovatazio, erudito attivo nel primo Cinquecento, che ha visto e utilizzato molti documenti poi scomparsi: Tomae Diplovatatii Cronicon Pisauri, conservata pressola Biblioteca Oliveriana, ms. 1422, originale di pugno dell’autore, e in tre copie, mss. 389, 1162, 1544. Per gli anni di Pandolfo Malatesta sono poi giunte fino a noi alcune pergamene, anch’esse conservate pressola Biblioteca Oliveriana: pergg. nn. 200, 205, 250, 252, 263, 265.
Fonti: M. Battagli, Marcha [aa. 1212-1354], a cura di A. F. Massera, in RIS2, XVI, 3, Città di Castello 1912-1913; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A. F. Massera, in RIS2, XV, 2, Bologna [s. d.]; M. Villani, Cronica; con la continuazione di Filippo Villani, edizione critica a cura di G. Porta, Parma 1995.
Studi: A. degli Abati Olivieri Giordani, Memorie di Novilara, Pesaro 1777; Id., Orazioni in morte di alcuni signori di Pesaro della casa Malatesta, Pesaro 1784; Id., Memorie di Gradara, Pesaro 1795; G. Franceschini, I Malatesta, Varese 1973; Ph. Jones, The Malatesta of Rimini and the Papal State. A Political History, Cambridge 1974, ad indicem; A. Carile, Pesaro nel Medioevo, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, a cura di M. R. Valazzi, Venezia 1989; G. Galeazzo Scorza, Gli Statuti di Pesaro, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento cit.; P. Parroni, La cultura letteraria a Pesaro sotto i Malatesti e gli Sforza, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento cit.; P. Ertheler, Pandolfo II Malatesta e la beata Michelina da Pesaro, in Atti della giornata di studi malatestiani a Recanati, Rimini 1990, pp. 67-75; C. Cardinali-A. Maiarelli – F. V. Lombardi, La signoria di Pandolfo II Malatesta (1325-1373), Appendice documentaria di A. Falcioni, Rimini 2000; M. Frenquellucci, Gli interventi malatestiani nelle città della Marca settentrionale (Pesaro, Fano, Fossombrone e Senigallia, in Le arti figurative nelle corti dei Malatesti, a cura di L. Bellosi, Rimini 2002; A. Falcioni, voce Pandolfo Malatesta, in DBI 68 (2007).