di:
Elisa Tosi Brandi
1417-1468 .
1432-1468.
All’epoca di Sigismondo Pandolfo i Malatesta avevano un territorio esteso tra la Romagna e le Marche, separato dal territorio di Pesaro, da più di un secolo in mano ai cugini.
Vedi scheda famiglia Malatesta. Sigismondo era figlio di Pandolfo III.
Vicario del papa (1432), cavaliere (1433); capitano generale delle milizie papali (1435).
Sigismondo ebbe un ruolo determinante nella difesa del dominio malatestiano dopo la morte dello zio Carlo (1429), cui era seguita una grave crisi dinastica. Conclusosi il governo del fratello Galeotto Roberto, nel 1432 subentrò nel dominio dei territori malatestiani con il fratello Domenico detto Malatesta Novello. Insieme i due fratelli disposero in più occasioni di voler dividere le aree di competenza (1433, 1437, 1442, 1451): a Sigismondo spettarono le terre a sud del Marecchia con Rimini, Santarcangelo, Scorticata (Torriana), Fano e il rettorato di Sant’Agata Feltria, al fratello Cesena, Bertinoro, Meldola, Sarsina, Roncofreddo, Pieve di Sestino.
Vicario della Chiesa dal 1432 congiuntamente al fratello minore Domenico; cavaliere nel 1433 per mano dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo.
All’epoca di Sigismondo Pandolfo oramai le istituzioni comunali sono tutte sotto il diretto controllo del Malatesta, che, durante il suo dominio, non stabilisce nuove disposizioni che possano rettificare quanto già stabilito dai suoi predecessori. Le novità più importanti al riguardo risalgono all’epoca di Carlo Malatesta. Nelle sue due principali città, Rimini e Fano, Sigismondo concentra i suoi sforzi cercando di incentivare l’economia attraverso provvigioni e decreti. A Rimini Sigismondo concede e ratifica leggi a favore delle arti della lana e degli speziali (1433, 1441), del cuoio (1451), del ferro e del legname (1440). La politica del Malatesta mirava a ridurre l’eccessivo protezionismo dell’economia riminese.
Sigismondo fu costantemente alleato degli Este, dei Medici e della Repubblica di Venezia. Praticando il mestiere delle armi fu al soldo delle principali potenze italiane: capitano generale delle truppe papali al soldo di Eugenio IV nel 1435, poi negli anni successivi fu stipendiato alternativamente da Venezia, Napoli, Milano, Firenze per condurre i loro eserciti. Come alcuni suoi antenati illustri ebbe come costante antagonista un Montefeltro, Federico, col quale contese territori e fortificazioni sul confine meridionale della signoria. Il suo carattere impulsivo e aggressivo ne fecero uno dei più valorosi ed esperti capitani di ventura dell’epoca, consentendogli ben presto di guadagnare ingenti somme di denaro che Sigismondo impiegò nella realizzazione di una politica di magnificenza tesa ad immortalare la sua fama. Il bilancio delle battaglie cui Sigismondo prese parte fu senz’altro positivo, contandosi più vittorie che sconfitte, come la famosa vittoria di Monteluro nel 1443 che costò la sconfitta a Niccolò Piccinino o quella di Piombino nel 1448, dove sconfisse in un sol colpo l’esercito aragonese e quello di Federico da Montefeltro. Le stesse qualità del suo carattere utili per guadagnare consenso e prestigio personale come capitano di ventura, contribuirono, per contro, anche ad imbastire il suo declino dal punto di vista politico. Intorno alla metà del XV secolo infatti, la situazione italiana era talmente intricata ed in continuo mutamento, da imporre cautela e abilità da parte di tutte le forze in causa. La pazienza non era tra le doti del signore di Rimini, il quale, di fronte al precario equilibrio politico dimostrò di non possedere quelle capacità diplomatiche e di adeguamento che sarebbero state determinanti per il mantenimento del suo stato. Sigismondo non fu in grado di far coincidere i propri interessi con quelli più generali e si trovò in una situazione di isolamento. Le inadempienze agli obblighi contrattuali, i tradimenti sul campo di battaglia -seppur comuni anche ad altri capitani di ventura – si rivelarono fatali per Sigismondo a partire dal 1454 quando, su richiesta del re di Napoli che aveva subito un voltafaccia da parte sua sul campo di battaglia, fu escluso dalle trattative della pace di Lodi. La sua posizione si aggravò con la comparsa sulla scena di papa Pio II Piccolomini, che, non accettando le sue continue disubbidienze, si mostrò determinato nel voler ridimensionare la potenza malatestiana. Questo progetto va inserito in un contesto più ampio della semplice antipatia personale nei confronti del Malatesta. Senza tener conto delle imposizioni papali, messe nero su bianco durante il congresso di Mantova nel 1459, Sigismondo continuò nell’azione di difesa e conquista dei territori marchigiani, che, più di quelli romagnoli, erano in pericolo anche a causa della politica di Federico da Montefeltro, sempre più in sintonia con quella di Pio II. Ancora una volta Sigismondo e Federico si scontrano sul campo di battaglia ma oramai la guerra è impari. Mentre Sigismondo cerca appoggi e finanziamenti per le proprie imprese, Pio II, mette a frutto le sue doti di intellettuale raffinato e colto umanista, sferrando l’ultimo attacco. Bandito come nemico della Chiesa, nel 1462 il Malatesta è oggetto di un trattamento che nessun papa aveva mai riservato a qualcuno: la scomunica accompagnata da un complesso processo infamante conclusosi con il rogo della sua effige che ebbe luogo contemporaneamente in due piazze di Roma e a San Pietro. Alcuni mesi dopo subì la sua più clamorosa sconfitta sul Cesano dall’esercito di Federico da Montefeltro. Fino all’ultimo tuttavia il Malatesta non si diede per vinto, continuò a prendere parte a campagne militari e crociate fino al 1466, quando capì che non aveva margini di ripresa. Per quanto riguarda la politica matrimoniale utili furono i matrimoni con le prime due mogli Ginevra d’Este nel 1434 e con Polissena Sforza nel 1441, morte entrambe prematuramente; meno utile dal punto di vista politico fu l’unione con la nobildonna riminese Isotta degli Atti, sua amante dal 1446 poi moglie nel 1456. Ebbe numerosi figli naturali, quasi tutti legittimati.
Nell’ambito delle condotte militari presso le potenze di Venezia, Napoli, Milano, Firenze.
E' noto il legame dei Malatesta con i francescani, inaugurato da Malatesta da Verucchio che a Rimini sceglie la chiesa gestita da questi ultimi come luogo di sepoltura. Le uniche elargizioni nei confronti di luoghi ecclesiastici, documentate anche in punto di morte, sono a favore della chiesa di San Francesco che Sigismondo aveva trasformato in una chiesa più grande, il cosiddetto Tempio Malatestiano, che avrebbe accolto la sua sepoltura accanto a quella degli avi e degli antenati. L’unico culto che ha in qualche modo promosso è stato quello del fratello maggiore Galeotto Roberto Malatesta detto il beato, morto nel 1432, in fama di santità.
Dopo i successi militari Sigismondo investe sulla costruzione dei simboli di potere nella città che considerava la capitale della sua signoria, Rimini. Qui fa costruire un castello nel luogo dove i Malatesta avevano case con torri fin dal XIII secolo e che XIV secolo Malatesta da Verucchio aveva trasformato in palatium. Dopo alcuni interventi compiuti dai successori di quest’ultimo, Sigismondo decide di dare coerenza formale ad un luogo fortificato (gattolo) che aveva perso armonia. Nasce così il progetto per la costruzione di Castellum Sismondum, i cui lavori incominciano nel 1437 e sono a buon punto nel 1446, come si ricava dalle epigrafi sul circuito murario. La presenza di Filippo Brunelleschi a Rimini ha fatto ipotizzare soluzioni architettoniche suggerite dall’architetto fiorentino. Dopo la sistemazione del castello cittadino Sigismondo incomincia a potenziare il sistema fortificato del suo territorio con innovativi sistemi di offesa e difesa. Nel 1446 circa incominciano i lavori di ristrutturazione della chiesa di San Francesco che porteranno alla costruzione del maestoso Tempio Malatestiano, che, nella sua incompiutezza, rappresenta l’emblema delle effimere fortune del suo committente. Il Tempio Malatestiano, dove tuttora Sigismondo è sepolto con la sua ultima moglie e suoi antenati, era stato progettato da Leon Battista Alberti, e alla sua realizzazione collaborarono Matteo de’ Pasti, Agostino di Duccio, Piero della Francesca.
Sigismondo investì molto sulla politica di magnificenza e propaganda della sua corte, commissionando non solo monumenti ma anche opere d’arte di più piccole dimensioni. Di rilievo risulta l’ampio uso delle medaglie, fuse da Pisanello e soprattutto da Matteo de’ Pasti, che il Malatesta volle anche nascondere come tesoretti all’interno del castello riminese, del Tempio Malatestiano e nel suo sepolcro. Il coinvolgimento di artisti di altissimo livello, unito alla sua fama, hanno fatto conoscere Sigismondo in tutto il mondo, d’altronde a questo servivano le opere realizzate da Piero della Francesca, Agostino di Duccio e Giovanni Bellini. Tra le opere letterarie vale la pena citare quelle scritte da Basinio da Parma e da Roberto Valturio. Basinio da Parma, Astronomicon, poema scritto tra 1455-56 che rappresenta uno degli esempi più significativi della produzione culturale riminese di questo periodo; comprende una trattazione completa di tutti i temi connessi all’astronomia e all’astrologia: dalla struttura del cosmo alle singole costellazioni ai pianeti. I testi di riferimento sono latini e greci e le sue illustrazioni sono state alla base della decorazione della cappella dei pianeti del Tempio Malatestiano. Dello stesso autore è l’Hesperis, opera scritta entro il 1457, che narra ed illustra le imprese di Sigismondo durante le vittoriose guerre italiche degli anni Quaranta del Quattrocento. Roberto Valturio ha scritto il De re militari, un trattato sull’arte militare degli antichi scritto tra il 1446-1455; diviso in dodici libri, è corredato di illustrazioni di macchine da guerra realizzate verosimilmente da Matteo de’ Pasti. Il successo dell’opera di Roberto Valturio fu tale che la sua prima edizione stampata a Verona nel 1472 vanta il primato di essere il primo libro illustrato impresso in Italia.
Consensi e dissensi per Sigismondo si determinavano sul campo di battaglia e, grazie al suo carattere spregiudicato ed impulsivo, ebbe molti alleati ed altrettanti nemici. Significativi per le fortune malatestiane furono i dissensi mostrati nei suoi confronti dal re di Napoli Alfonso d’Aragona e da papa Pio II.
Avviene con la morte, sopraggiunta il 9 ottobre 1468, tuttavia lo stato malatestiano si era già sgretolato con la perdita di Fano nel 1463, quando a Sigismondo era rimasta solo Rimini.
I principali documenti dell’epoca di Sigismondo si possono trovare presso gli archivi di Stato di Rimini e Fano: Fondo Notarile, Archivio di Stato di Rimini; Archivio Comunale di Fano, Sezione dell’Archivio di Stato di Fano. Statuti di Rimini, Biblioteca civica Gambalunga, sc-sm 1165, 1166, 1167.
Fonti:
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