di:
Alma Poloni
Fine anni ’40 del Trecento – 1405.
1377-1404.
Faenza.
Vedi scheda famiglia Manfredi. Astorgio (I) era figlio di Giovanni M.
Dominus et capitaneus generalis (1378); vicarius generalis in temporalibus per la S. Sede (dal 1379).
Astorgio aveva abbandonato Faenza dopo che il padre Giovanni M. era stato costretto a rinunciare alla signoria nel 1356. Nel 1377 A. rientrò in città col sostegno anche armato di Firenze, in quegli anni impegnata nella cosiddetta guerra degli Otto santi contro il papato, e si fece proclamare dominus et capitaneus generalis.
Non abbiamo notizie precise riguardo alla trasmissione al M. del titolo di dominus et capitaneus generalis tra il 1377 e il 1378. Dal 1379 la legittimazione del potere di Astorgio derivò esclusivamente dal vicariato apostolico, e il titolo di capitaneus generalis decadde. In seguito a un accordo del maggio del 1379, inoltre, il M. tenne Faenza in feudo per otto anni dal marchese Niccolò d’Este di Ferrara, al quale il cardinale legato Roberto di Ginevra l’aveva venduta nel 1377. Astorgio si impegnò a pagare all’Estense 24.000 fiorini d’oro in quattro anni. Alla conclusione degli otto anni il marchese avrebbe perso ogni diritto su Faenza. Il rapporto feudo-vassallatico veniva ribadito simbolicamente ogni anno, il giorno di S. Pietro, con l’offerta, da parte del M., di un destriero coperto con un panno scarlatto. Nella sua intitolazione ufficiale, tuttavia, Astorgio non recò mai traccia di questo legame feudale.
Negli anni di Astorgio andò scomparendo dal sistema politico faentino il riferimento al popolo, che rimase soltanto nel palazzo del popolo, residenza del signore. Il capitano del popolo non fu più eletto. Al vertice dell’organigramma compariva ora, accanto al podestà, il vicario del signore, o luogotenente (locum tenens), rappresentante del potere signorile nell’ordinario svolgimento della vita istituzionale cittadina. Il luogotenente sembra avere assorbito molte delle competenze che in precedenza erano state del capitano del popolo, e da questa magistratura ereditava il complesso – e non privo di ambiguità – rapporto con il podestà. Gli anziani (ora non più «del popolo», ma «della città di Faenza») conservarono la loro posizione nella struttura istituzionale del comune, mentre il consiglio generale, la cui composizione aveva subito varie oscillazioni nei decenni precedenti, assunse la forma definitiva del consiglio dei cento sapienti. Per informazioni più dettagliate vedi Gian Galeazzo (I) M..
Nelle complicate vicende diplomatiche e belliche di questi anni, il M. si schierò sia a favore dei Visconti e dei loro sostenitori che a favore delle forze antiviscontee. I due schieramenti, del resto, non erano stabili, e i voltafaccia e i cambi di fronte erano continui. L’unica logica individuabile nell’azione di Astorgio, come degli altri signori romagnoli, è il tentativo di sfruttare strategicamente i conflitti locali per ampliare la base territoriale del proprio potere, senza per altro ottenere grossi risultati. Questo sforzo si combinava poi in modo complesso con la necessità di fare cassa combattendo al servizio ora dell’una ora dell’altra potenza.
Nel 1397 il figlio del M., Gian Galeazzo, sposò Gentile di Galeotto Malatesta, sorella di Carlo, signore di Rimini dal 1385. La figlia di Astorgio, Antonia, sposò Alberico di Ludovico da Barbiano, dei conti di Cunio.
Nel 1379 Astorgio formò una propria compagnia di ventura, chiamata Compagnia della Stella, che combatté al soldo di Bernabò Visconti contro Genova, ma senza grande successo, e fu sciolta nel 1380. Negli anni successivi il M., a capo di piccoli contingenti di mercenari, combatté alternativamente al servizio di Gian Galeazzo Visconti e del mutevole fronte antivisconteo guidato da Firenze.
Il consolidamento della signoria manfrediana su Faenza, con la lunga permanenza al potere di Astorgio, segnò l’inizio di un nuovo ciclo dello sviluppo edilizio ed urbanistico della città. L’attenzione del M. si concentrò soprattutto su quella che era ormai la residenza della famiglia e la sede del potere signorile, il palazzo del popolo, che fu sottoposto a un’importante opera di ammodernamento. Il vecchio porticato ligneo con sovrastante balcone fu sostituito da un lungo portico con colonne lapidee. Il palazzo fu inoltre dotato di un giardino, che fu inaugurato in occasione delle nozze di Gian Galeazzo con Gentile Malatesta. In un secondo momento, Astorgio mostrò la volontà di intraprendere interventi urbanistici di maggiore respiro. Egli cominciò infatti a costruire una nuova e più ampia cerchia muraria, che però non fu completata a causa delle difficoltà che segnarono gli ultimi anni del suo dominio.
Il M. fu un signore colto e molto attento alla cultura del suo tempo. Il periodo più ricco dal punto di vista culturale furono gli anni ’90 del Trecento, quando il prestigio politico di Astorgio era al suo culmine, ma soprattutto egli intratteneva rapporti particolarmente stretti con Bologna e con Firenze. Nel 1396 il M. chiamò come podestà a Faenza Franco Sacchetti, con il quale intrecciò anche uno scambio di sonetti. Nel 1397-1398 egli ebbe anche uno scambio epistolare con Coluccio Salutati su questioni di letteratura latina, di cui restano solo le risposte del Salutati. A questi anni risale probabilmente anche la costituzione del primo nucleo della biblioteca manfrediana. Testimonianza di ciò è il codice Verba Salvatoris di Andalò da Imola, dedicato appunto ad Astorgio, oggi conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano. Il codice è miniato solo nel frontespizio. L’iniziale è decorata con il presunto ritratto di Astorgio, rappresentato con lo scettro in una mano e l’altra impegnata a reggere il copricapo, insidiato da un drago inseritosi nel bordo della lettera. Nella parte bassa della pagina è riportato lo stemma dei Manfredi, uno scudo inquartato d’oro e di azzurro, caricato di quattro gigli d’oro. La miniatura è probabilmente opera della bottega bolognese di Niccolò di Giacomo, attivo tra il 1349 e il 1403 circa.
Nel 1380 il M. dovette affrontare una congiura ordita dal fratello Francesco, il quale, essendo il primogenito di Giovanni di Ricciardo, riteneva che la concessione del vicariato imperiale ad Astorgio avesse leso i suoi diritti. Il complotto fallì.
I peggiori nemici del M. negli ultimi anni della sua vita furono i da Barbiano, un ramo dei conti di Cunio, famiglia alla quale i Manfredi erano legati da un intreccio di legami matrimoniali. Alberico di Manfredo da Barbiano in particolare, condottiero al servizio di Bologna e del papato, figlio di una Manfredi – Maddalena, figlia di Francesco il Vecchio – e marito di una Manfredi – Isabella, sorella dello stesso Astorgio I – nei primi anni del Quattrocento tentò di conquistare la signoria su Faenza.
Nel 1404 il M., perseguitato da Alberico da Barbiano, che mirava a insignorirsi di Faenza, si accordò con Paolo Orsini, capitano del legato pontificio Baldassarre Cossa, per cedere la città per dieci anni, e la Val di Lamone per cinque, in cambio di 2400 fiorini annui come pensione dal papato.
L’unica fonte di una certa consistenza per la storia di Faenza nel medioevo sono le 2.051 pergamene, che coprono un arco cronologico che va dal 979 al 1828, conservate presso l’Archivio di Stato di Ravenna, Sezione di Archivio di Stato di Faenza. Su questo nucleo documentario si veda G. Rabotti, Vicende vecchie e recenti (vedi bibliografia). Tra i fondi confluiti nel diplomatico, di particolare importanza per lo studio della signoria manfrediana è la cosiddetta «Raccolta Azzurrini», composta da 462 pergamene. Molte di esse sono trascritte, per esteso o, più spesso, in regesto, in B. Azzurrini, Chronica breviora (vedi bibliografia), e in G. B. Mittarelli, Ad scriptores rerum italicarum (vedi bibliografia). Il panorama documentario è completato dagli Atti dei notai del mandamento di Faenza, sempre nella Sezione di Archivio di Stato di Faenza: 11 registri per il periodo dal 1367 al 1419 e 528 dal 1419 al 1550.
Fonti: Tonduzzi G. C., Historie di Faenza, Faenza 1675; Mittarelli G. B., Ad scriptores rerum italicarum cl. Muratorii accessiones historicae faventinae, Venetiis 1771; Theiner A., Codex diplomaticus temporalis S. Sedis, Roma 1861-62, II; Salutati C., Epistolario, a cura di F. Novati, Roma 1896, III; Chronica breviora aliaque monumenta faventina a Bernardo Azzurrino collecta, a cura di A. Messeri, RIS2, XXVIII, 3, Città di Castello 1907; Costituzioni egidiane, a cura di P. Sella, Roma 1912; Statuta civitatis Faventiae, a c. di G. Ballardini, RIS2, XXVIII, 5, Città di Castello 1929; Magistri Tolosani Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, RIS2, XXVIII, 1, Bologna 1936; Sacchetti F., Libro delle rime, a cura di A. Chiari, Bari 1936; Id., Le Trecento novelle, a cura di V. Pernicone, Firenze 1946;
Studi: Malpeli L., Dissertazioni sulla storia antica di Bagnacavallo, Faenza 1806; Valgimigli G. M., Memorie istoriche di Faenza, vol. I, Faenza 1844; Panzavolta G., I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884; F. Argnani, Cenni storici sulla Zecca, sulle monete e medaglie dei Manfredi, Faenza 1886; Messeri A. – Calzi A., Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909; Ballardini G., La costituzione della contea di Brisighella e di Val d’Amone, in «Valdilamone», VII (1927), pp. 23-30; Donati G., La fine della signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938; Zama P., I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954; R. Paladini, Franco Sacchetti e Astorgio I Manfredi, in Studi romagnoli, VIII (1957), pp. 189, 195; Larner J., Signorie di Romagna, Bologna 1972; Faenza: la città e l’architettura, a c. di F. Bertoni, Faenza 1978; Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Napoli 1988; Banzola M., I conti da Cunio fra Romagna e Sabina. Un approccio prosopografico, in «Studi Romagnoli», 41 (1990), pp. 378-414; Faenza nell’età dei Manfredi, Faenza 1990; Rabotti G., Vicende vecchie e recenti del «diplomatico» faentino, in «Studi romagnoli», XLI (1990), pp. 75-111; Kohl B.G., Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore-London 1998; Tambini A., Storia delle arti figurative a Faenza, 3 voll. Faenza 2006-2009; I. Lazzarini, voce Manfredi, Astorgio (I), 68 (2007).