di:
Alma Poloni
Anni ’60 del Duecento - 1343.
1313-1327.
Faenza.
Vedi scheda famiglia Manfredi.
Defensor populi (?) (1313); capitano del popolo (1314); capitano del popolo e vexilliferus iustitie (1315); dominus Faventie (1322 -1327).
Elezione a defensor populi e poi a capitano del popolo da parte dei consigli cittadini.
Secondo B. Azzurrini, nel gennaio del 1313 il M. «ascendit palatium Faventiae pro defensione populi». Gli fu cioè probabilmente conferito il titolo di defensor populi, che sembra riprendere quello di defensor civitatis Faventie assunto nel 1310, in una breve fase di prevalenza della parte ghibellina, da Sinibaldo Ordelaffi.
A quanto sembra, le elezioni di Francesco a capitano del popolo nel 1314 e nel 1315 avvennero regolarmente nel consiglio generale cittadino, e non pare derogassero dalla norma né per quanto riguarda la durata dell’incarico né per quanto riguarda i poteri conferiti.
Secondo i cronisti, nel 1322 il M., mentre era di nuovo capitano del popolo, «vim fecit se vocari dominum Faventiae et per quattuor annos rexit eam tanquam dominus». La frase lascia intendere che Francesco, abbandonando il rispetto almeno formale per gli equilibri istituzionali, con un atto di forza abbia ottenuto, probabilmente dal consiglio generale, il conferimento del titolo di dominus e la concessione di poteri straordinari.
Faenza era un comune di popolo. La prima attestazione del capitano del popolo è del 1256, quella degli anziani del 1262. Gli anziani erano eletti sulla base delle ripartizioni topografiche, due per quartiere, e duravano in carica un bimestre. Al consiglio generale riunito in assemblea plenaria prendevano parte, oltre al podestà, al capitano e agli anziani, i consoli dei mercanti e un numero vario di cittadini cooptati probabilmente per quartiere, detti sapientes.
Negli anni in cui il M. fu capitano del popolo non fu apportata alcuna modifica al sistema istituzionale del comune. Negli atti pubblici il podestà continuava a essere nominato prima del capitano, riflesso, almeno apparente, del mantenimento della gerarchia esistente ai vertici delle istituzioni comunali. Non sappiamo nulla, invece, di eventuali mutamenti imposti successivamente al 1322, ma è probabile che almeno la forma rimanesse inalterata. È significativo che il primo atto di Albergettino Manfredi, nel suo tentativo di imporsi come signore nel luglio del 1327, fu la cacciata del podestà, che rimaneva dunque il simbolo del reggimento comunale.
Il M. aveva sposato Rengarda figlia di Malatesta da Verrucchio. Per i figli egli promosse legami matrimoniali con antiche famiglie di signori rurali dotati di importanti basi di potere nelle campagne. Lisa sposò Ruggero di Guido Salvatico, conte di Dovadola, appartenente a un ramo dei conti Guidi. Maddalena sposò Manfredi di Alberico, dei conti di Cunio. Questa alleanza fu anzi consolidata con un doppio vincolo matrimoniale: Ricciardo, destinato dal padre a succedergli al potere, sposò infatti Diletta, anch’essa figlia del conte Alberico da Cunio.
Dopo la perdita del potere a Faenza, il M. esercitò la carica podestarile in alcuni centri minori della Romagna. Nel 1338 fu Podestà di Castrocaro, e poco dopo acquistò la comunità per 6000 fiorini.
Il figlio naturale del M., Nascimbene, fu frate minore e vescovo di Trivento, e morì nel 1344.
Secondo la testimonianza dei suoi successori, si devono a Francesco il ponte detto “delle torri”, sul Lamone (distrutto da una piena del fiume nel 1842), e l’edificio che ospitava la Zecca. Ma l’aspetto più interessante della politica edilizia del M. sono i primi interventi sul palazzo del popolo, che egli, avendo puntato per la sua affermazione sulla carica di capitano del popolo, scelse come fulcro del potere, e che rimase anche in seguito la residenza dei signori.
A Francesco si deve probabilmente la committenza di un ciclo di affreschi nel palazzo del popolo, datati al terzo decennio del Trecento, che furono in gran parte distrutti durante la seconda guerra mondiale. I frammenti superstiti sono ora conservati nella Pinacoteca. Gli affreschi, che ornavano la cappella del palazzo, raffiguravano un’ampia Crocifissione, estesa per ben 7 metri, e sono stati attribuiti a un’equipe riminese vicina a Pietro da Rimini
Il secondogenito del M., Alberghettino, mostrò segni di insofferenza già nel 1326, anno al quale si fa risalire un primo complotto. Tra il 9 e il 10 luglio 1327, mentre il padre era a Bologna per consegnare formalmente la signoria di Faenza al legato papale Bertrand du Poujet, Alberghettino, con l’appoggio degli Ordelaffi e dei da Polenta, cacciò il podestà e si proclamò signore della città. Il legato, insieme a Francesco e al primogenito di questo, Ricciardo, riconquistò la città nel luglio del 1328. Alberghettino fu decapitato a Bologna nel 1329.
Nel 1327 Francesco consegnò formalmente la signoria su Faenza al legato papale Bertrand du Poujet, mentre il figlio Ricciardo rinunciava nelle mani del du Poujet alla carica di capitano del popolo di Imola.
L’unica fonte di una certa consistenza per la storia di Faenza nel medioevo sono le 2.051 pergamene, che coprono un arco cronologico che va dal 979 al 1828, conservate presso l’Archivio di Stato di Ravenna, Sezione di Archivio di Stato di Faenza. Su questo nucleo documentario si veda G. Rabotti, Vicende vecchie e recenti (vedi bibliografia). Tra i fondi confluiti nel diplomatico, di particolare importanza per lo studio della signoria manfrediana è la cosiddetta «Raccolta Azzurrini», composta da 462 pergamene. Molte di esse sono trascritte, per esteso o, più spesso, in regesto, in B. Azzurrini, Chronica breviora (vedi bibliografia), e in G. B. Mittarelli, Ad scriptores rerum italicarum (vedi bibliografia). Il panorama documentario è completato dagli Atti dei notai del mandamento di Faenza, sempre nella Sezione di Archivio di Stato di Faenza: 11 registri per il periodo dal 1367 al 1419 e 528 dal 1419 al 1550.
Fonti: Tonduzzi G. C., Historie di Faenza, Faenza 1675; Mittarelli G. B., Ad scriptores rerum italicarum cl. Muratorii accessiones historicae faventinae, Venetiis 1771; Petri Cantinelli chronicon, a cura di F. Torraca, RIS2, XXVIII, 2, Città di Castello 1902; Chronica breviora aliaque monumenta faventina a Bernardo Azzurrino collecta, a cura di A. Messeri, RIS2, XXVIII, 3, Città di Castello 1907; Statuta civitatis Faventiae, a c. di G. Ballardini, RIS2, XXVIII, 5, Città di Castello 1929; Magistri Tolosani Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, RIS2, XXVIII, 1, Bologna 1936;
Studi: Malpeli L., Dissertazioni sulla storia antica di Bagnacavallo, Faenza 1806; Valgimigli G. M., Memorie istoriche di Faenza, vol. I, Faenza 1844; Panzavolta G., I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1884; Argnani F., Cenni storici sulla Zecca, sulle monete e medaglie dei Manfredi, Faenza 1886; Messeri A. – Calzi A., Faenza nella storia e nell’arte, Faenza 1909; Ballardini G., La costituzione della contea di Brisighella e di Val d’Amone, in «Valdilamone», VII (1927), pp. 23-30; Donati G., La fine della signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938; Zama P., I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954; Larner J., Signorie di Romagna, Bologna 1972; Faenza: la città e l’architettura, a c. di F. Bertoni, Faenza 1978; Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Napoli 1988; Banzola M., I conti da Cunio fra Romagna e Sabina. Un approccio prosopografico, in «Studi Romagnoli», 41 (1990), pp. 378-414; Faenza nell’età dei Manfredi, Faenza 1990; Rabotti G., Vicende vecchie e recenti del «diplomatico» faentino, in «Studi romagnoli», XLI (1990), pp. 75-111; I. Lazzarini, voce Manfredi Francesco, in DBI 68 (2007); Tambini A., Storia delle arti figurative a Faenza, 3 voll. Faenza 2006-2009.