Montefeltro, Antonio da


di:
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Estremi anagrafici:

1348-1404.



Durata cronologica della dominazione:

1375-1404.

Per Gubbio: 1384-1404.



Espansione territoriale della dominazione:

Cfr. la scheda famiglia Montefeltro.

Origine e profilo della famiglia:

Cfr. la scheda famiglia Montefeltro.


Titoli formali:

Conte di Montefeltro; detentore della custodia civitatis di Urbino (dal 1363); signore di Urbino (dal dicembre 1375); signore di Cagli (un primo tentativo nel 1372, definitivamente dal 1375); vicario apostolico di Urbino, Cagli e loro distretti (dal luglio 1379); signore di Cantiano (dal 1394). Il titolo di «conte d’Urbino» è attestato frequentemente nelle cronache e nella corrispondenza in arrivo, ma Antonio, a quanto sembra, non se ne serve prima del 1398, da quando la formula usuale diviene «comes Montisferetri, Urbini, etc.».

A Gubbio: Defensor et gubernator communi et populi civitatis Eugubii.


Modalità di accesso al potere:

Nel 1369, essendo Urbino controllata direttamente dai vicari pontifici, Antonio, che militava nell’esercito della Chiesa, entrò in aperta ribellione. Recatosi ad Avignone l’anno successivo, riebbe dal pontefice i beni allodiali e una provvigione mensile, ma non la custodia civitatis di Urbino. Tentò una prima volta di rientrare a Urbino nel 1374 e una seconda volta, con il sostegno di Firenze, il 21 dicembre del 1375, nel corso delle sollevazioni generali che si ebbero in quel periodo nello Stato Pontificio. Antonio si mosse da Città di Castello con un contingente di quattrocento cavalli e fu «gridato signore» della città, allontanandone Galeotto Malatesta. Pochi giorni dopo, riuscì a prendere anche Cagli, che si diede alla sua signoria.  Nel 1394 occupò stabilmente anche Cantiano, riuscendo in tal modo a costituire una dominazione compatta su nella regione appenninica.

A Gubbio: Dopo l’abdicazione del vescovo Gabriele Gabrielli e del fratello Francesco, il governo tornò per pochi mesi nelle mani del popolo che avviò una politica di superamento dei provvedimenti presi dal regime precedente mettendone al bando i principali protagonisti e favorendo il reintegro e le richieste di giustizia di coloro che ne erano stati perseguitati. Evidentemente però mancavano i mezzi finanziari e militari per resistere alla crisi permanente e alla pressione militare dei mercenari fedeli ai fuoriusciti ora riunitisi attorno a Francesco Gabrielli (il fratello Gabriele era morto poco dopo l'abdicazione). Furono questi i principali motivi che spinsero la città, nel marzo 1384, a consegnarsi al Montefeltro, il quale si presentò come il difensore dell'ordinamento cittadino. Egli stipulò con la comunità una serie di capitoli che ben rappresentano il carattere eminentemente militare del periodo iniziale di questa esperienza (presa di possesso delle fortezze cittadine, richiesta del giuramento di obbedienza militare da parte dei cittadini etc.), nonché le difficoltà economiche che la città attraversava, simboleggiate dalla garanzia fornita di un approvvigionamento annonario stabile - accompagnata da una immediata iniezione di 400 starii di grano - e del blocco dei prezzi del grano per gli anni immediatamente successivi.


Legittimazioni:

Il 30 settembre 1363 il cardinale Albornoz rinnovò la concessione della custodia civitatis di Urbino e del suo distretto a Paolo di Galasso di Montefeltro e ai pupilli Antonio, Nolfo e Galasso figli di Federico Novello. La legittimità della signoria su Urbino e Cagli nel 1375 viene considerata derivante  «dalla designazione popolare» (Franceschini 1970, p. 301). Nel luglio 1379 Antonio ottenne per dodici anni la concessione del vicariato apostolico in temporalibus su Urbino, Cagli e loro distretti, nonché su una trentina di castelli nel Montefeltro, dietro la corresponsione di un censo annuo di 800 fiorini. Tale concessione fu confermata per altri dodici anni il 3 giugno 1390, dietro la corresponsione dello stesso censo annuo, oltre al versamento degli arretrati.

Per Gubbio: La dedizione del comune al conte è formalizzata da un trattato. Il vicariato pontificio sulla città è concesso ad Antonio da papa Bonifacio IX nel 1390.


Caratteristiche del sistema di governo:

Il periodo del suo dominio segna una fase di svolta nella storia dello Stato urbinate, tanto che egli ne è ritenuto propriamente il «fondatore». Tanto Maria Rossi quanto Gino Franceschini considerano la sua dominazione quella che segnò il passaggio dal «periodo feudale»  a quello «signorile» della storia dei Montefeltro. A partire dal 1375 la signoria del conte Antonio fu infatti di segno monarchico, venendosi definitivamente a perdere la struttura della dominazione almeno parzialmente collettiva – e spesso diarchica – che era stata caratteristica delle generazioni precedenti. Antonio assunse il potere da solo e con il favore popolare, estromettendo quasi completamente i fratelli: solo suo fratello Galasso (m. 1396), da quanto è dato sapere, fu per alcuni anni suo vicario a Gubbio. Inoltre, la concessione del vicariato apostolico gli consentì di governare il dominio già dinastico con un grado molto alto di legittimazione. La conquista di Gubbio e del suo contado portò all’assestamento quasi definitivo del territorio, che, nonostante i tentativi di reazione e contenimento da parte delle potenze vicine, si strutturò in un’unità compatta, di circa 2000 chilometriquadrati a cavallo dell’Appennino. «Sulle prime – scrive Franceschini – [Antonio] parve rispettoso delle libertà municipali ed i comuni maggiori, come Urbino e Cagli, ebbero una certa autonomia […]; ma poi a grado questi, come capo delle forze armate, prevalse, e i suoi vicari residenti in ogni città o comune, intervennero sempre più frequentemente nella gestione della cosa pubblica, mentre nel corpo degli antichi statuti si inserivano via via i decreti del Signore, promuovendo in tal modo l’unificazione giuridica del nuovo Stato» (Franceschini 1970, p. 305). Con una prospettiva centralistica, Antonio vigilò sui mercati, sulle milizie e sulla sicurezza pubblica e fece redigere nuovi statuti a Cagli, Gubbio, Peglio, nel Montefeltro e a Urbino, dove nel 1396 promulgò le Constitutiones appellationum. Riordinò le milizie, inquadrò i signori minori della zona, controllò sempre più direttamente le cariche ecclesiastiche e si servì di un ceto di officiali spesso reclutati tra le maggiori famiglie del territorio, cui conferì gli incarichi di amministrazione, giustizia e cancelleria. Inoltre istituì il communis Montisferetri, che, stabilito a Montecerignone, fu l’organismo con il quale venne organizzata la regione del Montefeltro. Soprattutto la città di Urbino e il vicino borgo di Fermignano dovettero trarre giovamento economico dall’attività del conte, che impiantò laboratori artigiani di tessuti, ceramiche e cartiere e fece aprire banchi di credito.

A Gubbio: La questione militare si protrasse fino al 1396, anche a motivo del sostegno dato da Firenze alla causa di Francesco Gabrielli. Ancora più interessante fu invece il percorso seguito dal Conte per inserirsi in maniera sempre più forte e irreversibile nelle istituzioni comunali, percorso che tradisce una certa progettualità politica. Gradualmente infatti, a partire dalla fine degli anni Ottanta, i consoli risultano sempre più spesso agire su mandato del Conte o dei suoi rappresentanti. Podestà, vicari e altri ufficiali vengono  nominati dal Conte e la luogotenenza passa dal 1389 nelle mani di suoi stretti famigliari (nell'ordine, Niccolò (1389) Galasso (1390-1400) Guidantonio (1400-1404)). Il ruolo dei consoli viene progressivamente relegato all'ambito amministrativo e alla ratifica delle decisioni comitali mentre il consiglio generale è abbandonato in favore di un consiglio de Rechestis che vede la partecipazione di un numero variabile di notabili provenienti dalle alte sfere del Popolo e, in minor misura, della nobiltà, inizialmente nominati dai consoli e poi dal Conte. Le questioni discusse da questo consiglio sono quasi sempre di carattere fiscale, legate all'imposizione di nuove imposte o al reperimento mediante prestanze di fondi per eventi eccezionali come gli avventi del Conte in città o le nozze dei suoi figli. Anche il notaio delle Riformanze/cancelliere proviene ora dall'entourage urbinate. Il vicariato pontificio sulla città concesso ad Antonio da papa Bonifacio IX nel 1390 sembra aver agito da catalizzatore del delineato processo di insignorimento.

Nonostante le istituzioni comunali eugubine, alla fine dell'esperienza di Antonio, paiano relegate sempre di più a mere funzioni amministrative, svuotate di qualsiasi potere decisionale forte e inserite nel quadro geopolitico più ampio della Contea feltresca, non è impossibile trovare ancora tracce di “vitalità cittadina”: nel giugno del 1403, ad esempio, i consoli con otto prudenti viri presentano una serie di richieste al Conte affinchè, fra le altre cose:

-limiti le ingerenze dei suoi ufficiali nella gestione delle cause civili,

-si attenga alla norma statutaria che prescrive in 6 mesi e non come vitalizia la durata della carica podestarile,

-intervenga per mettere a tacere la comunità di Cantiano che tenta di sottrarsi ai suoi doveri fiscali nei confronti del comune adducendo che il Conte vuole così,

-fissi a Gubbio la stabile residenza del suo luogotenente, il figlio Guidantonio, per far rispettare meglio le precedenti disposizioni quasi tutte approvate (Sezione Archivio di Stato di Gubbio, Fondo comunale, Riformanze, 16,  cc. 148r-149r).

In altre parole il Montefeltro viene ancora visto come un'autorità in grado di garantire l'esistenza di un ordinamento comunale che da tempo ha ormai smesso di funzionare autonomamente ma rimane ancora ben vivo negli orizzonti mentali delle istituzioni che ancora lo rappresentano.


Sistemi di alleanza:

Pur essendo signore di uno stato molto più piccolo rispetto a quelli «regionali», il sistema di alleanze del conte Antonio si inserisce pienamente nel quadro delle relazioni tra i maggiori potentati, con passaggi dalla parte della Chiesa (da cui ottenne il vicariato apostolico), di Firenze (essendo divenuto «raccomandato» della Repubblica) e soprattutto di Milano (avendo intrattenuto rapporti molto stretti con Giangaleazzo Visconti). Nei primi decenni della sua attività politica, il legame famigliare più importante fu quello che lo legava ai Prefetti di Vico, avendo egli sposato Agnesina, che era figlia di Giovanni III (m. 1366) e sorella di Francesco. Negli anni del suo governo è continua l’alternanza di contrasti e conciliazioni tra la sua casa e quella dei Malatesta, con cui furono concluse diverse paci (1380, 1388, 1393) risaldate da importanti alleanze matrimoniali: le sue figlie Battista (1384-1448) e Anna (m. 1434) sposarono rispettivamente Galeazzo Malatesta signore di Pesaro (vedi scheda Carlo Malatesta) e Galeotto Belfiore Malatesta; suo figlio Guidantonio sposò in prime nozze Rengarda, sorella di Galeotto Belfiore. La possibilità di un consolidamento progressivo dello Stato urbinate si deve anche alla favorevole contingenza della morte di Galeotto Malatesta (1385), poiché questa fu seguita da una frammentazione dei possessi familiari e dunque da un indebolimento temporaneo di quella che rimaneva in ogni caso la principale casata avversaria dei Montefeltro. Anche sul versante eugubino, dove i maggiori avversari erano invece Gabrielli, furono contratti matrimoni per rinsaldare le paci: come quello tra suo fratello Nolfo e Margherita figlia di Cante Gabrielli. Il vincolo di alleanza più tenace fu quello con i Visconti e soprattutto con Giangaleazzo: Antonio entrò nella lega fiorentino-viscontea nel 1376, fu comandante e aderente del signore di Milano, il quale a sua volta fu mallevadore delle sue tregue con i Malatesta, fece parte del corteo che nel 1395 lo salutò duca di Milano, divenne capo del suo consiglio segreto e, dopo la di lui morte (1402), entrò nel consiglio di reggenza dei figli minori.


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Comandante nell’esercito della Chiesa (1368-1379); «raccomandato» della Signoria fiorentina (dal 1376); comandante per la regina Giovanna di Napoli (1381); cittadino di Perugia (1381); comandante per Gian Galeazzo Visconti (dal 1388); membro del consiglio segreto del duca di Milano (dal 1399); membro del consiglio di reggenza del ducato di Milano (1402-1404).


Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Secondo Franceschini (1970, pp. 351-352), «La salda organizzazione dello Stato veniva di giorno in giorno avvalorata dalla sottomissione quasi incondizionata delle alte dignità ecclesiastiche […]. Dopo la morte di Urbano VI e fatto atto di sottomissione al pontefice, Bonifacio IX provvide ai vescovadi vacanti con il gradimento e l’assenso del conte». Si può peraltro osservare come, diversamente da quanto era avvenuto nel corso dei due secoli precedenti, i conti di Montefeltro del periodo di Antonio non sembrano avere ricoperto in prima persona importanti incarichi ecclesiastici: anche questa differente strategia può essere fatta forse risalire al desiderio di accentrare il potere nelle mani di un solo signore, evitando la compartecipazione al potere e il rischio di ingerenze. L’arrivo come vescovo di Urbino di Oddone Colonna, eletto papa con il nome di Martino V nel 1417, avrebbe contribuito largamente alla fortuna di suo figlio Guidantonio.  Antonio fu confratello della Fraternita di S. Croce di Urbino, fondata nel 1318.


Politica urbanistica e monumentale:

Ordinò imponenti opere di architettura a Urbino, dove fece costruire un palazzo documentato dal 1392. Questo viene solitamente, ma erroneamente, identificato con l’attuale palazzo Bonaventura sede dell’Università. Nell’ultimo decennio del secolo XIV furono ripresi i lavori per terminare i palazzi municipale e pretorio di Gubbio. Al 1400 è datato l’oratorio di S. Giovanni di Urbino, interamente affrescato dai fratelli Salimbeni.


Politica culturale:

Antonio curò la cancelleria del suo stato, chiamando a Urbino letterati fiorentini e promuovendo la formazione del personale tra i membri delle principali famiglie urbinati. Si circondò di una corte di artisti e letterati, tra i quali Simone Serdini da Siena detto il Saviozzo, che fu suo cancelliere.  Mostrò interesse per la poesia in volgare e fu autore: si conservano un suo sonetto e una preghiera (Biblioteca Nazionale di Napoli, Cod. Neap. XIII C2, ff. 195v-196v). Gli furono dedicate alcune opere, tra cui il trattato De Astris di ser Jacopo di Manno da Gubbio e il De quibusdam miraculis Virginis Mariae occursis Mutine di Gerardo Anechini. Anche sua figlia Battista fu autrice di rime. Rinverdì a Urbino il culto per Dante, già tradizionale nella sua famiglia. Alcuni codici di quella che sarebbe divenuta, con suo nipote Federico (1422-1482) la celebre Libraria dei Montefeltro (oggi la collezione degli Urbinati latini in Biblioteca Apostolica Vaticana) portano le sue note di possesso. È stato ipotizzato che il Dante Urbinate redatto nel 1352, uno dei più antichi e autorevoli codici della Commedia, fosse entrato nella libraria dei Montefeltro per sua iniziativa (BAV, Urb. lat. 366). La sua impresa araldica raffigura uno struzzo con la punta di una partigiana nel becco e il motto «Icain verdait en gros eisem» (Io ho digerito un grosso ferro).


Consenso e dissensi:

Nell’aprile 1385, i Gabrielli con alcuni collegati tentarono di far sollevare Gubbio contro il nuovo signore. Della congiura fanno parte anche i fratelli di A., Nolfo e Guido, che furono incarcerati a vita.


Giudizi dei contemporanei:

Gli Annales Forolivienses dicono di lui: «Dominus fuit prudens et alti consilii et spiritus». Il Saviozzo scrisse una canzone in onore di Guidantonio, nella quale esaltò il genitore con parole di elogio: «Costui fu specchio e fu radice e seme / d’ogni eccelsa virtù, d’ogni clemenza / quanto che Italian forse fu mai […]. /Fu essa sapienza e fu securo /animo, valoroso e con vittoria: / più volte acquistò gloria / che il tacer contra cui è forse meglio, / costui fu il conte Antonio, venerabil veglio».


Fine della dominazione:

Negli ultimi anni della sua vita, Antonio visse spesso presso la corte viscontea, demandando al figlio Guidantonio e alla moglie Agnesina il governo dello stato.  Riprese il governo saltuariamente nel 1403 e morì il 29 aprile 1404. Il figlio gli successe pacificamente.


Principali risorse documentarie:

Cfr. la scheda famiglia.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

R. Borghesi, Rime del conte Antonio di Montefeltro, Rimini 1819; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d’Urbino, Firenze 1859 (ediz. anast. Urbino 2008), I, pp. 156 s., 160-165, 179-191, 194; G. Franceschini, I Montefeltro, Varese 1970, pp. 252, 268, 287-364, pp. 583 s.: elenco di fonti e bibl.; G. Franceschini, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d’Urbino e dei conti di Montefeltro, Urbino 1982, I, (1202-1375), nn. 190, 231, 234-236; II, (1376-1404), l’intero vol.; C.H. Clough, L’avvento della signoria dei Montefeltro a Gubbio, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, LXXXVI (1989); T. di Carpegna Falconieri, Montefeltro, Antonio di, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, in corso di stampa (con elenco di fonti e bibliografia).


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali:

Alberto Luongo è autore degli approfondimenti su Gubbio; Tommaso Carpegna di Falconieri è autore del resto della scheda.