di:
Francesco Pirani
Seconda metà XIII secolo – 1340.
1331-1340.
L’autorità del M. si estese su un territorio più ristretto rispetto al contado comunale di Fermo e si orientò a seconda delle sue reali capacità di imporsi sui centri minori, grazie ad una rete di alleanze militari. Si dovrà dunque immaginare un’autorità estesa a macchia di leopardo sui vari centri castrensi sottoposti all’autorità delle dominante. L’Informatio status Marchea Anconitanae, un importante processo politico tenuto dalle autorità papali nel 1341, fornisce precise indicazioni a tale proposito: Mercenario avrebbe controllato i centri di Monterubbiano, Montefiore, S. Elpidio, Montolmo, Montegranaro, San Giusto.
I Monteverde provenivano dal contado fermano, dal castrum di Monteverde, in territorio di Montegiorgio, prospiciente alla valle del Tenna, ove erano detentori, fino al primo Duecento, di un modesta signoria territoriale. Appartengono a quella pletora di piccole famiglie signorili (fra cui i da Mogliano, i signori di Massa, di Loro, di Sant’Angelo in Pontano, dei cosiddetti conti Bonifaci), capillarmente diffuse nella Marca centro-meridionale e titolari di diritti molto localizzati e dispersi. Gran parte di queste famiglie si trasferirono a Fermo verso la metà del Duecento: non si ha però traccia della presenza dei Monteverde nelle sedi istituzionali. I da Mogliano, i Monteverde e i Falerone avevano un’ascendenza comune, ma dal primo Duecento ogni ramo appare del tutto indipendente dall’altro nella politica patrimoniale e giurisdizionale. Si può dunque così riassumere il profilo di queste famiglie: signorili fino alla prima metà del XIII secolo, esponenti dell’aristocrazia del contato inurbate alla metà del XIII secolo, variamente presenti nelle istituzioni comunali nella seconda metà dello stesso secolo; approfondirsi della vocazione militare, nel corso del Trecento, fino all’assunzione di condotte. Caratteristiche di queste famiglie sono, sotto il profilo politico, la militanza nel coordinamento ghibellino e il costante frazionamento dei patrimoni ad ogni divisione ereditaria, con la conseguente dispersione geografica dei beni e l’indebolimento della coesione familiare nel tempo.
Conservator pacis et populi (1334).
L’autorità de facto del M. su Fermo si impose all’interno delle lotte fra parti cittadine e sovracittadine. Una testimonianza contenuta nell’Informatio è particolarmente eloquente: riferisce di Mercenario e dei Guzzolini di Osimo come maiora capita partis gebelline nella Marca.
Il M. riuscì a stabilire una signoria de facto sulla città con il titolo di conservator pacis et populi (1334): si può dedurre che l’affermazione istituzionale del signore avvenne sia all’interno delle lotte di parte, sia nelle fila del partito popolare. Il popolo a Fermo aveva ricevuto infatti uno stabile assetto negli ultimi anni del ‘200, con l’istituzione del capitano del popolo, ma aveva intrapreso una lenta fase di chiusura all’inizio del Trecento.
Mercenario non ebbe legittimazioni ufficiali dall’alto, ma seppe garantirsi alternativamente l’appoggio da parte dell’impero e del papato.
Inizialmente l’egemonia del M. fu condivisa con il fratello Baccalario fino alla morte di quest’ultimo, nel 1325, ma la signoria vera e propria fu di tipo individuale. Non si conoscono i rapporti fra Mercenario e il sistema comunale: dalle poche testimonianze superstiti sembra che si fosse instaurata una sorte di ‘diarchia’ nella quale le istituzioni del comune e il signore appaiono affiancati. Ad es., in una lettera rivolta agli ambasciatori del rettore della Marca del 1333 gli intestatari risultano il comune e il M., l’uno giustapposto all’altro. La cronaca quattrocentesca del notaio fermano Antonio di Nicolò fa cenno agli statuti e agli ordinamenti del signore, ma non se ne ha traccia nella scarsa documentazione superstite.
Il M. iniziò nel 1318 la sua intensa attività militare all’interno della lega ghibellina della Marca, allorché insieme al fratello Baccalario prese parte, in stretto collegamento con i Simonetti di Jesi, a varie “cavalcate” in una vasta area fra l’Esino e il Chienti. Nel 1318 partecipò all’assalto di Macerata, sede della curia rettorale, riportando per tali azioni la condanna papale. Negli anni Venti, Mercenario si trovò al centro delle alleanze ghibelline della Marca, coagulate nella “Lega degli amici della Marca”, in stretto contatto con i Chiavelli fabrianesi e i Guzzolini osimani; strinse anche significativi legami con i Tarlati di Arezzo, acquistando una posizione di tutto rilevo nella compagine ghibellina marchigiana, della quale assunse la guida all’indomani della morte di Federico da Montefeltro (1322). Si può verosimilmente affermare che la base della sua signoria cittadina poggiasse sulla forza coesiva della lega ghibellina.
Negli anni della discesa in Italia di Ludovico il Bavaro, Mercenario assurse ad un ruolo di primo piano: l’imperatore in una lettera del 1328 inviata al M., conservata presso l’archivio comunale di Fermo (doc. inedito), si rivolge a lui con l’appellativo di propugnaculum imperii, e lo esorta ad accogliere nella città di Fermo Giovanni di Chiarmonte, conte di Mohac, suo vicario nella Marca; negli stessi anni Mercenario risulta capitano della coalizione ghibellina nella Marca.
Riconciliatosi con il papa dopo la fine dell’avventura italiana del Bavaro, il M. ottenne l’assoluzione plenaria in articulo mortis; nell’agosto 1333, all’atto solenne di pacificazione frala Chiesa e i ribelli avvenuto a Fermo, sottoscrisse l’impegno di intervenire militarmente con fanti e cavalieri al fianco della Chiesa, su richiesta del rettore o di altri ufficiali della curia provinciale.
Successivamente, con l’avvento al soglio pontificio di Benedetto XII, venne a crearsi un nuovo e insanabile contrasto fra il papa e il M.: nel maggio 1335 il pontefice condannò l’operato del signore fermano, invitandolo a sottomettersi all’autorità della Chiesa; in un’altra lettera coeva, Benedetto XII, definì Mercenario tyrannus pessimus.
Il M. è documentato dal 1315 al 1317 come podestà di Amandola, ove sostenne i Brunforte in opposizione ad altre famiglie signorili dell’area appenninica.
Negli anni dell’antipapa Pietro da Corvara, sembra che il M. avesse costretto la città a riconoscere, nel 1327, l’antipapa Nicolò V: la notizia è attestata dalla confessione (doc. inedito) fatta da Mercenario al momento del suo ritorno all’obbedienza papale; che invece il M. avesse appoggiato l’elezione di un vescovo scismatico, Vitale, è sostenuto soltanto dall’erudizione ottocentesca.
Vedi voce “Fine della dominazione”.
La cattiva fama della dominazione del M. viene esaltata dal notaio-cronista quattrocentesco fermano Antonio di Nicolò, che definisce Mercenario “tirannus et dominus in civitate Firmi …, multas injustitias, adulteria et scalera multa in dicto tempore commiserat et committi fecerat”. Del resto, afferma il cronista, il M. fu sepolto “nemine ipsum plorante neque exsistente, et nudus tamen” (Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, p. 16).
Secondo la cronaca fermana quattrocentesca del notaio Antonio di Nicolò, un complotto portò all’uccisione del M. nel 1340. Il 20 febbraio Mercenario venne aggredito da sette cavalieri vicino ad una porta cittadina e dal monastero di S. Pietro uscirono a sorpresa alcuni cavalieri armati, che lo trafissero. Non disponiamo di nessun’altra testimonianza utile a contestualizzare l’accaduto. Il cronista afferma poi che il giorno successivo, “ante palatium populi, magnus tumultus per populum vociferantem et dicentem : «Vivat populus et moriantur gabelle ». Et tunc in perpetuo fuerunt cassate gabelle et omnia ordinamenta, condemnationes et statuta facta tempore dicti tiranni”. Sembra dunque che il M. cadde vittima dei suoi nemici politici (non identificabili) e che la sommossa popolare seguì (e non precedette, in questo caso) l’uccisione del tiranno.
Pochissimi i documenti conservati a Fermo riguardanti il M. Nell’Archivio di Stato di Fermo si conserva un fascicolo relativo ai patrimoni di Mitarella (“Carte di Mitarella”), figlia di Mercenario, ma riguarda soltanto questioni connesse con l’eredità sui beni del castello di Monteverde. La documentazione papale risulta dunque la chiave privilegiata per accedere ad informazioni sul M., la cui figura appare al centro dell’Informatio. Uno spoglio sistematico delle attestazioni del M. nelle lettere pontificie (contenute nei Registri Vaticani) si trova in Licitra, Mercennario (vedi Bibliografia).
Fonti: Nuova Cronica, di Giovanni Villani, edizione critica a cura di Giovanni Porta, 3 voll, Parma, 1991, libro XII, cap. CVIII; F. Pirani, Informatio status Marchie Anconitane. Una inchiesta politica del 1341 nelle terre dello Stato della Chiesa, in Reti medievali- Rivista, V (2004, 2), www.retimedievali.it; Antonio Di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, ed. critica e annotazioni di G. De Minicis, introduzione e traduzione di P. Petruzzi, Fermo 2008 (Biblioteca Storica del Fermano, 8)
Studi: V. Licitra, Mercennario da Monteverde e le signorie marchigiane (Primi risultati di una ricerca), in Miscellanea di studi marchigiani in onore di Febo Allevi, a c. di Gianfranco Paci, Agugliano 1987 (Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia, 36), pp. 181-217; L. Tomei, Il comune a Fermo dalle prime origini fino al Quattrocento, in Istituzioni e statuti comunali nella Marca di Ancona, Dalle origini alla maturità (secoli XI-XVI), II, 2, II, 1-2: Le realtà territoriali, a cura di V. Villani, Ancona 2007, pp. 403-438.