di:
Francesco Pirani
Prima metà XIV secolo – 1379.
1376-1379.
L’autorità del M. si estese su un territorio più ristretto rispetto al contado comunale di Fermo e si orientò a seconda delle sue reali capacità di imporsi sui centri minori, grazie ad una rete di alleanze militari. Si dovrà dunque immaginare un’autorità estesa a macchia di leopardo sui vari centri castrensi sottoposti all’autorità delle dominante.
Rinaldo era figlio naturale di Mercenario da Monteverde, signore a Fermo dal 1331 al 1340 (vedi scheda Mercenario da Monteverde). I Monteverde non inseguirono mai un disegno coerente di impiantare nella città una loro signoria: fra Mercenario e Rinaldo non vi è alcuna continuità cronologica. Del resto Rinaldo si impose su Fermo grazie alla forza militare, dopo un lungo periodo svolto come condottiero in Lombardia al servizio dei Visconti e dunque non si può ravvisare nessun tipo di continuità fra Rinaldo e Mercenario.
Il M. si impose manu militari a Fermo alla fine del 1375, forte probabilmente del prestigio e della potenza militare derivante dall’assunzione della condotta per conto della Repubblica fiorentina. Non emerge alcun collegamento politico, attraverso la scarsa documentazione, fra Rinaldo ed esponenti della società fermana.
Non sappiamo nulla sulle forme di governo in vigore a Fermo negli anni di del M., poiché la documentazione è del tutto assente. Si può tuttavia formulare l’ipotesi che Rinaldo avesse imposta una autorità di fatto, basata esclusivamente sulla forza militare, senza incidere sul governo locale. La fragilità delle basi politiche dell’autorità del M. sono evidenti dalla durata effimera della sua signoria e dall’incapacità di tessere relazioni profonde in seno alla società, di costruire legami ed affondare le proprie radici nella realtà cittadina.
Il M. riuscì a imporsi a Fermo schierandosi al fianco di Bernabò Visconti (presso il quale aveva svolto probabilmente la funzione di capitano di ventura prima di tornare a Fermo) e delle città ribelli alla Chiesa (Firenze e Perugia in testa) durante la cosiddetta Guerra degli Otto Santi. La sua attività militare fu anche sostenuta dalla Repubblica fiorentina: il cancelliere Coluccio Salutati in una lettera del 7 dicembre 1376 lo esortò a deporre le ostilità con un capitano di ventura della Marca meridionale, Boffo da Massa, per servire alla causa della guerra contro la Chiesae in particolare contro Ascoli, ancora fedele al papa. Il quadro territoriale entro cui si mosse Rinaldo restò limitato all’ambito strettamente locale. Rinaldo, negli anni in cui aveva svolto il mestiere delle armi in Lombardia, entrò in contatto con i capitani di ventura viscontei e sposò Villanella (Luchina), una delle figlie del condottiero di origine veronese Luchino Dal Verme.
Le fonti cronachistiche, sia locali (la quattrocentesca cronaca del notaio fermano Antonio di Nicolò) che malatesiane sono concordi nell’attribuire al M. la stigma del tiranno efferato: forse non si tratta soltanto di una costruzione retorica ma un segnale inequivocabile della forte scollatura fra il tiranno e la città.
Dopo l’uccisione di Rinaldo, fece immancabilmente seguito la liturgia della esecrazione della memoria: vennero infatti scolpite, a memoria imperitura, le teste di Rinaldo e dei suoi due figli e dalla bocca di Rinaldo fuoriuscivano due carmina in volgare: uno recitava Tiranno fui pessimo et crudele, l’altro, Sol per mal far, di me e di Luchina [Dal Verme, moglie del M.]/cari miei figli, pateste disciplina (Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, pp. 20-21).
La quattrocentesca cronaca del notaio fermano Antonio di Nicolò riferisce di una revolutio avvenuta a Fermo il 25 giugno 1379 nel corso della quale la popolazione si liberò della tirannia del M. Questi si trovava a Montegiorgio e fu inseguito fino a Montefalcone, in area appenninica, ove resistette per alcuni mesi, grazie all’accorrere delle truppe mercenarie guidate da Lucio di Lindau. Quasi un anno dopo fu catturato e portato a Fermo per essere giustiziato. Seguì un vero e proprio rituale di festa collettiva, come risulta dalla descrizione di Antonio di Nicolò: nel giugno 1380 fu condotto sulla schiena di un asino nella piazza di San Martino con una spina in testa e nel giubilo generale venne giustiziato insieme ai suoi figli per decapitazione, secondo Antonio di Nicolò, oppure per impiccagione, secondo gli Annales forolivenses.
Nessun documento d’archivio si conserva a Fermo sul M. (probabilmente gli atti furono vittima della damnatio memoriae seguita alla fine del regime).
Fonti: Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, ed. critica e annotazioni di G. De Minicis, introduzione e traduzione di P. Petruzzi, Fermo 2008 (Biblioteca Storica del Fermano, 8)
Studi: S. Virgili, Rinaldo da Monteverde, tiranno di Fermo (1375-1379), in Quaderno dell’Archivio Storico Arcivescovile di Fermo, 42 (2006), pp. 101-118; L. Tomei, Il comune a Fermo dalle prime origini fino al Quattrocento, in Istituzioni e statuti comunali nella Marca di Ancona, Dalle origini alla maturità (secoli XI-XVI), II, 2, II, 1-2: Le realtà territoriali, a cura di V. Villani, Ancona 2007, pp. 403-438; F. Pirani, “Crudelissimo Nerone”: la memoria damnata di Rinaldo da Monteverde, signore di Fermo († 1380), in Studia Picena, LXXVI (2011) (in corso di stampa).