di:
Alma Poloni
?-1374.
1333-1359.
Quello di Francesco fu il periodo di maggiore estensione del dominio della famiglia. Tra i primi anni ’30 e il 1357 gli O. controllavano Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro e anche la città di Cesena, oltre a una serie di castelli collinari minori.
Vedi scheda famiglia Ordelaffi. Francesco (II) era figlio di un fratello di Cecco (Francesco I), di nome Sinibaldo.
Capitaneus civitatis (sic) Forlivii, Cesene et Forlimpopilii; vicario imperiale?
Subentrato per breve tempo allo zio Francesco (I) dopo la sua morte nell’agosto del 1331, fu costretto a sottomettersi a Bertrand du Poujet e a rinunciare al dominio su Forlì all’inizio del 1332. Nel settembre del 1333, tuttavia, con l’appoggio degli Estensi, si impadronì della città cacciandone il rettore per la S. Sede Tommaso Formaglini.
Al momento abbiamo un solo atto pubblico relativo alla signoria di Francesco. Si tratta di un patto concluso tra gli O. e Firenze nel 1335 per il controllo del castello di Meldola, edito da E. Balzani Maltoni (vedi bibliografia). Qui Francesco agì in qualità di capitaneus civitatis (sic) Forlivii, Cesene et Forlimpopilii. Ciò suggerisce un salto di qualità rispetto alla natura del potere esercitato dai suoi predecessori, Scarpetta e Cecco O., che si erano limitati ad assumere l’ufficio di podestà o capitano del popolo, con particolare predilezione per il secondo. Si può notare, poi, che, a differenza degli ambasciatori di Firenze, che dichiararono gli estremi dell’atto di sindacato con il quale era stata loro trasmessa la facoltà di agire in nome del comune di Firenze, Francesco non faceva alcun accenno a un mandato ricevuto da qualcuno dei comuni che rappresentava. Per analogia con i casi romagnoli praticamente contemporanei di Ostasio da Polenta e Lippo Alidosi (vedi schede relative), possiamo forse ipotizzare che anche per l’O. l’innovazione costituita dall’adozione del titolo di capitaneus civitatis si accompagnasse alla concessione di poteri speciali, magari nell’ambito della custodia della (o delle) città, della protezione da attacchi interni ed esterni e della difesa del bonum et pacificum statum. Potrebbe essere una conferma in questo senso il fatto che il documento del 1335 contenga un richiamo esplicito, come motivazione della adesione degli O. ai patti con Firenze, ad pacem concordiam et tranquillum statum pacificum et quietum della famiglia signorile, delle tre città da essa rette, e di tutte le terre sotto il suo controllo.
Secondo la tradizione storiografica, non suffragata da conferme documentarie, Francesco avrebbe ottenuto da Ludovico il Bavaro il vicariato imperiale nel 1342.
La mancata conservazione dei testi statutari non ci consente di sapere se, come in altri casi romagnoli, ad esempio in quello di Lippo Alidosi, l’abbandono da parte del signore dell’ufficio di capitano del popolo abbia di fatto coinciso con la scomparsa del riferimento al popolo nel sistema istituzionale di Forlì e magari anche di Cesena e Forlimpopoli.
Negli anni di Francesco il tradizionale ghibellinismo degli O. si espresse in una politica fortemente ostile alla curia pontificia e alle sue aspirazioni al dominio della Romagna. Francesco fu il principale nemico della Chiesa in quest’area, e in tale veste egli favorì in più occasioni i progetti espansionistici dei Visconti, in particolare di Bernabò. Egli fu dunque il punto di riferimento locale di ogni alleanza in funzione antipapale.
Allo stesso tempo, tuttavia, egli coltivò una coerente strategia di alleanza matrimoniale con i Malatesta, che si presentavano, pur con qualche oscillazione, come il principale sostegno dell’azione pontificia in Romagna. Dei figli che Francesco ebbe con Cia degli Ubaldini da Susinana, Sinibaldo sposò (ma solo nel 1379, quando il padre era già defunto) Paola Bianca dei Malatesta di Pesaro, Giovanni e Ludovico sposarono le due sorelle Taddea e Caterina, figlie di Malatesta signore di Rimini. I Malatesta, del resto, stavano dimostrando una spiccata capacità di perseguire una politica sovralocale, e tutte le famiglie romagnole con ambizioni signorili tentarono di imparentarsi con essi.
A Francesco venivano riconosciute non comuni doti militari, che lo portarono in più occasioni, già negli anni in cui era signore, a guidare le truppe dei Visconti in Romagna, con un ruolo non sempre chiaro, almeno per noi, tra l’alleato e il capitano di ventura. Dopo la perdita della signoria, nel 1359, egli si sostenne attraverso le condotte, al soldo in particolare dei Visconti e dei veneziani. Nel 1373 divenne capitano generale della Serenissima, ma l’anno successivo morì, forse in seguito alle ferite riportate in un’azione di guerra a Chioggia.
Secondo la storiografia locale la «corte» di Francesco e Cia Ubaldini sarebbe stata un luogo culturalmente vivace. Pare che fosse cancelliere dell’O. negli anni ’40 del Trecento Cecco di Mileto Rossi, uomo di lettere e poeta, che fu in corrispondenza poetica con Petrarca e Boccaccio. Quest’ultimo fu anzi ospite di Francesco a Forlì nel 1347. Questi aspetti, tuttavia, non sono stati ad oggi oggetto di ricerche specifiche.
Secondo le cronache, fu una rivolta di cesenati di parte popolare e filopapale a porre le basi per la riconquista di Cesena da parte delle forze pontificie, nel 1357. Questa sconfitta fu l’inizio, per Francesco, di una parabola discendente che si concluse con la perdita anche di Forlì nel 1359.
Le cronache di parte filopapale riportano una lunga serie di episodi nei quali Francesco avrebbe dimostrato una particolare crudeltà e ferocia, soprattutto nei confronti di uomini di chiesa. L’immagine proposta, cioè, era quella di un signore non solo antipapale, ma irriducibilmente anticlericale. Uno dei testi nei quali la figura dell’O. emerge con una particolare carica negativa è la Vita di Cola di Rienzo: “Era in Romagna un perfido cane patarino, rebello della santa Chiesia. Trenta anni stato era scommunicato, interditto sio paiese senza messa cantare. Moite terre teneva occupate della Chiesia, la citate de Forlì, la citate de Cesena, Forlimpuopolo, Castrocaro, Brettonoro, Imola e Giazolo. Tutte queste teneva e tiranniava, senza moite aitre castella e communanze le quale erano de paiesani. Era questo Francesco omo desperato. Avea odio insanabile a prelati, recordannose che ià fu male trattato dallo legato antico, missore Bettrannio dello Poietto, cardinale de Uostia, como de sopra ditto ène. Non voleva de cetero vivere a descrezione de prieiti. Staieva perfido, tiranno ostinato”. L’anonimo romano sottolinea però anche il consenso del quale Francesco godeva a Forlì: “Era incarnato con Forlivesi, amato caramente. Demostrava muodi como de pietosa caritate. Maritava orfane, allocava poizelle, soveniva a povera iente de soa amistate”. Nelle pagine dell’anonimo romano il signore di Forlì è accusato, oltre che di varie atrocità, di avere fatto preparare dei fantocci di carta e paglia a somiglianza del papa e dei cardinali e di averli fatti bruciare sulla piazza di Forlì, con un atto a metà tra il pubblico ludibrio e il rito magico. È probabile che l’O. abbia in effetti tenuto un atteggiamento spregiudicato, in particolare nei confronti del clero locale sostenitore delle posizioni pontificie, e non si può nemmeno escludere totalmente che egli stesso abbia fatto dell’anticlericalismo una bandiera identitaria per consolidare il consenso dei propri sostenitori. Tuttavia, la libellistica filopapale pare incoraggiata o almeno ispirata dalla politica della curia pontificia, volta a propagandare l’immagine di un nemico della Chiesa. Francesco fu più volte scomunicato, e il suo nemico più accanito, il legato apostolico Egidio de Albornoz, giunse a bandire una crociata contro l’O. nel 1356, con la promessa di indulgenze e larghe concessioni per i crociati. La crociata fu poi rilanciata nel 1358. Tutti questi elementi propagandistici formarono probabilmente l’humus per l’elaborazione di più tarde tradizioni popolari romagnole che raffiguravano Francesco come un tiranno sanguinario ed empio.
La rappresentazione così negativa dell’O. è in parte controbilanciata dall’immagine positiva della moglie Cia Ubaldini, dipinta come una donna sensibile alle arti e alla cultura, oltre che particolarmente coraggiosa. Le cronache coeve, anche non romagnole – si veda, ancora una volta, la Vita di Cola di Rienzo – esaltano la strenua resistenza di Cia, donna virtuosa e perciò fedele al marito fino alle estreme conseguenze, durante l’assedio di Cesena da parte dell’Albornoz. Naturalmente, secondo questi racconti, dopo la presa di Cesena il cardinale trattò Cia con ogni riguardo.
Dopo un’aspra lotta protrattasi per vari anni, nel 1359 Francesco rinunciò alla signoria su Forlì nelle mani del legato pontificio Egidio de Albornoz.
La documentazione relativa alla storia di Forlì e degli O. nel Medioevo è andata quasi totalmente perduta, e le ricostruzioni storiografiche sono fondate sui testi cronachistici, per di più molto successivi ai fatti considerati. L’unica fonte di una certa rilevanza è il cosiddetto Libro Biscia dell’abbazia di S. Mercuriale, un cartulario pergamenaceo depositato presso l’Archivio di Stato di Forlì. Si tratta di un registro nel quale sono stati trascritti, a partire dal tardo XIII secolo, vari contratti relativi ai possedimenti dell’abbazia, risalenti sino alla fine del IX secolo. Gli atti giungono fino agli ultimi anni del Trecento, e sono editi fino all’anno 1200 (vedi bibliografia).
Fonti: L. Cobelli, Cronache Forlivesi di L. C., a cura di G. Carducci e di E. Frati, Bologna 1874; Petri Cantinelli chronicon, a cura di F. Torraca, RIS2, XXVIII, 2, Città di Castello 1902; Annales Forolivienses ab origine urbis ad a. 1473, a cura di G. Mazzatinti, RIS2, XXII, II, Città di Castello 1903-1909; Magistri Tolosani Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, RIS2, XXVIII, 1, Bologna 1936; Il «Libro Biscia» di S. Mercuriale di Forlì, vol. I (894-1178), a cura di S. Tagliaferri e B. Gurioli, Forlì 1982; Il «Libro Biscia» di S. Mercuriale di Forlì, vol. II (1178-1200), a cura di S. Tagliaferri e B. Gurioli, Forlì 1987;
Studi: G. Pecci, Gli Ordelaffi, signori di Forlì, Faenza 1955; F. L. Ravaglia, Scarpetta degli Ordelaffi Signore di Forlì, Forlì 1955; Id., Il primo Pino degli Ordelaffi, Forlì 1956; Id., Le case degli Ordelaffi in Forlì, Forlì 1958; E. Balzani Maltoni, La famiglia degli Ordelaffi dall’origine alla signoria, in «Studi Romagnoli», XI (1960), pp. 247-272; Ead., La signoria di Francesco Ordelaffi, in «Studi Romagnoli», XV (1964), pp. 233-276; A. Vasina, I romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell’età di Dante, Firenze 1965, ad indicem; J. Larner, Signorie di Romagna. La società romagnola e l’origine delle Signorie, Bologna 1972, ad indicem; A. Vasina, Romagna Medievale, Ravenna 1970, ad indicem; Id., Forlì nel medioevo: aspetti e momenti del suo sviluppo sociale ed edilizio, in «Studi Romagnoli», XXIII (1972), pp. 13-33; Id., Forlì nel medioevo: società e cultura, in Forlì: società e cultura, Forlì 1975; A. Calandrini, G. M. Fusconi, Forlì e i suoi vescovi. Appunti e documentazione per una storia della chiesa di Forlì, Forlì 1985; Storia di Forlì, vol. II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990; A. Poloni, voce Ordelaffi Francesco (II), in DBI, in corso di stampa.