di:
Tomaso Perani
1197 - 1269
1249 - 1266
Cremona, Parma, Piacenza, Pavia, Milano, Brescia, Alessandria, Tortona, Vercelli.
Il Pelavicino era esponente di una grande famiglia marchionale di origine obertenga con consistenti possedimenti feudali a nord e a sud del Po tra Lombardia ed Emilia.
Nel 1252 Oberto Pelavicno si fregiava del titolo di Sacri Imperii in Lombardia vicarius generalis. Dal gennaio 1253 aggiunse anche i comuni italiani come fonte di legittimazione del proprio potere insieme ai titoli imperiali: Dei gratia Cremone potestas et generalis capitaneus seu vicarius totius Lombardie a lambro inferius per d. Conradum illustrem regem confirmatus. Dal 1254 la componente comunale divenne preponderante: Ubertus marchio Pelavicinus, sacri imperii in Lumbardia, vicarius generalis, civitatum Cremone, Placentie, Papie et tocius partis imperii per lumbardiam perpetuus dominus et potestas. Mentre dal 1257 abbandonò tutte le qualifiche imperiali assumendo semplicemente il titolo di Perpetuus dominus delle città sottomesse.
L’origine della signoria del Pelavicino su gran parte delle città di area Lombarda è da far risalire al prestigio ottenuto dal marchese negli anni di servizio agli ordini dell’imperatore Federico II. Fu in questo periodo che Oberto, accanto all’azione militare, accrebbe la propria esperienza nella politica e nell’amministrazione cittadina attraverso diversi incarichi come podestà imperiale in numerose città padane. Svolta decisiva fu l’assunzione della podesteria a Cremona nel 1249, che presto si tramutò in podesteria perpetua. Sfruttando il proprio prestigio personale non meno che la propria abilità militare seppe imporsi, dopo il 1250, come erede e catalizzatore dello schieramento filo-imperiale. Fu grazie a questa veste “imperiale” che riuscì ad assumere il potere, ad esempio, a Pavia e a Piacenza, in un periodo in cui il fronte filo-svevo aveva raggiunto una posizione egemonica all’interno della città emiliana.
Nel corso degli anni però seppe mitigare gli aspetti più decisamente “ghibellini” per proporsi maggiormente in veste di leader popolare e fondando proprio sui ceti mercantili e produttivi la stabilità della signoria. A Cremona infatti il potere era conservato grazie all’appoggio della mercanzia guidata da Buoso da Dovara, mentre l’inizio della signoria su Piacenza originò dal conferimento del titolo di rettore del popolo al marchese da parte di Oberto dell’Iniquità. Fu grazie a questo cambiamento inoltre che nel 1259 il Pelavicino riuscì ad allearsi con Martino della Torre di Milano, esponente guelfo ma che traeva il proprio potere dalle organizzazioni popolari.
L’azione attraverso cui Oberto Pelavicino riuscì nei primi anni ’50 del XIII secolo a costruire un vasto dominio pluricittadino traeva legittimità dal ruolo vicariale affidatogli da Federico II prima e confermatogli da Corrado IV poi. Tuttavia, già dopo la morte dello svevo nel 1254, il marchese decise di affiancare alla legittimità derivantegli dall’impero quella che scaturiva dagli organismi comunali di cui si era posto a capo. A partire dal 1257 invece decise di eliminare i riferimenti all’impero e di fondare la propria signoria solamente sulla iurisdictio del comune (Gualazzini, p.24). A questo scopo quindi promosse all’interno delle città cadute sotto il suo dominio l’uso di giuramenti di fedeltà, grazie anche al potere persuasivo della sua della forza militare.
In ultima analisi, il marchese riuscì a costruire il prorio dominio attraverso la forzatura della carica comunale del podestà che piegò alle sue necessità, prolungando la durata dell’incarico o caricandola di attribuzioni nuove.
Il dominio di Oberto assunse le forme di una signoria individuale pluricittadina. Il governo veniva esercitato attraverso vicari che potevano assumere direttamente il titolo di podestà «pro marchione», come avvenne a Pavia o a Piacenza. Intorno ad Oberto si venne così a creare un circuito di funzionari itineranti tra le città del dominio formato da un nucleo di famiglie e individui a lui fedeli, di cui facevano parte ad esempio i Landi e Alberto Fontana (per un certo periodo) di Piacenza, i da Sesso di Reggio, i da Strada di Pavia . Solo a Cremona la signoria assunse le forme di una diarchia, dovendo il marchese dividere il potere con il leader della Mercanzia, Buoso da Dovara.
Se la spinta legittimante alla formazione della signoria fu data dal rapporto con gli imperatori svevi, la conservazione del potere fu assicurata grazie allo stretto rapporto con le organizzazioni popolari di ogni città del suo dominio. Effetto dell’alleanza con il Popolo fu il significativo impegno del marchese nel campo della politica economica. Egli cercò infatti, attraverso vari provvedimenti di creare uno spazio economico comune in grado di favorire gli scambi sia fra i centri del suo dominio sia fra questi e altre regioni europee. In questo contesto vanno inseriti sia l’accordo del 27 maggio 1254 creazione di una lega monetaria tra le città di Cremona, Brescia, Pavia, Bergamo, Tortona e Piacenza basata su denari d’argento di buona qualità, sia i privilegi concessi l’anno precedente dal Pelavicino ai mercanti di Montpellier e Marsiglia per commerciare nelle sue terre secondo un regime daziario particolarmente vantaggioso ottenendo simili vantaggi per i lombardi nella città occitana. Ancora per favorire gli scambi commerciali, nel 1253 vennero stabiliti accordi con Genavoa per la protezione dei crediti dei mercanti cremonesi e dieci anni dopo, nel 1263, venne stipulato un accordo fra Milano e Venezia particolarmente vantaggioso per lo scalo cremonese. In questo modo il Pelavicino era riuscito ad assicurare alle città del proprio dominio accordi favorevoli con i principali porti del nord Italia.
Almeno per Pavia sembrerebbe inoltre poter far risalire l’introduzione del sistema dell’estimo, contrapposto al focatico, per la riscossione delle imposte proprio al periodo pelaviciniano, a riprova del particolare rapporto tra il marchese e la politica popolare.
La politica di alleanze del marchese fu decisamente filo-imperiale fino al 1258, quando il fronte della pars imperii entrò in crisi a causa dell’espansionismo dei suoi due maggiori esponenti: Ezzelino da Romano e il Pelavicino stesso. Per cercare di limitare la potenza del rivale nel 1258 il marchese cercò di creare una lega anche commerciale fra Mantova, Cremona, Verona, Ferrara e Padova. Tuttavia la il tentativo di conquista di Brescia da parte del da Romano convinse il Pelavicino ad intraprendere una decisa azione militare, spinto anche dai Torrinai che vedevano minacciato il loro potere dall’espansionismo del signore veneto. Con la vittoria di Cassano d’Adda del 1259 e la morte di Ezzelino il Pelavicino si ritrovava ad essere unico signore dello schieramento filo imperiale del nord Italia.
Già dal 1258 però il marchese aveva intavolato trattative con i della Torre di Milano in chiave prettamente popolare, preferendo quindi ricercare un nuovo circuito di alleanze e di legittimazione rispetto a quello “imperiale” che appariva in quel periodo in grave crisi. Non bisogna dimenticare che erano questi gli anni in cui Manfredi veniva totalmente delegittimato nelle sue pretese sul trono di Sicilia e Carlo d’Angiò veniva nominato al suo posto dal papa. Proprio in conseguenza di tale svolta il Pelavicino venne inisignito del titolo di capitano generale del popolo di Milano, un titolo prettamente militare che, seppur prestigioso e dotato di una certa autonomia, non faceva però di Oberto il signore della città ambrosiana.
Oberto iniziò la sua carriera politica come funzionario imperiale sotto Federico II, per il quale ricoprì più volte il ruolo di podestà in diverse città (Piacenza, Pavia, Como, Reggio Emilia, Cremona) negli anni ’30-’40 del secolo. Sempre per conto del sovrano ottenne incarichi militari e ricoprì il ruolo di vicario imperiale in Versilia, Lunigiana e Garfagnana. Nel 1251 Corrado IV gli concede il Vicariato Generale Imperiale nella Lombardia (per totam Lombardiam tam a Lambro superius quam inferius Generalis Vicarius Sacri Imperii).
Sotto il dominio del Pelavicino trovarono rifugio numerosi gruppi ereticali, appartenenti principalmente alla chiesa catara, molto diffusa nel ceto popolare delle città lombarde a questa altezza cronologica. A causa dell’orientamento filoereticale nel 1264 vietò a Cremona la giurisdizione papale. Per questo incorse nella scomunica e portò Cremona a subire l’interdetto cancellato nel 1266, quando ormai il marchese era fuori dai giochi.
Durante il capitanato del popolo a Milano impose la tassazione dei beni ecclesiastici in città e nella diocesi per rimpinguare le casse del comune e per finanziare le spese militari.
Il frate minore Salimbene de Adam, nella sua Cronica, descrisse il Pelavicino signore pluricittadino come un uomo ormai anziano e provato nel fisico: gracile, debole. Pur definendolo affamato di potere, il frate non rimase immune al carisma di Oberto definendolo “homo magni cordi”.
La fine del dominio pelaviciniano coincise con l’arrivo in Italia di Carlo d’Angiò determinato ad estendere il proprio potere anche nell’area piemontese-lombatda. Napoleone della Torre, subentrato al fratello Martino, morto nel 1263, colse l’occasione per liberarsi dell’ingombrante presenza del marchese e per appoggiarsi all’angioino. A questo periodo risale la presa di Bergamo da parte proprio dei della Torre. Contemporaneamente si ebbero insurrezioni contro il Oberto anche a Parma e a Piacenza. Mentre nel 1265 il popolo di Cremona era era ormai guidato unicamente da Buoso da Dovara. Il Pelavicino venne quindi deposto da podestà perpetuo di Cremona il 1 novembre 1266. Persi tutti i suoi domini il marchese morì nei suoi possedimenti feudali nell’appennino emiliano nel 1269.
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Salimbene de Adam, Cronica, a c. di G. Scalia, Bari, 1966 ad indicem in particolare p. 502-503; L. Astegiano, Lista dei rettori di Cremona fino al 1335 in Codex diplimaticus Cremonae. 715-1334, tomo II, Torino 1896, pp. 176-211; U. Gualazzini, Il "populus" di Cremona e l'autonomia del Comune. Ricerche di storia del diritto pubblico medievale italiano con appendice di testi statutari, Bologna 1940; P. Vaccari, Uberto Pellavicino ed il Comune di Pavia, in Scritti storici e giuridici in memoria di Alessandro Visconti, Milano 1955, pp. 373-378; U. Gualazzini, Aspetti giuridici della signoria di Uberto Pelavicino su Cremona, «Archivio Storico Lombardo» 6 (1956), pp. 20-28; E. Nasalli Rocca, La Signoria di Oberto Pallavicino nelle formulazioni dei suoi atti di governo, «Archivio Storico Lombardo» 6 (1956), pp. 29-43; G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino 1979, pp. 253-276.Voltmer, Personaggi attorno all'imperatore: consiglieri e militari, collaboratori e nemici di Federico II, in Politica e cultura nell'Italia di Federico II, a cura di S. Gensini, Pisa 1986, pp. 71-93; F. Menant, Un lungo Duecento (1183-1311): il comune fra maturità istituzionale e lotte di parte, in Storia di Cremona. Dall’Alto Medioevo all’età comunale, a c. di G. Andenna, Cremona 2004, pp. 282-363; L. Bertoni, In artibus cunctis industries. Congiuntura economica e dinamiche sociali a Pavia nella seconda meta del XIII secolo. Tesi di dottorato discussa presso l’Università degli studi di Milano, 2009; cfr. inoltre voce Uberto Pallavicini in Federiciana.