di:
Gabriele Taddei
1337 ca - 2 agosto 1368.
Vedi scheda famigliare.
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G. non ebbe entro Siena titoli pubblici o incarichi politici il cui rilievo corrispondesse al primato personale che egli seppe conquistarsi a partire dalla metà del XIV secolo. La sua egemonia, costantemente sostenuta dal serbatoio di uomini e risorse dei dominati familiari, si esercitò dunque in modo totalmente informale. Dapprima G. poté presentarsi in qualità di collaboratore e fiduciario di Carlo IV poi in qualità di garante delle posizioni raggiunte dai Dodici, principale magistratura cittadina nata a seguito dei tumulti del 1355.
Diversa fisionomia assunse invece il predominio del Salimbeni su Montepulciano, dov’egli -occupato militarmente il centro- poté almeno fregiarsi del titolo podestarile.
Inviato dal governo dei Nove, assieme ad altri cinque ambasciatori incontro a Carlo IV, G. evitò di prendere parte attiva al tumulto antinovesco che, al grido di «Viva lo ‘nperatore e muoia li Nove», esplose non appena il sovrano fu entrato in città (23 marzo 1355). G. preferì infatti qualificarsi come uomo di fiducia del Boemo che, in un primo momento, parve tentare una conciliazione tra i Nove, dei quali aveva ricevuto l’omaggio, e coloro che nel suo nome s’erano sollevati. Erano questi in sostanza quegli articolati gruppi sociali, assai dissimili fra loro, che il regime novesco aveva sempre escluso dal governo: da un lato i Grandi colpiti dalla legislazione antimagnatizia, dall’altro una porzione preponderante del popolo che la preminenza del solo gruppo «dei buoni e leali mercatanti» aveva tenuto lontano dalle leve del potere.
L’iniziale atteggiamento di equidistanza adottato da Carlo sarebbe comunque presto mutato: assecondando il movimento vittorioso, il sovrano congedò d’autorità i Nove, nominò una commissione di otto gentiluomini e dodici popolari affinché scegliesse una nuova forma di governo ed elesse suo fratello Niccolò, arcivescovo di Praga e patriarca d’Aquileia, a Vicario imperiale in città. Non è possibile ricostruire quali fossero, durante il periodo di lavori della commissione, le concrete prerogative del prelato. Relativamente certo, invece, che, affiancando il patriarca, G. riuscisse ad acquisire sempre più ampie capacità di condizionare la vita politica cittadina, presentandosi come il principale fiduciario di Carlo IV e contando su «molta foresteria tutta giurata» reclutata tra le schiere del partito imperiale e tra gli uomini dei suoi possedimenti comitatini. Allorché, nel maggio del 1355, il Vicario abbandonò la città riconoscendo la legittimità del nuovo governo nato dai lavori della commissione, G. rimase la figura più autorevole ed attrezzata per esercitare cogenti pressioni sulle nuove istituzioni cittadine.
Nel 1364, cacciato e poi riammesso entro Siena (cfr. infra Complotti, ribellioni, contestazioni), G. appoggiò a Montepulciano Iacopo Del Pecora, di cui era cognato, contro il cugino Niccolò. Entrato nella terra con una nutrita schiera d’armati, egli rimase assieme ad Iacopo il solo padrone del campo. Eletto podestà, la cronaca di Donato di Neri assicura che egli «stavavi a suo piacimento e lui era signore e guidava el tutto». Se le testimonianze di questa esperienza sono nondimeno esigue, le fonti locali attestano una netta preponderanza di Iacopo sul suo collega e cognato.
A seguito della sommossa che nel 1355 abbatté il precedente governo dei Nove, dopo che Carlo IV ed il suo vicario Nicola patriarca d’Aquileia lasciarono Siena, G. riuscì ad esercitare forti pressioni sul nuovo governo cittadino condizionandone la politica ed esercitando quella che è sovente stata tratteggiata come una «dittatura personale» (così G. Luchiare, Documenti per la storia, p. lx). I principali strumenti di cui G. poté avvantaggiarsi furono la notevole disponibilità di uomini e risorse dai vasti dominati extracittadini della famiglia nonché l’indiscussa posizione di capo della parte filoimperiale. Nondimeno il suo potere non acquisì mai alcuna superiore legittimazione formale né ricevette alcun riconoscimento ufficiale da Carlo IV di cui pure G. era sempre stato un fedele sostenitore.
A Siena, i nuovi assetti istituzionali elaborati dalla commissione del 1355, nel tentativo di raggiungere un’armonia tra le forze che avevano promosso l’abbattimento dei Nove, si strutturarono attorno ad un’assemblea di Dodici priori delle Arti e ad un Collegio di gentiluomini. Ma a minare l’auspicato equilibrio contribuì in modo determinante proprio l’attivismo di G. che, fallito il tentativo di dominare la città affiancando il Vicario dell’Imperatore, cercò di frapporsi tra i nobili ed il popolo appoggiando strumentalmente quest’ultimo. Se appare invero improbabile, come al contrario vogliono i cronisti Donato di Neri e Matteo Villani, che sia stato proprio G. il promotore della soppressione del Collegio che limitava la libera iniziativa dei Dodici (non foss’altro perché egli stesso ne faceva parte), è certo invece che i tumulti e le sommosse che lacerarono la vita cittadina in quei giorni furono sempre provocati dal Salimbeni. Per quanto infatti G. fosse annoverato nelle schiere dei Grandi, dalle testimonianze del tempo egli emerge come il fomentatore di una costante guerra antimagnatizia funzionale al conseguimento del consenso di piazza e, con esso, al raggiungimento di una posizione di assoluto primato nella direzione delle vicende cittadine.
Sulle forme assunte dall’egemonia che, a detta di alcuni cronisti senesi, G. avrebbe imposto su Montepulciano le notizie sono invero molto scarse. Se le fonti locali attribuiscono al cognato Iacopo Del Pecora un ruolo assolutamente preminente, è comunque ipotizzabile che il Salimbeni abbia potuto esercitare una qualche forma di tutela fidando sui diseguali rapporti che legavano Montepulciano a Siena, sulle nutrite schiere di armati ai suoi ordini, sui suoi stetti rapporti con la famiglia Del Pecora.
La posizione egemonica di G. in seno agli equilibri politici senesi fu sempre sorretta dalla fiducia nutrita nei suoi confronti da Carlo IV. Vi è anzi chi ha veduto nell’intera azione del Salimbeni non tanto l’espressione di ambizioni personali, quanto il riflesso di precisi ordini imperiali volti a riconquistare in modo duraturo la fedeltà cittadina e ad annullare la scelta guelfa dei Nove (P. Rossi, Carlo IV di Lussemburgo, p. 181-182). Se tale lettura può forse apparire eccessiva, è pur vero che Carlo IV manifestò sempre gratitudine nei confronti del suo fedele investendolo di feudi che, andando a sommarsi a quelli già detenuti, furono sicuramente funzionali ad alimentarne ulteriormente le schiere di armati.
E’ inoltre da rilevare che G. s’imparentò con la famiglia Del Pecora sposando una sorella di Iacopo. Fu questo legame a giustificare il suo intervento presso Montepulciano del 1364.
Nel 1345 è Capitano del Popolo ad Orvieto. Ceduto l’incarico al padre come previsto, i due Salimbeni furono infine costretti ad abbandonare precipitosamente la città a seguito dei violenti scontri tra i sostenitori dei Monaldeschi e quelli di Benedetto di Messer Buonconte e Matteo Orsini.
Nel 1356, ormai abbattuto in Siena il governo dei Nove, G. fu il principale artefice della sottomissione di numerosi comuni distrettuali. Del resto, colui che all’interno delle mura, senza detenere alcuna carica formale, riuscì a presentarsi come il difensore dei traguardi raggiunti dal popolo sollevatosi contro l’oligarchia novesca, si propose nel contado come il costante mediatore tra la città dominante e le comunità che sempre più frequentemente tentavano di sottrarsi a quel dominio. E così il Salimbeni ebbe larga parte nella stipulazione dei patti di sottomissione di Grosseto del 1356; nel 1358 fu alla guida di una condotta di 500 fanti impegnati nell’occupazione di Chiusi; nel 1359 partecipò alla conquista di Montalcino dopo aver allacciato personalmente contatti politici con un gruppo di fuoriusciti ilcinesi.
Sebbene G. si fosse atteggiato, coi suoi familiari e proseliti, a protettore dei Dodici, agli inizi degli anni ’60 maturarono le condizioni affinché il governo senese uscito dalla riforma del 1355 si liberasse dalla pesante tutela cui il Salimbeni lo aveva sottoposto. Imprigionato e torturato il conservatore Lodovico Pigli, che ammise di aver erogato condanne «falsamente a petitione di Giovanni d’Agnolino», quest’ultimo fu bandito, venendo finanche accusato di aver tentato di sovvertire il nuovo regime cittadino.
Il debole governo dei Dodici, diviso al suo interno, non poté però perdurare in una disposizione tanto energica: riaccolto entro Siena dopo poco meno di un anno, il Salimbeni recuperò presto l’influenza d’un tempo tanto da organizzare quella spedizione contro Montepulciano, di cui egli, stando ad alcune cronache, s’insignorì.
I cronisti coevi non poterono negare il ruolo di assoluta preminenza che G. riuscì ad occupare entro gli equilibri politici senesi, né poterono evitare di riconoscerne le notevoli capacità personali del Salimbeni ed il suo grande ascendente. Di lui nella cronaca di Donato di Neri e di suo figlio Neri si afferma «Questo G. era molto stimato e riputato così a Siena come in altri luoghi ed era potente di ricchezza e di seguito in Siena e nel contado, ed era il primo de la casa Salimbeni. E di tutto fu grandi parlamenti ne’ consigli de’ cittadini di Siena de’ Signori Dodici.»
Sceso nuovamente in Italia Carlo IV nel 1368, G. fu inviato in ambasceria presso il sovrano. Con la speranza di poter ottenere dall’imperatore quel titolo di Vicario che avrebbe ufficialmente legittimato la propria egemonia sulla città, G. morì il 2 agosto 1368, per una caduta da cavallo, quand’era da poco rientrato a Siena. Privata di colui che, con le sue schiere, aveva per anni diretto i moti di piazza ed influenzato le scelte dei massimi organi, la città «rimase in grande malo stato e divisione e bassezza per la morte del detto G.»
La scomparsa del Salimbeni non arrestò comunque l’ascesa del casato: negli anni successivi, infatti, sotto l’ingombrante tutela del nuovo rappresentante imperiale Malatesta da Rimini, i membri della famiglia, assunto ormai un abnorme potere, furono ricompensati con seggi vitalizi e trasmissibili nel Consiglio Generale. Si arrivò a far prestare giuramento ai vari ufficiali cittadini non solo nei confronti dello Stato popolare e della imperialis maiestas ma anche della nobiles progenie Salimbenesnium.
L’incendio appiccato agli archivi cittadini nel corso della sommossa antinovesca ha sicuramente ridotto in modo considerevole la documentazione inerente l’operato del Salimbeni. Relativamente ricche al contrario le cronache, tra le quali si ricordano la Cronaca di Donato di Neri e di suo figlio Neri e la Cronica senese di anonimo.
Fonti: Cronaca senese di autore anonimo del secolo XIV, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacomennti, in Ris, XV, p. VI, Bologna 1931-39, pp. 149 e segg.; Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri, in Ibid., pp. 576 e segg.; Ephemerides Urbevetanae, in Ibid., pp. 646 e segg.; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906; Matteo e Filippo Villani, Cronica, lib. XI, lxxvii, a cura di G. Porta, Parma 2007.
Studi: R. Barducci, Del Pecora, Iacopo, (sub voce) in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVIII, Roma, Ist. Dell’Enciclopedia Italiana, 1990, p. 221; S. Benci , Storia della città di Montepulciano, Firenze 1641 [rist. anast. 1968], p. 50; A. Carniani, I Salimbeni quasi una signoria. Tentativi di affermazione politica nella Siena del Trecento, con prefazione di G. Piccinni, pp. 213-236; P. Rossi, Carlo IV di Lussemburgo e la Repubblica di Siena (1355-1369), Bullettino senese di Storia Patria, XXXVII (1930), p. 5 e segg.; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906, pp. XXIX e segg.; O. Malvolti, Dell’Historia di Siena [rist. anast. Forni editore 1982], II, c. 111 e segg.; D. Marrara, I Magnati e il Governo del Comune di Siena dallo Statuto del 1274 alla fine del XIV secolo, in Studi per Enrico Fiumi, Pacini editore, Pisa, 1979, pp. 239-276; R. Mucciarelli, Il Traghettamento dei “mercatores”: dal fronte imperiale alla “Pars Ecclesiae”, in Fedeltà ghibellina affari guelfi. Saggi e riletture intorno alla storia di Siena fra Due e Trecento, a cura di G. Piccinni, Pacni, Pisa, 2008, pp. 63-104; G. Pardi, Dal Comune alla signoria in Orvieto,«Bullettino di Storia Patria per l’Umbria», XIII (1908), p. 446 e segg.; E. Repetti, Montepulciano (sub voce), in Dizionario geografico fisico storico della Toscana, III, Firenze 1839, pp. 464-492: p. 472.