di:
Gabriele Taddei
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Vedi scheda famigliare.
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A partire dagli ultimi mesi del 1368 i principali esponenti della famiglia Salimbeni, di cui N. era uno dei leader più autorevoli, accedettero al Consiglio Generale cittadino per diritto famigliare. N., al pari dei suoi congiunti, non ebbe in sostanza altre cariche formali; nondimeno l’abnorme potere assunto dal casato gli permise, pur per brevissimo tempo, di piegare alla propria volontà la vita politica cittadina configurandosi quello che dallo storico Giugurta Tommasi è stato definito «un principato».
Allorché, dopo la morte di Giovanni d’Agnolino, le grandi famiglie «di casato» riuscirono a instaurare un inedito governo espressione del loro predominio, i Salimbeni -in linea con la tradizionale politica familiare- favorirono l’ingresso in città di Malatesta da Rimini, vicario di Carlo IV. Qualificandosi come collaboratori del rappresentante imperiale e difensori dell’ordine popolare, i membri della famiglia (primi fra tutti N.) ottennero dagli stessi organismi comunali amplissimi privilegi tali da condizionare la dialettica politica cittadina.
Morto Giovanni d’Agnolino Salimbeni, le grandi famiglie «di casato» si sollevarono istituendo un inedito regime incentrato su un’assemblea «de decem nobilibus et tribus populraes» cui, in ricordo di lontani tempi, venne assegnato il nome di Consolato. Per quanto N. partecipasse al nuovo istituto, esso era pur sempre espressione della supremazia di quei Grandi lottando contro i quali i Salimbeni avevano conseguito le loro fortune politiche. Al suo interno, anzi, posizioni di rilievo erano detenute dai Tolomei che, ormai da decenni, rappresentavano i principali rivali della famiglia. Tale stato di minorità non durò a lungo giacché lo stesso N., facendosi prosecutore della politica di Giovanni d’Agnolino, si presentò come difensore delle istanze popolari nonché uomo di fiducia dell’imperatore. Intercedendo presso il sovrano, N. ottenne dunque che Carlo IV inviasse a Siena il suo vicario Malatesta Malatesti da Rimini cui , secondo alcune testimonianze, fu offerta «tutta la signoria de la città». All’arrivo del rappresentante imperiale, il 23 settembre 1368, i Salimbeni si posero a capo di una sommossa che, al grido di «viva il Popolo e lo ‘mperatore» depose il Consolato. Entro i nuovi assetti cittadini, in riconoscimento della scelta di essersi schierati «contra alios nobiles» e di aver sollecitato l’intervento del «vicarium et locumtenentem Serenissimi Principi Karoli quarti», la famiglia avrebbe ottenuto posizioni di assoluto predominio.
La destituzione del Consolato nobiliare precedette di pochi giorni la costituzione di un consiglio detto dei Riformatori composto da 61 membri del Popolo minuto, 35 scelti tra le famiglie dei Dodici, e 28 tra quelle dei Nove. Il chiaro tentativo di giungere ad una conciliazione tra le precedenti esperienze politiche cittadine e tra le componenti sociali di cui esse erano state espressione (ferma restando l’estromissione dei «casati») parve trovare compimento nella trasformazione dei Riformatori in organo permanente cui sarebbe spettata l’elezione del Consiglio Generale. Fu quest’ultimo che, tra ottobre e novembre, elargì a tutti i membri della famiglia una lunga serie di privilegi: l’immunità nei processi de maleficiis, l’accesso perpetuo e trasmissibile al Consiglio Generale, la consultazione preventiva relativamente a tutti i più gravi problemi cittadini. Il predominio familiare sull’intera struttura istituzionale senese si arricchì presto anche di elementi rituali: venne attribuito ai Salimbeni un posto d’onore nelle solennità ufficiali e si dette ordine ai cittadini di giurare fedeltà non solo nei confronti dello stato popolare e della «imperialis maiestas» ma anche della «nobiles progenie Salimbenensium».
A partire dal dicembre 1368 il popolo minuto, levandosi a rumore, reclamò una nuova composizione del governo che sancisse in modo definitivo il suo trionfo, il tramonto del predominio delle categorie mercantili novesche, l’espulsione dalla vita politica delle famiglie «di casato». Se il Malatesta ed i Salimbeni, apertamente, sembrarono assecondare queste richieste (e anzi fu proprio tal Reame Salimbeni a definire la nuova suprema magistratura dei Quindici Difensori del Popolo: 8 minuti, 4 dei Dodici e 3 dei Nove), la politica famigliare non poté che contrastare nei fatti la prevalenza di qualsiasi altro partito che le contendesse il primato. A partire dagli ultimi giorni del 1368, la frattura tra la famiglia ed il popolo minuto, ormai maggioritario in tutti gli organi cittadini, era di fatto compiuta.
Il 22 dicembre Carlo IV giunse a Siena, ospite dei Salimbeni. Per arrestare l’ascesa sempre più netta del popolo minuto, la famiglia e l’Imperatore tentarono di imporsi violentemente sui principali organi cittadini. Ma i Difensori e tutto il popolo minuto «s’avidero del tradimento e subito cominciarono la battaglia co’loro». Il 25 gennaio Carlo ed i più autorevoli membri della famiglia abbandonavano Siena rifugiandosi nei loro castelli valdorciani.
Tra le principali fonti documentarie debbono ricordarsi i libri di deliberazione dei Riformatori. Presentano ricostruzioni assai dettagliate delle vicende cittadine del periodo la Cronaca di Donato di Neri e di suo figlio Neri e la Cronica senese di anonimo.
Fonti: Cronaca senese di autore anonimo del secolo XIV, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini e F. Iacomennti, in Ris, XV, p. VI, Bologna 1931-39; Cronaca senese di Donato di Neri e di suo figlio Neri, in Ibid.; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906.
Studi: A. Carniani, I Salimbeni quasi una signoria. Tentativi di affermazione politica nella Siena del Trecento, con prefazione di G. Piccinni, pp. 239 e segg.; P. Rossi, Carlo IV di Lussemburgo e la Repubblica di Siena (1355-1369), Bullettino senese di Storia Patria, XXXVII (1930), p. 5 e segg.; G. Luchiare, Documenti per la storia dei rivolgimenti politici del Comune di Siena dal 1354 al 1369, Lyon-Paris, 1906, pp. LXII e segg.; O. Malvolti, Dell’Historia di Siena [rist. anast. Forni editore 1982], II, c. 130 e segg.; D. Marrara, I Magnati e il Governo del Comune di Siena dallo Statuto del 1274 alla fine del XIV secolo, in Studi per Enrico Fiumi, Pacini editore, Pisa, 1979, pp. 239-276.