di:
Tomaso Perani
metà XIII secolo - 1318
1290 - 1304
Scartata da tempo l’ipotesi di una lontanissima discendenza nobiliare da tale Guglielmo d’Ecosse, contemporaneo di Carlo Magno, gli storici sono unanimi nel riconoscere agli scotti un’origine mercantile. Fin dalla fine del XII secolo gli Scotti sono membri delle associazioni popolari: nel 1184 Arnaldo Scotti è console dei mercanti, Lanfranco nel 1220 è membro della societas populi. Attraverso un’accorta politica matrimoniale riuscirono a legarsi anche alle maggiori famiglie dell’aristocrazia terriera come i Fontana o i Confalonieri. Furono tra i più eminenti rappresentanti della parte guelfa.
Dal XIII secolo furono grandi mercanti e banchieri, e costituirono una delle maggiori compagnie commerciali (grazie ai legami con la curia pontificia e la corte d’Inghilterra) del tempo che ebbe sedi in tutte le principali piazze commerciali d’Europa e attraverso il porto di Genova, anche in Oriente.
Alberto sia nelle cronache sia negli atti notarili sia in quelli privati o pubblici, venne definito con diversi titoli: capitaneus et dominus civitatis Placentiae; rector societatis mercatorum et paraticorum et defensor communis et populi placentini; antianus perpetuus et rector et defensor populi civitatis et districtus Placentiae. La collocazione istituzionale di tali cariche era volutamente ambigua anche se traeva origine e potere dalle associazioni popolari.
Dopo il 1268 i ghibellini non riusciranno più ad organizzarsi e a proporre un governo stabile e di ampio consenso. La lotta per il potere si concentrò fra le famiglie guelfe. Nel 1290, approfittando delle disfatte contro Pavia e il marchese di Monferrato, Alberto riusì ad incolpare le famiglie dell’aristocrazia guelfa degli insuccessi militari e, grazie all’appoggio dei ceti artigiani e mercantili e del suocero Alberto Fontana, prese il potere a Piacenza diventando rettore della società dei mercanti. I successi commerciali e finanziari della società di famiglia (di cui divenne rector et dominus nel 1290) gli permisero di legare a sè molti grandi uomini d’affari raccogliendo così un grande capitale economico e un importante prestigio personale.
La signoria di Alberto era svincolata dall’organigramma del comune podestarile e si reggeva la sua legittimità sulle strutture associative del popolo piacentino che, nel corso del XIII ed in particolare all’epoca di Carlo d’Angiò, si era consolidato ed era diventato il vero arbitro della politica nella città emiliana. Alla fine dell’XIII secolo ormai il comune era svuotato delle sue funzioni e anche le dicotomia popolo-militia si era ormai risolta a favore del popolo al quale le famiglie dell’antica aristocrazia terriera si erano fuse. Il potere dello Scotti poggiò quindi sulla sua ricchezza e sul suo prestigio come mercante e sul suo carisma personale.
Durante la signoria dello Scotti gli organismi comunali vennero esautorati: il podestà, ad esempio, diventò un semplice funzionario incaricato dell’amministrazione della giustizia e della cura dell’ordine pubblico, sotto lo stretto controllo della società dei mercanti e dei paratici. Tutti i poteri furono concentrati nelle mani di Alberto attraverso il quale passavano tutte le decisioni attuate poi per tramite della società popolare, suo unico interlocutore. Nell’agosto del 1290 si fece attribuire il potere di gestire i beni dei banditi e utilizzò questo potere per distribuire ricchezza e consolidare e aumentare la propria clientela.
Dopo la riscossa dei Torriani e l’asemblea dei comuni promossa da Guido della Torre proprio a Piacenza, l’8 ottobre 1303 Alberto decise di compiere un ulteriore passo per il consolidamento della propria signoria facendo conferire a suo figlio Francesco da un consiglio comunale ormai completamente assoggettato i suoi stessi titoli e le stesse funzioni, creando le basi per la dinastizzazione della dominazione.
Per salire al potere Alberto sfruttò la figura e l’aiuto del suocero Alberto Fontana. Questi era detentore di feudi nell’area occidentale del comitato piacentino. Grazie al suo intervento lo Scotti riusciva a controllare le vie commerciali che univano Piacenza a Genova contrastando le iniziative sia di Ubertino Landi sia del comune di Pavia, con quale il Fontana aveva ancora dei rapporti di amicizia. Inoltre l’appoggio del Fontana fu decisivo per rislolvere la crisi militare del 1290 che permise allo Scotti di salire al potere.
I rapporti con Matteo Visconti furono buoni fino al 1300 anno in cui si guastarono a causa delle politiche matrimoniali concorrenti dei due signori. Ancora nel 1299 però lo Scotti corse in aiuto del Visconti in difficoltà a causa di una lega di cui facevano parte Pavia, Bergamo, Ferrara, Cremona e i marchesi di Saluzzo, Monferrato ed Este. Nel 1302 invece Alberto si alleò con i Langosco, il Fissiraga, il marchese di Monferrato e altri comuni padani in una lega anti-viscontea promossa dal Fissiraga che si conluse con la cacciata di Matteo da Milano e la cessione della signoria sulla città allo Scotti. Il successo e la posizione di prestigio raggiunta gli permisero di ottenere una posizione di supremazia su scala regionale. A Bergamo la caduta del Visconti costrinse alla fuga le famiglie Suardi e Colleoni. Alberto Scotti promosse il rientro dei Rivola e dei Bonghi, suoi alleati, facendo entrare la città orobica nel coordinamento guelfo.
Già nel luglio del 1302, a pochi giorni dalla conquista di Milano dovette subire il ritorno dei della Torre e la conseguente perdita della città ambrosiana. La riscossa torriana venne coronata con la grande assemblea dei comuni di Milano, Asti, Alessandria, Bergamo, Bologna, Crema, Cremona, Lodi, Novara, Pavia e Vercelli tenutasi a Piacenza: in questa sede venne approvato il rientro dei guelfi fuoriusciti nelle città d’origine. Un tale provvedimento minava la stabilità della signoria di Alberto Scotti, quanto guelfo moderato, che nel corso degli anni, oltre ad essere stato alleato del ghibellino Visconti, aveva fatto bandire da Piacenza molti suoi nemici appartenenti comunque allo schieramento guelfo.
La figura di Alberto, uomo ricco potente e carismatico, riuscì a raccogliere grandi consensi nel popolo piacentino. Già dal 1291 erano inizite le prime espulsioni degli avversari o dei possibili concorrenti al potere come il suocero Alberto Fontana. Con il partito ghibellino ormai fuori combattimento, la lotta per il potere si combattè all’interno della parte guelfa di cui lo Scotti era tra gli esponenti più moderati. Grazie alla sua ricchezza e alla possibilità di gestire i beni dei banditi per espandere la proria rete clientelare era riuscito ad eliminare ogni rivale dalla città. Tuttavia il rientro dei Torriani a Milano aveva favorito la riammissione a Piacenza anche delle famiglie che si opponevano al potere di Alberto.
Nel 1304 i timori dello Scotti si concretizzarono a causa delle trame delle famiglie Confalonieri e Visconti di Piacenza appoggiti da Rolando Scotti, figlio di Alberto e podestà di Pavia, e da Guido della Torre. L’intervento militare degli alleati esterni dei congiurati piacentini costrinse lo Scotti a cercare riparo a Parma. Intanto a Piacenza veniva privato della cittadinanza e i suoi beni venivano distrutti.
La sua caduta fu soprattutto dovuta all’erosione della base di consenso in città: l’avvicinamento a Matteo Visconti aveva suscitato malcontento nelle classi produttive piacentine che temevano la concorrenza milanese, e gli aveva alienato i favori dell’aristocrazia guelfa. Alberto tuttavia non seppe o non volle passare allo schieramento ghibellino e si trovò quindi isolato al momento della radicalizzazione dello scontro Visconti-Torriani all’inizio del XIV.
Per diversi anni rimase nel contado cercando vanamente di riprendere il protere in città. In due occasioni ritornò a Piacenza (nel 1307 e nel 1312) ma si trattò di una presa di potere effimera che venne subito repressa dalle famiglie aristocratiche piacentine prima e da Galeazzo Visconti poi, che lo catturò defintivamente nel 1317 a Castell’Arquato
I nuclei documentari maggiori che riguardano Alberto Scotti sono il fondo Notarile e il fondo Archivio Douglas-Scotti conservati entrambi presso l’Archivio di Stato di Piacenza.
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