di:
Francesco Pirani
†1430.
1413-1426.
San Severino, i castelli del suo contado comunale e Apiro.
Vedi scheda famiglia Smeducci; Antonio era figlio di Onofrio.
Nessun titolo formale.
Per via successoria pater lineare; Martino V, tuttavia, non rinnovò l’investitura di Vicario pontificio, conferito da Innocenzo VII al padre Onofrio, poiché intraprese una politica tesa a rimuovere la signoria degli Smeducci dalla città di San Severino.
Nessuna legittimazione.
Nel 1415 è attestata la committenza a Lorenzo Salimbeni, pittore tardo gotico di San Severino, pro pingendo tegmina certorum equorum, cioè per decorare le gualdrappe di cavalli: tale impegno decorativo del Salimbeni non è però rintracciabile.
Nel 1426 Martino V diede ordine al rettore della Marca Pietro Colonna di abbattere la signoria degli Smeducci; nel maggio dello stesso anno l’esercito pontificio entrò a San Severino e il popolo, già sollevato, consegnò Antonio e i suoi figli in catene ai rappresentanti pontifici. Fu quindi decretato in seguito dallo stesso papa l’esilio perpetuo per gli Smeducci, privati di tutti i beni.
Nel 1426, dopo la fine della signoria dello S., il comune di San Severino approvò un nuovo statuto nel quale si stabiliva che il crudelissimus tirampnus Antonio e i suoi figli scelleratissimi, nonché tutti i discendenti futuri degli Smeducci, non potessero più far ritorno nella terra; se avessero contravvenuto la norma, sarebbero stati catturati, portati nella pubblica piazza legati alla coda di un asino e condotti immediatamente al patibolo. Nel testo Antonio, sottoposto a damnatio memoriae, viene definito draco virus et voracens (la rubrica LXVII dello statuto inedito, conservato presso l’Archivio Storico Comunale di San Severino, è riportata integralmente in Paciaroni, Un fallito golpe, pp. 6-8).
Quando nel 1426 Martino V diede ordine al rettore della Marca Pietro Colonna di abbattere la signoria degli Smeducci, Antonio si trovò isolato e, nonostante una strenua difesa militare organizzata a San Severino, dovette capitolare. Al momento del suo esilio, Antonio chiese ospitalità alla repubblica di Venezia e si stabilì quindi a Padova, ove morì.
Gli avvenimenti che condussero alla fine della signoria di Antonio sono narrati nella laconica cronaca di Cola di Lemmo Procacci (Paciaroni, La cronaca di Cola di Lemmo Procacci, vedi Bibliografia).
La documentazione nell’archivio di S. Severino riguardante lo S. non è stata ancora sottoposta ad uno scavo sistematico per ricostruire un profilo della signoria. Ad esempio, praticamente inesplorato è il registro di entrata e uscita degli anni 1413-1416.
Fonti: R. Paciaroni, La cronaca di Cola di Lemmo Procacci da Sanseverino (1415-1475), in Studi maceratesi, 10 (1974), pp. 266-287.
Studi: C. Gentili, De ecclesia semtempedana libri tres, Macerata 1836; Smeducci Cima Della Scala, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.l., 1868-1872, vol. 16, n. 148 (con notevoli imprecisioni, fra cui l’assimilazione degli S. ai Cima di Cingoli); A. Gubinelli, San Severino Marche. Guida storico artistica, Macerata 1975; R. Paciaroni, Lo stemma degli Smeducci signori di Sanseverino, Sanseverino Marche 2002; Id., Un fallito golpe degli Smeducci, Sanseverino Marche 2006.