di:
Francesco Pirani
†1399.
1372 (?)-1388.
San Severino e i castelli del contado, Apiro e Ficano, in area sub-appenninica.
Vedi scheda famiglia Smeducci.
Vicario pontificio.
Per via successoria. Dopo la morte di Smeduccio (vedi scheda Smeduccio Smeducci), nel 1372 (?) la signoria passò nelle mani dei suoi due figli Cola (maggiore) e Bartolomeo (minore), come previsto dall’investitura vicariale di Urbano V: Cola morì però poco dopo, nel 1374 e da quell’anno fu occupata da Bartolomeo, che la mantenne fino al 1388, estromettendo i due figli di Cola, cui spettava legittimamente la successione del potere.
Durante lo Scisma, Bartolomeo si schierò dalla parte di Urbano VI, che nel 1378 lo ricompensò con il rinnovo del vicariato per altri dieci anni.
Le alleanze di Bartolomeo furono mutevoli: la fedeltà alla Chiesa, caratteristica degli Smeducci, fu infatti spesso infranta. Nella Guerra degli Otto Santi si schierò dalla parte di Firenze contro la Chiesa: nel 1375 Bartolomeo invase il territorio di Cingoli, cacciando le truppe pontificie e appoggiando i Cima, da poco deposti (vedi scheda Benuttino Cima); nel 1376 lo S., al soldo della repubblica di Firenze, si vide affidata la conduzione dell’assedio di Ascoli, che terminò con la cacciata di Gomez Albornoz (vedi scheda Gomez Albornoz); quindi fu eletto capitano generale della guerra nel territorio di Fermo, infliggendo una dura sconfitta all’esercito papale guidato da Rodolfo da Varano. La sua attività prevalente fu quella di capitano di ventura.
Nel 1379 fu nominato da Urbano VI capitano delle truppe papali nella guerra contro la regina Giovanna di Napoli.
Capitano generale di guerra a Firenze (1376); capitano delle truppe papali contro la regina Giovanna di Napoli (1379).
Si conserva oggi al museo di San Severino un’iscrizione in volgare, proveniente da Porta del Mercato, scolpita nel 1386, recante la datazione “regnante messere Carlo de Durazzo re de Ungaria, al tempo de li nobili segnuri messere Bartolomeo de Smiduccio et Nofrio de Cola, Vicarii perla Santa Chiesa”.
Il regime monocratico dello S. fu avversato anche dai suoi nipoti Onofrio (Nofrio) e Roberto, figli di Cola, fratello di Bartolomeo, che erano stati estromessi dal governo di San Severino nonostante spettasse loro legittimamente una parte del potere signorile, in virtù dell’investitura papale.
Nel 1387 Onofrio e Roberto, nipoti ex fratre di Bartolomeo (vedi voce “Consenso e dissensi”), congiurarono contro di lui, riuscendo a garantirsi il sostegno del popolo, sobillato ad arte: lo S. fu imprigionato e rinchiuso nel castello di Truschia. Quindi i signori delle città vicine intervennero a sedare le discordie fra i due rami della famiglia: nell’aprile 1388 nella residenza degli Ottoni di Matelica (vedi scheda famiglia Ottoni) fu stipulata una pace fra le parti, sfavorevole per Bartolomeo: questi dovette accettare di risiedere a Matelica, di non far più ritorno a San Severino e di cedere tutti i possedimenti in città e nel distretto, dietro un lauto compenso di 20 mila fiorini. Lo S. riuscì a conservare la rocca di Ficano e di Civitella, ove morì una decina di anni più tardi.
Scarsi i documenti d’archivio riguardanti Bartolomeo nell’Archivio di San Severino; tuttavia la documentazione, locale e non, non è mai stata sottoposta ad uno scavo sistematico per ricostruire un profilo della signoria.
Fonti: R. Paciaroni, La cronaca di Cola di Lemmo Procacci da Sanseverino (1415-1475), in Studi maceratesi 10 (1974), pp. 266-287.
Studi: C. Gentili, De ecclesia semtempedana libri tres, Macerata 1836; Smeducci Cima Della Scala, in P. Litta, Famiglie celebri italiane, s.l., 1868-1872, vol. 16, n. 148 (con notevoli imprecisioni, fra cui l’assimilazione degli S. ai Cima di Cingoli); A. Gubinelli, San Severino Marche. Guida storico artistica, Macerata 1975, pp. 23-25; S. Severino Marche. Museo e Pinacoteca, a cura di M. Moretti, P. Zampetti, Bologna 1992, pp. 67-68; R. Paciaroni, Lo stemma degli Smeducci signori di Sanseverino, Sanseverino Marche 2002.