di:
Maria Pia Contessa
c. 1268 - 1315
Vedi scheda famigliare.
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Capitaneus Comunis et Populi Ianuensis.
Divenne diarca assieme a Bernabò Doria dopo scontri durissimi con i parenti di quest’ultimo, che reclamavano la metà delle cariche pubbliche contro la tendenza degli Spinola a monopolizzare gli uffici. Nel novembre del 1308, dopo che i Capitani si erano impegnati con i rappresentanti dell’opposizione a lasciare l’ufficio entro tre anni (dalla data simbolica del 28 ottobre) per essere sostituiti da un nuovo governo gradito a tutti, Opizzino provocò un tumulto, fece imprigionare il collega e assunse il titolo di Capitaneus perpetuus et generalis Comunis et Populi Ianue.
I due Capitani furono eletti dal popolo; a quanto pare la presa di potere dello S. nel 1308 non ricevette legittimazioni.
I diarchi ricevettero pieni poteri politici ma erano esclusi dall’amministrazione della giustizia, riservata al podestà forestiero formalmente capo del Comune, e dalla gestione delle finanze. Erano affiancati dal Consiglio degli Anziani, prima di convocare il quale erano soliti chiedere il parere dei connestabili e dei gonfalonieri del popolo. Sulla carta i due Capitani erano dotati di identici poteri ma lo S. possedeva la personalità dominante, come appare evidente sia dalle sue azioni (come l’impiego del potere pubblico per tutelare gli interessi familiari nel Monferrato) che dai documenti (dove, ad esempio, agì più volte in veste ufficiale senza essere affiancato dal collega mentre non accadeva mai il contrario).
Data la necessità di raggiungere un equilibrio fra le opposte fazioni, trovarono spazio nel governo dei diarchi anche gli oppositori (purché ghibellini), sia pure fra tensioni e difficoltà e in maniera non continuativa, tanto che alcuni Doria del ramo di Oberto (fra cui il fratello Lamba e i due figli Corrado e Raffaele) poterono rientrare in città e prendere parte alle sedute dei Consigli già alcuni mesi dopo la presa di potere dei Capitani.
Dopo che Opizzino rimase unico signore di Genova non ci furono cambiamenti istituzionali, e Podestà, Abate del Popolo e Consigli rimasero attivi nelle loro funzioni. Verosimilmente coloro che erano vicini a Bernabò furono allontanati dalle cariche e sostituiti con persone fidate, e naturalmente trovarono ampio spazio i membri della famiglia del nuovo rettore. Non si è conservato alcun atto amministrativo di rilievo riferibile al breve governo personale dello S., ma possiamo supporre che tutti gli sforzi siano stati indirizzati verso la difesa dagli agguerriti oppositori interni e fuoriusciti.
Nell’estate del 1306 fece sposare la figlia Argentina con Teodoro figlio dell’imperatore Andronico II Paleologo, pretendente al marchesato del Monferrato. Subito dopo fornì al genero l’aiuto militare della Repubblica di Genova contro il suo rivale Manfredo di Saluzzo, a sua volta sostenuto da Carlo II. Questi di lì a poco costrinse i genovesi ad un accordo (novembre 1307), in seguito al quale si impegnò a sostenere i Capitani contro i fuoriusciti in attesa di una riappacificazione e a restituire alcuni castelli del Monferrato ad Opizzino, che riceveva la promessa a titolo privato e personale; in cambio i Capitani promettevano di aiutare l’Angiò a riconquistare la Sicilia. Nell’autunno del 1308 furono stipulati nuovi accordi fra Genova e Carlo II, di cui però si ignora il contenuto.
Mentre si preparava ad estromettere Bernabò, cercò di compattare l’unità familiare attirando dalla sua parte gli Spinola di San Luca, in particolare colui che probabilmente era il capo della casata, Cristiano, anche per allontanarlo da Giacomo d’Aragona.
Arrivò al potere con l’appoggio di una minoranza di nobili, oltre che delle forze popolari che egli manovrava anche attraverso il controllo della «Società dei beati apostoli Simone e Giuda».
Lo stile di vita improntato alla magnificenza tipicamente signorile, di cui faceva sfoggio ancor prima di salire al potere come diarca, la propensione alla demagogia nonché la tendenza dei suoi familiari (il ramo di Luccoli) ad occupare tutte le cariche pubbliche lo resero inviso a buona parte del ceto aristocratico, Doria e Grimaldi in testa. Stando ad un resoconto sulla situazione genovese, presentato all’inizio del 1307 al re d’Aragona dal suo uomo di fiducia e informatore Cristiano Spinola (del ramo di San Luca, avverso ai diarchi), essi erano circondati da un tale clima generale di ostilità che le misure di sicurezza personale che erano costretti ad adottare incidevano sulle finanze comunali per somme ingentissime. Nonostante le possibili esagerazioni che è lecito sospettare di fronte ad una opinione di parte, è vero tuttavia che l’avversione nei confronti dei Capitani era palese e insostenibile. Vi era invece sostanziale unità di vedute sulla politica da adottare nel Mediterraneo orientale, in particolare sull’opportunità di sostenere il Paleologo contro Carlo di Valois.
Dopo che Opizzino si insediò come unico signore anche quei Doria che fino ad allora avevano appoggiato Bernabò divennero suoi aperti oppositori, mentre poté contare principalmente sul consenso popolare e sull’appoggio dei suoi congiunti fra cui Teodoro di Monferrato suo genero. Cercò inoltre il favore di Clemente V, da cui ottenne alcuni benefici a favore di cittadini genovesi tra i quali alcuni suoi parenti stretti.
Cacciato dagli oppositori (un gruppo composto dai Doria e altri nobili, fra i quali alcuni degli Spinola, oltre che da rappresentanti del ceto popolare) che in seguito al colpo di stato da lui attuato avevano lasciato la città per reclutare uomini armati da impiegare contro di lui.
Archivio di Stato di Genova, Atti del notaio Tommaso di Casanova, reg. III, parte I, cc. IIIv.-112r. (contengono copia degli anni Trenta del Trecento tratta «de magno volumine capitulorum Comunis Ianue», relativa all’attività legislativa e di revisione statutaria seguita all’insediamento dei due Capitani; copia del 1324 degli accordi di pace fra Capitani e fuoriusciti stipulati nell’inverno del 1307).
Georgii et Iohannis Stellae Annales genuenses, a cura di G. Petti Balbi, Bologna, Zanichelli, 1975, pp. 72 ss.; Goria, A., Le lotte intestine in Genova tra il 1305 e il 1309, in Miscellanea di storia ligure in onore di Giorgio Falco, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 251-280; Petti Balbi. G., Un ‘familiare’ genovese di Giacomo II: Cristiano Spinola, in «Medioevo. Saggi e rassegne», XX (1995), pp. 113-134 (ora anche in Ead., Governare la città. Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, Firenze, Firenze University Press, 2007, pp. 169-185; Promis, V. (a cura di), Continuazione della cronaca di Jacopo da Varagine dal 1297 al 1332, «Atti della Società ligure di storia patria», X (1874), pp. 493-511: 501; Salavert y Roca, V., Cerdeña y la expansion mediterránea de la Corona de Aragón (1297-1314), Madrid, Consejo superior de investigaciones cientificas, 1956, 2 voll., II (appendice documentaria), passim.