di:
Piero Gualtieri
? – 10 marzo 1331
Vedi scheda famigliare.
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Capitaneus Terre de Colle (1326).
Esponente di uno dei principali lignaggi colligiani, al vertice della società cittadina fino dal XII secolo, nel corso degli anni venti del Duecento Albizzo venne consolidando in forme istituzionali una preminenza politica e sociale che datava almeno al decennio precedente. Più volte oratore nei Consigli, ufficiale e ambasciatore del Comune, nell’agosto del 1322 venne eletto – lui membro di un lignaggio magnatizio – Capitano del popolo di Colle, riuscendo a rinnovare e a conservare la carica (che aveva durata semestrale) ininterrottamente fino al 1326. Nel settembre di quell’anno, nel pieno della lotta contro Castruccio Castracani e il ghibellinismo toscano, quando anche a Colle si affermava la coordinazione angioina guidata da Carlo di Calabria, egli ottenne dal governo cittadino la nomina a Capitano a vita.
L’11 settembre del 1326, i dodici difensori e governatori della terra di Colle – fra cui vi era anche il fratello di Albizzo, Agnolo –, magistratura di vertice del Comune, sulla base degli ampi poteri loro concessi tre giorni prima dal Parlamento cittadino riunito allo scopo di ratificare la concessione della signoria sulla città a Carlo di Calabria, decisero di nominare Albizzo Capitano a vita (alla morte di questi l’incarico sarebbe passato ai suoi discendenti). Ottenuta in tal modo la carica, il 28 settembre egli si sottomise spontaneamente a Carlo, che di fatto lo confermò al potere.
L’esperienza signorile di Albizzo abbracciò quasi un decennio, diviso grosso modo a metà dalla concessione del capitanato a vita. Dal punto di vista istituzionale, egli mantenne sostanzialmente inalterato l’assetto del Comune, conservando in pratica l’intero complesso delle magistrature colligiane. Lo strumento diretto per l’attuazione del suo dominio fu la carica di Capitano del popolo, che nella prima fase ricoprì grazie alla reiterazione dell’incarico dal 1322 al 1326. Tale carica gli garantiva un ruolo di primo (ancorché indiretto) nella conduzione delle attività del governo cittadino, e una certa preminenza sul complesso degli ufficiali forestieri (sul Podestà innanzitutto). In ogni caso, fu quasi sicuramente la sua capacità di controllare il collegio dei dodici difensori, vertice del Comune colligiano, a consentirgli di gestire le leve del potere. La perdita dei registri di deliberazioni consiliari relativi al periodo della sua signoria non ci consente di valutare nello specifico le eventuali strategie politiche e istituzionali da lui messe in atto, tuttavia sappiamo che la sua attività politica si accompagnò ad un’attenta e operosa gestione delle finanze familiari. In questo senso acquistano ulteriore rilievo le figure dei fratelli, Agnolo e Desso, che lo affiancarono in maniera attiva – anche se sempre in posizione subordinata – in entrambi gli ambiti. A prescindere dalle diverse strategie eventualmente messe in atto, Albizzo riuscì comunque a lungo a mantenersi saldo anche rispetto alle pressioni esterne, come dimostra la vicenda di Carlo di Calabria. La concessione all’angioino della signoria su Colle, gestita con ogni evidenza dallo stesso Albizzo, evidenziò di fatto la subordinazione di questi a Firenze, ma ne rafforzò parimenti la posizione sul piano interno, dal momento che egli seppe sfruttare la situazione per acquisire la nomina a Capitano a vita. Tale acquisizione in ogni caso non ebbe ripercussioni evidenti sulla struttura istituzionale del Comune né sulle modalità di gestione del governo da parte di Albizzo, che continuò ad agire in sostanza secondo gli stessi schemi del periodo precedente.
L’ascesa ed il consolidamento al potere di Albizzo avvenne all’interno di un contesto politico ed economico caratterizzato dalla crescente influenza di Firenze (e in misura minore di Siena). La stessa famiglia Tancredi, come riportato dal Villani, era imparentata con l’importante lignaggio magnatizio fiorentino dei Rossi, ed era più in generale in stretti rapporti con alcune famiglie di vertice della classe dirigente fiorentina. L’importanza e la profondità di tali rapporti sono testimoniati in maniera evidente dalla concessione della cittadinanza fiorentina (estesa anche ai fratelli Agnolo e Desso), operata a suo favore nel marzo del 1326 quando egli dominava ormai da quattro anni la scena cittadina, così come dalla sottomissione di Colle alla coordinazione angioina facente capo a Carlo di Calabria. Il complesso rapporto con Firenze non si risolse comunque affatto in un semplice legame di più o meno diretta dipendenza di Albizzo dalla città dell’Arno. Sia durante il perdurare del conflitto con Castruccio Castracani, signore di Lucca, che dopo la sua caduta, egli mantenne infatti un atteggiamento che potremmo definire politicamente spregiudicato, non disdegnando di intessere relazioni con il mondo del ghibellinismo toscano. Proprio l’insistita ricerca di spazi di manovra politica ed economica che allentassero la pressione di Firenze (o che fossero comunque da questa indipendenti), fu tra le cause principali della sua caduta, allorquando i fiorentini, scottati dalla sua condotta fraudolenta in merito alla loro richiesta di approvvigionamento granario in un periodo di forte carestia, lo avversarono apertamente, e sostennero con ogni probabilità in maniera attiva la rivolta del marzo 1331.
Albizzo era arciprete della chiesa colligiana. Tale titolo, per le complesse vicende relative alla nascita stessa del Comune di Colle, rivestiva da sempre un ruolo politicamente rilevante all’interno dello specifico contesto cittadino, ed è quindi più che probabile che abbia influito in maniera significativa nella definizione del percorso politico di Albizzo. Non sappiamo tuttavia in che modo egli ottenne il beneficio, né possediamo elementi sufficienti a chiarire quali furono le ricadute specifiche sulla sua condotta o sulla sua attività di governo.
L’ascesa di Albizzo, così come il suo consolidamento al potere, fece sicuramente leva sulla fitta rete di relazioni (sia parentali che politiche ed economiche) che la famiglia Tancredi possedeva all’interno della società colligiana e non solo, e che abbracciavano tanto il gruppo di famiglie magnatizie e nobiliari della città e del territorio, quanto il mondo popolare. Le fonti in nostro possesso non ci consentono di valutare con precisione l’evoluzione della scena interna di quegli anni, ma è indubbio che la politica di autonomia da Firenze promossa da Albizzo con sempre maggiore convinzione sul finire degli anni venti dovette alienargli buona parte del sostegno di cui aveva goduto in precedenza. In particolare fra le famiglie dell’élite colligiana furono i Da Picchena, magnati che pure erano imparentati con gli stessi Tancredi e che ne avevano appoggiato l’ascesa, a guidare la congiura che pose fine al dominio e alla vita di Albizzo.
I giudizi a noi pervenuti sulla figura e sull’operato di Albizzo sono in pratica tutti di matrice fiorentina, e sono accomunati da una valutazione fortemente negativa. Il Villani, in particolare, racconta nella sua Cronica come Albizzo e i fratelli “teneano la terra a modo di tiranni, soppressando disordinatamente il popolo e chiunque avea podere ne la terra”. Più del carattere tirannico della dominazione, comunque, ciò che i fiorentini gli rimproverarono maggiormente fu la doppiezza politica e umana: “era amico di Castruccio tutto si tenesse Guelfo”; “al tempo del caro [del grano] fu molesto al popolo di Firenze di fare divieto e non lasciare venire vittuaglia a Firenze” (su quest’ultimo episodio si veda l’invettiva contro Colle del biadaiolo Domenico Lenzi: “O ingratissima e insensata Colle di val d’Elsa! Nemicha perfectissima di virtù; porto di puzzolenti vicii; a ogni bene contraria; dispettissima tra’vicini; obbrobbio non piccolo di tutti tuoi amici; sanguinosa bestiuola!”).
Morte di Albizzo, che venne ucciso in un agguato sulla piazza di Colle il 10 marzo 1331. Nella stessa occasione morì anche il fratello Agnolo. L’altro fratello Desso, ferito nel corso della zuffa, venne quindi imprigionato e in seguito strangolato.
La documentazione sulla signoria di Albizzo è relativamente scarsa. I registri di delibere consiliari del Comune di Colle relativi agli anni del suo dominio sono andati perduti. Rimangono alcuni atti singoli, conservati – come l’intera documentazione di pertinenza del Comune – presso gli Archivi di stato di Siena e (in misura minore) di Firenze.
Fonti: G. Pinto, Il libro del biadaiolo: carestie e annona a Firenze dalla metà del ‘200 al 1348, Olschki, Firenze, 1978, ad indicem; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Guanda, Parma, 1990-1991.
Studi: R. Davidsohn, Storia di Firenze [1896-1908], 8 voll., Sansoni, Firenze 1956-1965, IV, pp. 1058-1059; O. Muzzi, Attività artigianali e cambiamenti politici a Colle Val d’Elsa prima e dopo la conquista fiorentina, in La società fiorentina nel basso medioevo. Per Elio Conti, a cura di R. Ninci, Istituto storico italiano per il medio evo, Roma, 1995, pp. 221-253, pp. 226 e segg.; O. Muzzi, I rettori forestieri a Colle val D’elsa (secolo XIII – 1350), in I Podestà dell’Italia comunale, Parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.), a cura di J.C. Maire-Vigueur, Istituto storico italiano per il medio evo, Roma, 2000, pp. 681-690; O. Muzzi, Le gerarchie locali di Colle Valdelsa e la formazione del dominio fiorentino (sec. XIV-XVI), in Lo stato territoriale fiorentino, secolo XIV-XV, ricerche linguaggi confronti. Atti del seminario internazionale di studi, San Miniato 7-8 giugno 1996, Pisa, Pacini, 2001, pp. 431-460; R. Ninci, Colle Val d’Elsa nel medioevo. Legislazione, politica, società, Monteriggioni, Edizioni Il Leccio, 2003, ad indicem.