di:
Gabriele Taddei
…-settembre 1295.
Luglio 1288-marzo 1289.
Pisa.
Le notizie più risalenti della casata Ubaldini vedono esponenti di tale famiglia partecipare attivamente, nel corso dell’XI secolo, in qualità di membri delle clientele marchionali e della vassallità vescovile, ai placiti che si tenevano in territorio fiorentino. Concentrati progressivamente i propri interessi nell’area appenninica tra la Toscana e la Romagna, dove anche le più antiche fonti attestano un originario radicamento famigliare, gli Ubaldini edificheranno un dominato signorile assai ampio e coeso che, comprendendo buona parte del Mugello, si spingerà a nord verso la valle del Santerno e ad est nell’alta Val di Sieve. I reiterati privilegi che durante i regni di Federico II ed Enrico VI confermarono tali diritti, garantendogli una indiscutibile legittimazione istituzionale, cementeranno parimenti una fedeltà imperiale che contraddistinguerà in modo univoco tutta la storia del casato. Del resto la collocazione del patrimonio familiare lungo le principali arterie di collegamento tra Firenze e Bologna porterà queste due città ad intraprendere continue spedizioni contro i dominati degli Ubaldini, rinsaldandone ulteriormente la collocazione intransigentemente ghibellina.
Per quanto divisasi in vari rami, la famiglia manterrà attorno ai suoi estesi domini signorili una notevole coesione che le permetterà di resistere lungamente alla continua pressione fiorentina, rappresentando anzi un polo di aggregazione per tutte quelle forze antagoniste alla città guelfa.
Tra gli esponenti più rilevanti del casato, deve essere menzionato il cardinale Ottaviano, zio di R. Nonostante l’ambiguità del suo operato, ispirato al tradizionale orientamento politico famigliare, egli raggiunse in curia un'influenza spropositata che si concretizzò nella capacità di condizionare una notevole parte delle elezioni vescovili dell’Italia centrosettentrionale.
Il Comune e la cittadinanza di Pisa riconobbero a R. nel luglio 1288 i titoli di dominus, rector et gubernator comunis Pisani.
Scalzando dalla loro posizione i due precedenti signori Ugolino della Gherardesca e Ugolino Visconti detto Nino e quindi venendo riconosciuto dallo stesso comune pisano dominus rector et gubernator.
Già nel corso dei primi mesi del 1288 il regime dei due Ugolini aveva manifestato profonde smagliature. Ad una prima deposizione dei due signori, che aveva condotto alla loro sostituzione nelle cariche di Podestà e Capitano del Popolo con il bergamasco Guidoccino de’ Bongi, era però presto seguita una restaurazione del vecchio regime ed una piena reintegrazione dei duumviri. Fu appunto R., arcivescovo cittadino consacrato nel 1278, a riorganizzare sotto la sua personale guida il vasto schieramento antiugoliniano. Esso includeva da un lato buona parte dell’aristocrazia cittadina di tradizionale fedeltà ghibellina, ostile per il suo orientamento politico al regime sempre più dichiaratamente filoguelfo dei diarchi; dall’altro una porzione consistente del Popolo, pur esso di pulsioni filoimperiali, ed i cui traguardi nel reggimento cittadino -conseguiti a partire dalla metà del secolo XIII- erano stati fortemente compressi dalle scelte dei cosignori. Né si deve tacere il sostegno che l’arcivescovo poteva ricevere dai membri del clero secolare e regolare pisano i quali, nel corso del “rumore” che porterà alla deposizione di Ugolino e Nino, non esiteranno, a detta di numerose cronache, ad imbracciare le armi partecipando attivamente alla sommossa. Forte di un così esteso appoggio, R. poté del resto fidare sugli abboccamenti da lui personalmente intrapresi presso i Genovesi, nelle cui carceri erano ancora tenuti prigionieri i cittadini pisani catturati in occasione della battaglia della Meloria i quali rappresentavano un forte gruppo di pressione sempre più ostile al regime ugoliniano. Lo stesso Fazio Novello di Donoratico, parente di Ugolino, dalla prigionia genovese aveva fatto giungere a R. i suoi incitamenti alla sollevazione contro un regime che, tradendo la fedeltà ghibellina di Pisa, neppure era riuscito a conseguire la rapida scarcerazione di quanti erano trattenuti, come lui, da una città guelfa.
L’opportunità di deporre (e sostituirsi) ai due signori fu sicuramente garantita all’Ubaldini dai contrasti che sempre più chiaramente dividevano i diarchi. Le cronache tratteggiano infatti un possibile accordo preliminare per disfarsi di Nino intessuto tra il presule ed Ugolino. Ed in effetti il 30 giugno 1288, alla guida di un gruppo di aristocratici ghibellini ed ecclesiastici fedeli, l’arcivescovo marciò contro il Palazzo del Comune mettendo in fuga il Visconti; e nel medesimo pomeriggio R. fece convocare il conte di Donoratico, nel frattempo defilatosi fuori città in attesa degli eventi, al fine di proporgli d’essere «suo compagnio in dell’officio e Signore insieme co lui». Nondimeno, il totale sovvertimento del precedente regime sarebbe stato raggiunto il giorno successivo quando, alzando il grido «a l’arme, a l’arme», l’Ubaldini guidò i tumultuanti contro il Palazzo del Popolo dove il Gherardesca s’era rifugiato.
Catturato Ugolino e gettato insieme ai suoi congiunti nella Torre della Muda, dove -com’è noto- sarebbe morto per fame, «il venerabile Padre Messere Rogieri de Ubaldini Arcivescovo Pisano fu fatto e eletto Signore e Rectore e Governatore del Comuno di Pisa». Fu dunque la stessa cittadinanza pisana, sotto l’incalzare dei tumultuosi eventi, a riconoscere quale nuovo signore cittadino colui che si era posto alla guida del moto, pur sulla scorta di cariche e titoli che non sembrano coincidere esattamente con quelle precedentemente assegnate ai due deposti diarchi.
L’anonima cronaca nota con il titolo di Fragmenta historiae pisanae che descrive analiticamente il moto del giugno-luglio 1288 appare di contro assai reticente, al pari di tutta la restante documentazione coeva, nel fornire indicazioni relative alle modalità con le quali l’arcivescovo esercitò il potere tributatogli. Sembra logico ipotizzare che il nuovo regime di R. si sia avvalso degli strumenti istituzionali elaborati nel corso di quella precedente esperienza ugoliniana contro la quale ci si era appena sollevati, nel segno dunque di una sostanziale continuità, se non negli indirizzi politici, quantomeno nelle forme di gestione del potere.
Nondimeno è pur vero che il titolo riconosciuto all’Ubaldini, dominus, rector et gubernator, così esplicito nella sua connotazione signorile, sembra segnare una netta cesura col passato governo durante il quale i diarchi avevano esercitato le loro podestà sulla scorta di uffici pienamente riconducibili alle ordinarie magistrature comunali, pur irrobustite smisuratamente attraverso il conferimento di larghi margini di arbitrarietà.
A rendere ancor più complessa la decifrazione dell’effettivo valore della parabola ubaldiniana, la constatazione ch’essa appaia contrassegnata da un progressivo, ma assai rapido, allentamento delle prerogative personali di R. I primi due mesi di signoria diretta furono infatti seguiti da un trimestre di vicariato esercitato in nome dell’arcivescovo da Bonaccorso Gubetta di Ripafratta coadiuvato da personale strettamente fedele al presule. Già in novembre si procedette alla nomina di un Capitano del Popolo nella persona di Aldobrandino dei Guidi da Romena, primicerio della chiesa aretina e futuro vescovo cittadino a seguito della morte di Guglielmo Ubertini. Il provvedimento, permanendo il vicariato signorile, tornava a disgiungere quelle funzioni podestarile e capitaneale che, nel precedente regime dei due Ugolini, erano state fuse e collegialmente amministrate. Nel dicembre 1288 infine, una commissione formata da persone ligie all’Ubaldini procedette all’elezione di un ordinario podestà forestiero individuato nel conte Gualtieri di Brunaforte.
Non sembra dunque inopportuno ritenere che R., per suo stesso intendimento o su sollecitazione di quei «certi capi ghibellini di Pisa» che lo avevano affiancato, abbia interpretato il titolo riconosciutogli come connesso in forme stringenti al compito di ricondurre la città nel solco del suo tradizionale ghibellinismo. E per quanto tale incarico si caratterizzasse per una sostanziale indeterminatezza dei poteri, esso doveva intendersi finalizzato al raggiungimento di quello specifico obiettivo. Un compito dunque che risultava inscrivibile in una congiuntura temporanea durante la quale, piuttosto che consolidare istituzionalmente la propria personale posizione, il rector avrebbe dovuto intessere e irrobustire una rete di relazioni attraverso cui indirizzare la vita politica cittadina nei suoi successivi sviluppi.
L’orientamento intransigentemente ghibellino della famiglia Ubaldini aveva sicuramente avuto un ruolo nell’attribuzione a R. della leaderschip del movimento volto ad abbattere un regime che disconosceva la tradizionale collocazione politica cittadina e che, soprattutto a seguito dell’associazione da parte di Ugolino del nipote Nino -ancor più vicino dello zio ai Fiorentini ed allo schieramento guelfo-, veniva tingendosi sempre più apertamente di guelfismo. Alla collocazione politica famigliare, s’aggiungeva la constatazione che Ottaviano, fratello di R., fosse titolare della cattedra bolognese, garantendo a R. dirette connessioni con il robusto ghibellinismo romagnolo cui la città di Pisa guardava alla ricerca di un appoggio contro le rivali guelfe di Toscana. L’Ubaldini poteva inoltre avvalersi di una molteplicità di relazioni tanto all’interno della curia romana quanto all’interno di quella vasta rete di presuli che dovevano la loro elezione all’interessata intercessione dello zio Ottaviano cardinale diacono di Santa Maria in via Lata. Lo stesso Ottone Visconti, arcivescovo milanese e poi signore della città lombarda, era stato uno dei più fidati collaboratori del cardinale e membro della sua “lobby” politico ecclesiastica.
Arcidiacono bolognese fin dal 1264 al fianco del fratello vescovo, R. aveva partecipato alle vicende politiche romagnole in seno a quello schieramento ghibellino uno dei cui leader era il conte Guido da Montefeltro, chiamato successivamente a dirigere le sorti pisane al termine dell’esperienza ubaldiniana.
Dopo aver a lungo ambito al seggio ravennate, R. fu consacrato arcivescovo pisano nel 1278.
Come già ricordato, fin dal settembre 1288 la personale egemonia di R. s’era progressivamente stemperata attraverso la scelta di un vicario, la nomina di un Capitano del Popolo ed infine l’elezione di un ordinario podestà forestiero. Nel marzo successivo, costretta a fronteggiare il vasto schieramento della lega guelfa, la città avrebbe convocato Guido da Montefeltro cui furono assegnati per un triennio gli uffici congiunti di Podestà, Capitano del Popolo e Capitano Generale di Guerra. Solo a seguito dell’investitura di Guido, R. abbandonò in modo definitivo la sua funzione di tutore e supervisore del governo cittadino e, per quanto tra il Montefeltro e l’Ubaldini dovessero intercorrere legami di una certa solidità, l’ascesa del primo configurò l’avvio di una nuova esperienza signorile diversa e distinta da quella appena conclusa.
Sono dunque gli stessi sviluppi della politica cittadina a corroborare l’ipotesi che R. abbia inteso l’incarico conferitogli nel luglio del 1288 come coincidente con il compito di ricondurre Pisa al suo tradizionale orientamento politico. Compiuto tale riallineamento, sanzionato definitivamente dalla convocazione in città di uno dei più intraprendenti condottieri ghibellini, il presule pisano tornò ad iscrivere la propria azione entro i limiti del suo ruolo pastorale.
L’esaurirsi della parabola politica di R. coincise del resto con l’avvio di un’inchiesta conseguente all’accusa inoltrata dall’esule Nino Visconti innanzi a papa Niccolò IV nella quale l’Ubaldini era indicato come il principale responsabile dell’atroce morte di Ugolino e dell’eccidio dei suoi figli e nipoti. Se non è da escludere che l’apertura del procedimento giudiziario possa essere stata una concausa della rapida eclissi politica del vescovo, il processo si trascinò invero stancamente durante la successiva vacanza pontificia ed il breve pontificato di Celestino V. Solo durante quello di Bonifacio VIII, la sentenza privò l’Ubaldini della sua dignità vescovile condannandolo alla prigione perpetua. Ma la contemporanea morte di R., nel settembre 1295, tolse al provvedimento la sua concretezza.
La perdita quasi totale degli atti pubblici del Comune di Pisa anteriormente al 1297 ha ridotto sensibilmente il panorama documentario attraverso il quale studiare le vicende precedenti il XIV secolo. I pur ricchi fondi diplomatici del locale Archivio di Stato sono comunque integrabili da un lato con i documenti conservati presso l’Archivio Arcivescovile e presso quello Capitolare di Pisa, da un altro con la numerosa cronachistica. Del resto offrono nutrite informazione sull’esperienza ubaldiniana non solo le narrazioni pisane, ma anche quelle genovesi, lucchesi e fiorentine.
Fonti: Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, a cura di L.T. Belgrano-C. Imperiale di sant’Angelo, Roma 1929; E. Cristiani, Gli avvenimenti Pisani del periodo ugoliniano in una cronica inedita, «Bollettino Storico Pisano», XXVI-XXVII (1957-58), pp. 3-104; Fragmenta historiae pisanae, in RIS, a cura di L. A. Muratori, XXIV, Bologna 1983, coll. 643-667; P. Silva, Questioni e ricerche di cronistica pisana, «Archivio muratoriano», XIII (1913), pp. 42-53.
Studi: E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronica inedita, «Bollettino Storico Pisano», XXVI-XXVII (1957-58), pp. 27-47; Id., Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1962, M. L. Ceccarelli Lemut, Della Gherardesca, Ugolino (sub voce), in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1989, XXXVII, pp. 41-46; Id., Il conte Ugolino Della Gherardesca: un episodio della storia di Pisa alla fine del Duecento, [1991], ora in Id., Medioevo Pisano. Chiesa, famiglie, territorio, Pisa, Pacini, 2005, pp. 259-284; Id., I Pisani prigionieri a Genova dopo la battaglia della Meloria: la tradizione cronistica e le fonti documentarie, [1984] ora in Ibid., pp. 351-366; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni 1957, ad indicem; L. Magna, Gli Ubaldini del Mugello: una signoria feudale nel contado fiorentino, in I ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII, Atti del secondo convegno del Comitato di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze, 14-15 dicembre 1979), Pisa, Pacini, 1982, pp. 13-63; R. Piattoli, Ubaldini, (sub voce), in Enciclopedia Dantesca, V, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 770-771; R. Piattoli, Ubaldini, R. della Pila (sub voce), in Enciclopedia Dantesca, V, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 772-774; A. Poloni, Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il Popolo a Pisa (1220-1330), Edizioni ETS, Pisa 2004; M. Ronzani, La chiesa cittadina pisana tra Due e Trecento, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII Centenario della battaglia della Meloria, «Atti della società ligure di storia patria», XXIV/2, (1984), pp. 283-347; M. Ronzani, L’arcivescovo R. Ubaldini uomo di Chiesa e uomo di Parte nella Pisa di Fine Dugento, in Momenti di storia medioevale pisana. Discorsi per il giorno di S. Sisto, a cura di O. Banti e C. Violante, Pacini, Pisa, 1991, pp. 117-128; M. Ronzani, Vescovi, capitoli e strategie famigliari nell’Italia comunale, in Storia d’Italia, Annali 9, La Chiesa ed il potere politico, Torino, Einaudi 1986, pp. 99-146; S. Saffiotti Bernardi – U. Bosco, Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico (sub voce), in Enciclopedia Dantesca, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1976, V, pp. 795-800; M. Tamponi, Nino Visconti. Il dantesco Giudice Nin gentil tra Pisa e Sadegna, guelfi e ghibellini, faide cittadine e lotte isolane, Viella, Roma 2010, M. Tangheroni, La situazione politica pisana alla fine del Duecento tra pressioni esterne e tensioni interne, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII Centenario della battaglia della Meloria, «Atti della società ligure di storia patria», XXIV/2, (1984), pp. 83-109.