di:
Maria Teresa Caciorgna
Anni 50 del XIV secolo – 1430.
10 febbraio 1391- 22 giugno 1396.
Signoria sovracitadina, in quanto oltre a Viterbo e il suo contado, Giovanni di Sciarra di Vico era signore di Civitavecchia, Vetralla, Bieda, e altri castelli di famiglia.
Vedi voci Faziolo, Giovanni III, Francesco di Vico. Figlio di Sciarra fratello di Giovanni III di Vico era quindi cugino del precedente signore di Viterbo Francesco di Vico. Al momento della presa di potere egli possedeva la Montagnola (Vallerano, Carbognano e Casamala), Vetralla e Civitavecchia.
Prefectus Urbis dal 1387, cioè dalla morte di Francesco di Vico, signore di Viterbo 1391-1396.
Dopo la fine di Francesco di Vico, il comune di Viterbo fu governato da ufficiali inviati da papa romano che si rivelarono, come già in precedenza, del tutto inadeguati a sostenere la situazione della città e della Provincia del Patrimonio. Il comune di Viterbo accolse il cardinale Pileo da Prata, allora partigiano di Clemente VII. Insieme a lui rientrarono in Viterbo tanti fuoriusciti che avevano scelto le parti del papa francese. Il cardinale Pileo da Prata si dette a riformare il comune con l’elezione di nuovi priori e assunse anche la guida spirituale dal momento che il vescovo era fuggito. Ma il voltafaccia del cardinale da Prata, che passò di punto in bianco al partito romano (era papa allora Bonifacio IX), e voleva imporre ai viterbesi il passaggio al papa romano, generò la ribellione dei viterbesi. Riuniti in consiglio, i cittadini più autorevoli (tanti fuoriusciti ghibellini rientrati) decisero di chiamare al governo del comune il prefetto Giovanni di Sciarra di Vico, che entrò trionfalmente a Viterbo preceduto dalla processione delle arti, il 10 febbraio 1391 fu proclamato signore di Viterbo.
Acclamato signore dal popolo di Viterbo. Bonifacio IX, sempre contrario al dominio del di Vico sulla città, non riconobbe il trattato stipulato tra i romani e i viterbesi e il di Vico secondo il quale egli avrebbe ceduto la città alla Chiesa ma sarebbe rimasto come rappresentante del papa al governo, di analogo tenore erano le proposte in un altro patto che Giovanni di Sciarra aveva stipulato con il legato del papa, e per trovare sostegno aveva scritto una lettera ai cardinali promettendo la restituzione.
La chiamata al governo di Viterbo coronava il disegno dei di Vico di dominare sulla città per Giovanni di Sciarra il risultato era già notevole. Oltre ad occupare la sede di San Sisto non risultano iniziative per il governo cittadino, invece le sue prime preoccupazioni furono di vendicare i nemici della sua casata, con l’esilio e la distruzione di case, riuscì a ricomporre un tessuto clientelare, non esitando a dare in possesso beni di esiliati e di fuoriusciti. Non furono apportate innovazioni negli organi del comune. Raccolte le sue milizie e assoldati i bretoni che si trovavano ancora nel Patrimonio prese a guerreggiare contro i comuni che obbedivano al pontefice romano. La guerra fu accanita in quanto Bonifacio IX per averne ragione coinvolse l’esercito romano, promettendo la restituzione di terre del distretto in mano ai Prefetti. La posta in gioco era il comune di Viterbo rivendicato in ogni lettera dalla Chiesa. I trattati stipulati tra i viterbesi, Giovanni di Sciarra e il comune di Roma ed anche quello dello stesso comune e il legato pontificio, che prevedevano il riconoscimento del ruolo del di Vico non furono accettati da Bonifacio IX.
Giovanni di Sciarra non smentì la tradizione familiare di capeggiare i ghibellini del Patrimonio e i fautori dell’obbedienza avignonese (erano ancora sulla breccia Onorato I Caetani, i figli Luca Savelli). Aveva sposato Anastesella di Orso di Andrea Orsini, ed aveva avuto due figli Giacomo II e Angheramo. Dopo la fine della signoria su Viterbo, Giovanni di Sciarra ricercò legami con il papa avignonese, con Bernabò Visconti ora signore di Siena, fu vicino a Ladislao di Durazzo, continuò a mantenere una funzione di leader nel Patrimonio.
Aveva seguito nelle campagne militari il cugino Francesco di Vico e per brevi periodi assicurato funzioni di governo in alcune città (Amelia, Terni), servizi non assimilabili a cariche.
Non sono ricordati particolari relazioni con il clero viterbese, ma la sua devozione a San Giovanni Battista, particolare patrono di Viterbo è testimoniata dall’atto di venerazione che fece al momento dell’entrata a Viterbo quando, sceso da cavallo, si genuflesse davanti alla creduta reliquia del santo (mento).
Divisione tra i pontefici delle due obbedienze. A livello di sentimento popolare fu più fortunato dei suoi predecessori, perché non risultano moti di piazza contro il suo dominio.
Il guelfo Niccolò della Tuccia biasima la ferocia e violenza contro i nemici viterbesi “Furona facti in Viterbo molti confinati et distraziati assai cittadini et robati: e tristi quelli”.
L’impossibilità degli eserciti romani a sconfiggere definitivamente Giovanni di Sciarra, potrebbe essere stato uno dei motivi per i quali il pontefice Bonifacio IX cercò di arrivare ai patrimoni dei di Vico facendo sposare il fratello Andrea con Giacoma di Francesco di Vico, fatta uscire dal convento dove era rimasta per anni. Nonostante la ricerca da parte di Giovanni di Sciarra, Bonifacio fu irremovibile e delegò al fratello Andrea la soluzione della questione. Braccato e consapevole di non poter resistere a lungo Giovanni di Sciarra si arrese alle truppe ed accettò i patti proposti secondo i quali Viterbo veniva riconsegnata alla Chiesa, a lui restavano Orchia e Civitavecchia fino a terza generazione dietro il censo annuo di un falcone e i ridotti i beni patrimoniali di famiglia. La fine della dominazione fu solo l’allontanamento da Viterbo ma Giovanni continuò la sua azione di contrasto al potere pontificio, aderendo ed aiutando i diversi poteri antagonisti (papa avignonese Benedetto XIII, Ladislao di Durazzo, Bernabò Visconti), Martino V accordò il perdono al di Vico e gli confermò i diritti su Civitavecchia.
ASV, Registri avignonesi, Registri Lateranensi.
A. Theiner, Codex diplomaticus domimi temporalis S. Sedis, III, Romae 1862, O. Raynaldus, Annales ecclesiastici, XVII, Romae 1659, ad annos 1389-1404; Ordo Romanus XV, in J. Mabillon, Museum Italicum, II, Luteciae Paris, 1689, pp. 443-544; Dietrich von Nieheim (Theodericus de Nyem), De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Leipzig 1890; Cronaca del conte Francesco di Montemarte, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., XV, s, a cura di L. Fumi, pp. 251-268; Niccolò della Tuccia, Cronache di Viterbo, in Cronache e statuti della città di Viterbo, a cura di I. Ciampi, Firenze 1872; P. Egidi, Le croniche di Viterbo scritte da frate Francesco d’Andrea, in Archivio della R. Società romana di storia patria, XXIV 1901 ( riedito in F. D’Andrea, Cronica, edizione di Pietro Egidi, 2002); C. Calisse, I Prefetti di Vico, in ibid. X (1887); P. Savignoni; L'Archivio storico del Comune di Viterbo, ibid., XVIII (1895); G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, I, Viterbo 1907; C. Pinzi, Storia della città di Viterbo, Roma 1913, III; A. Esch, Bonifaz IX. Und der Kirchenstaat, Max Niemeyer Verlag Tuebingen, 1969 e la voce Bonifacio IX papa, in DBI, M. Dikmans, Clemente VII antipapa, in DBI; A. Mazzon, Vico, Giovanni (IV) di, in Dizionario storico biografico del Lazio, (Roma 2009), III, p. 1967.