di:
Gian Paolo G. Scharf,
Vito Lorè
1290 circa –1354 ottobre 5.
Bologna, 1350 ottobre- 1354 settembre 10.
Sansepolcro (già Borgo San Sepolcro), 1351 ottobre 31-1354 settembre 10.
Vedi scheda famigliare.
L’antica e nobile famiglia dei Visconti, originaria del contado del Seprio ma presto inurbatasi a Milano, partecipò attivamente alla vita politica di tale città, finendo per egemonizzarne una fazione, quella ghibellina, in opposizione a quella guelfa capitanata dai Torriani. Nel 1276, con la battaglia di Desio, l’arcivescovo Ottone prese il potere in città, fondando una dinastia che si resse al potere (salvo una breve parentesi di ritorno torriano) fino alla sua estinzione con Filippo Maria, nel 1447. Giovanni, come il congiunto Ottone, fece carriera nel capitolo cattedrale e raggiunse quindi la dignità arcivescovile, consolidando così l’egemonia familiare sulla città. Data la sua personalità finché fu in vita fu la figura dominante della famiglia, portando avanti una politica espansionistica non limitata alla sola Italia settentrionale. Scontratosi presto con Firenze, trovò opportuno allearsi con le varie dinastie ghibelline della zona appenninica per condurre la guerra contro la città del giglio su più fronti.
Vedi comunque scheda famigliare.
Per Bologna generalis et generales, perpetuus et perpetui dominus et domini civitatis, comitatus et districtus Bononie, con riferimento a Giovanni e ai suoi nipoti Matteo, Galeazzo e Bernabò.
Non risultano titoli formali per il dominio su Sansepolcro.
Giovanni Visconti acquistò la signoria su Bologna da Giacomo e Giovanni Pepoli, in cambio di 148.500 fiorini, cui avrebbero dovuto aggiungersene altri 30.000 entro sei mesi dalla presa della città; non sappiamo se almeno in parte questa cifra fu effettivamente corrisposta, prima che i Pepoli fossero allontanati da Bologna nel 1351, a seguito di un tentativo di congiura sventato dai Visconti. Il 24 ottobre del 1350 il consiglio del popolo nominò signore di Bologna Giovanni Visconti, cui sarebbero successi i suoi nipoti, Matteo, Galeazzo e Bernabò; il giorno prima Galeazzo Visconti aveva occupato la città con 1200 armati.
Nell’ambito della campagna contro Firenze il V. nel 1351 offrì aiuti alle famiglie nobili della zona aretina e appenninica che in lui trovavano un naturale referente. Con questi aiuti i Tarlati assediarono brevemente Sansepolcro e poi la presero con uno stratagemma (il 31 ottobre, secondo il Farulli), riconoscendone tuttavia il dominio all’arcivescovo.
Giovanni Visconti fu legittimato all’esercizio della signoria su Bologna innanzitutto da due riformagioni del consiglio del popolo, con cui fu nominato signore e furono determinati i suoi poteri. Il secondo atto ricalcava in molti particolari quello analogo per Taddeo Pepoli del 1337. Il Visconti divenne vicario del papa Clemente VI per Bologna nel 1352. L’atto di concessione prevedeva che il vicariato durasse dodici anni, al termine dei quali la città sarebbe passata sotto il dominio pontificio. Alla morte di Giovanni il vicariato sarebbe stato trasmesso ai suoi nipoti, Matteo, Galeazzo e Bernabò. Giovanni Visconti si impegnava a riservare, in Bologna, un corpo di trecento cavalieri a disposizione della Chiesa e a corrispondere annualmente un censo di 12.000 fiorini.
Per Sansepolcro non risulta alcuna legittimazione della signoria.
La signoria dell’arcivescovo su Bologna fu individuale, anche se, nella riformagione del consiglio del popolo che lo designava signore, i suoi nipoti condividevano con lui la titolatura ufficiale. Il nuovo signore volle presentarsi alla cittadinanza nel segno della continuità, ma il suo avvento comportò cambiamenti profondi nell’assetto istituzionale e nei modi di governo.
Il Visconti comunicava le sue volontà per mezzo di lettere, che erano lette al collegio degli Anziani e consoli, registrate come atti del signore e attuate senza essere sottoposte a discussione. Dopo che commissioni ristrette di sapientes, appositamente nominate, avevano espresso il loro parere tecnico sulle questioni poste dal signore, le decisioni in merito erano prese dal podestà e soprattutto da due figure introdotte ex novo nel sistema istituzionale: il capitano (o luogotenente) e il vicario generale.
Il primo era il vero rappresentante del signore: aveva il comando militare della città e di tutto il contado, presiedeva alla cura delle fortificazioni, conduceva personalmente le operazioni belliche e aveva facoltà di nominare ufficiali che lo coadiuvassero in queste mansioni. Aveva una sua corte e una sua cancelleria ed era stipendiato dal comune, come gli altri ufficiali signorili; poteva dirimere personalmente controversie giudiziarie che riguardassero da vicino i suoi ambiti di intervento. Nel 1353 l’arcivescovo milanese limitò, ma non abolì, quest’ultima facoltà del capitano.
Il vicario generale presiedeva il consiglio degli anziani e consoli (funzione un tempo propria del capitano del popolo) e il consiglio dei quattrocento, un’altra novità istituzionale di epoca viscontea. Il vicario era il punto di mediazione attraverso il quale la volontà del signore era comunicata alle principali assemblee cittadine e lì rielaborata: controllava entrate e uscite dell’amministrazione comunale e nominava gli ufficiali minori, insieme con gli Anziani; a lui ci si poteva appellare per le cause civili (il primo grado di giudizio spettava al podestà); controllava l’operato di tutti gli ufficiali, anche quelli nominati direttamente dal signore, di cui era, in ultima analisi, il garante e il suo operato non era sindacabile da parte della cittadinanza.
Capitano e vicario generale erano designati direttamente dal signore, come del resto il podestà, in precedenza nominato dal consiglio del popolo, e molti altri ufficiali minori, scelti fra parenti e fedeli, soprattutto lombardi. Le capacità di redistribuire risorse da parte di assemblee e uffici comunali furono dunque limitate e orientate a favore della clientela signorile; ciò provocò rimostranze da parte delle assemblee bolognesi. L’abolizione del dominus averis, che aveva il compito di controllare l’operato finanziario degli ufficiali, permetteva del resto al signore di disporre in modo sostanzialmente libero delle finanze del comune attraverso i suoi agenti.
Le assemblee persero ulteriormente competenze, rispetto al dominio dei Pepoli e di Bertrand du Poujet. Il consiglio del popolo, per esempio, fu riunito soltanto per l’acclamazione del nuovo signore; il consiglio dei quattromila, che si occupava principalmente dell’elezione degli ufficiali ad brevia, continuò ad agire, ma fortemente limitato dalle nomine effettuate direttamente dal signore. Il consiglio degli Anziani e consoli si occupava dell’amministrazione più ordinaria e quotidiana, mentre il neonato consiglio dei Quattrocento era convocato in relazione ai provvedimenti di maggior peso per il bilancio comunale.
Il signore si riservava un controllo diretto e personale su atti in precedenza riservati alle assemblee e alle magistrature comunali e una sostanziale libertà dalle leggi del comune. Lo si dice esplicitamente in appendice ai nuovi statuti, emanati nel 1352, dove, non a caso, quasi nessuno spazio è dedicato alla disciplina delle due nuove figure preminenti del governo cittadino, il capitano e il vicario generale. Al signore erano inoltrate petizioni da parte del consiglio degli Anziani e consoli, per provvedimenti che avrebbero interessato tutta la cittadinanza; e suppliche da parte di singoli cittadini, che spesso si appellavano a lui per mitigare sentenze già emanate dai giudici bolognesi. Richieste di questo tipo furono così numerose da indurre il Visconti, già nel 1351, ad annullare il diritto di appello.
Anche il governo amministrativo e giudiziario del contado fu profondamente riformato dall’arcivescovo, che lo divise in sette vicariati di estensione simile, i cui capoluoghi erano disposti a corona attorno alla città, abolendo una precedente divisione per podesterie, di ineguale estensione e importanza.
Per Sansepolcro, non abbiamo fonti su questo periodo, ma è probabile che il Visconti, o più probabilmente i Tarlati che lo rappresentavano, nominassero un vicario al vertice del comune Borghese, che continuava per il resto la sua normale amministrazione.
Dopo un primo periodo di conflitto con il legato pontificio Astorgio di Durfort sul versante romagnolo, la sottomissione di Bologna ai Visconti determinò soprattutto un netto cambiamento nei rapporti fra Bologna e Firenze, sua storica alleata. Bologna fu anzi il caposaldo di un’offensiva verso la Toscana dei Visconti ; a comando delle truppe viscontee fu messo il capitano di Bologna, Giovanni Visconti da Oleggio. La guerra ebbe inizio nel luglio del 1351, continuò a più riprese fino alla stipula di una pace, nel marzo 1353, e implicò un pesante e diretto coinvolgimento militare di Bologna. Importante fu anche l’apporto della città alla guerra dei Visconti contro Modena nel 1354, tanto più che l’ultima fase della guerra toccò direttamente il contado bolognese.
Il Visconti era quasi universalmente riconosciuto capo della fazione ghibellina dell’intera penisola e, come detto, tanto i signori delle montagne quanto i centri in cui dominava tale fazione trovavano in lui un naturale punto di riferimento.
A Bologna, nel 1351 Giovanni Visconti impose la nomina a rettore della chiesa di S. Maria di Ponte di Reno di un chierico bolognese, suo famigliare, nonostante il parere contrario del vescovo bolognese. Pur in un momento particolarmente difficile per le finanze cittadine, decretò il mantenimento di tutte le elemosine già elargite dal comune a chiese, monasteri e conventi.
Per Sansepolcro, non risulta alcuna intromissione di Giovanni nella politica ecclesiastica locale, anche per la notevole distanza da Milano.
Giovanni da Oleggio, luogotenenta Bologna dell’arcivescovo, proseguì la fortificazione, già da tempo intrapresa, di Piazza Maggiore e fece costruire due fortezze urbane sul circuito murario: una - con spesa altissima a carico del comune - in corrispondenza di un canale, fra Porta S. Felice e Porta del Pratello, un’altra presso il monastero delle monache del Cestello. Inoltre le torri degli Asinelli e Garisenda furono collegate con un castello di legno, a 30 metri di altezza, per dominare il mercato di Porta Ravegnana.
Fra il natale del 1351 e l’epifania del 1352 un terremoto di notevoli proporzioni colpì Sansepolcro, con molteplici scosse, distruggendo buona parte delle case e delle torri, compreso il campanile (nel quale aveva sede l’archivio monastico insieme con quello comunale). Il Visconti si premurò di mandare 300 muratori e lavoranti per riedificare parte del paese.
Nel 1350 fu coniata una nuova moneta argentea bolognese, con un’immagine di Bologna su una faccia e sull’altra il nome, il cognome e l’arma dell’arcivescovo. Furono istituite feste nuove rispetto a quelle della tradizione cittadina; in particolare fu stabilito che con una cerimonia pubblica, presente il podestà, si dovesse festeggiare il 24 ottobre, anniversario della presa del potere su Bologna da parte del Visconti. L’arcivescovo si impegnò per un rilancio dello Studio bolognese, con concessioni e privilegi per gli studenti e stipendi più alti per i professori.
Da poco insediato a Bologna, Giovanni decretò il rientro di tutti i fuorusciti, ma anche l’ordine di deporre le armi, al fine di evitare nuovi scontri di fazione in città e favorire una pacificazione generale. Secondo le cronache contemporanee, la popolazione accolse senza resistenze le disposizioni. Nel 1351 fu sventata prima ancora di nascere una congiura ordita dai Pepoli, già signori della città, con l’aiuto fiorentino. Nel giugno 1354 la popolazione insorse per il coinvolgimento nella guerra di Modena. La rivolta, secondo le fonti contemporanee non preordinata, ma spontanea, fu repressa sanguinosamente dall’Oleggio, che ne fece giustiziare i capi; fra loro, esponenti delle famiglie Gozzadini e Bentivoglio.
E’ quasi certo che la signoria del Visconti su Sansepolcro riscuotesse il consenso della fazione ghibellina locale, mentre di converso doveva attirare il dissenso di quella opposta. Il generoso aiuto alla ricostruzione del paese dovette procurare un maggior consenso all’arcivescovo, ma con il passare del tempo il comportamento tirannico dei suoi rappresentanti in loco e l’inimicizia che il Borgo nutriva da molto tempo nei confronti dei Tarlati dovettero ridurre drasticamente la sua presa sull’opinione locale.
Le cronache bolognesi contemporanee non riportano giudizi sull’arcivescovo; al centro della loro attenzione è il capitano visconteo, Giovanni da Oleggio, con la sua presenza effettiva in città. È su di lui che si concentrano le critiche della popolazione.
Con la morte di Giovanni (1354) il dominio Bologna passò per brevissimo tempo a suo nipote, Matteo (II) Visconti, prima che Giovanni Visconti da Oleggio, già luogotenente dell’arcivescovo, non rendesse autonomo il suo potere su Bologna, facendosene signore.
Secondo il Farulli, non confermato da altre fonti, il 10 settembre del 1354 cessò il dominio del Visconti su Sansepolcro, ma non sappiamo in quali circostanze; in ogni caso con la pace di Sarzana del 1354 il Visconti dovette rinunciare anche formalmente al dominio sul paese.
Archivio di Stato di Bologna, Provvigioni e riformagioni cartacee; Corpus chronicorum bononiensium, a cura di A. Sorbelli, Rerum Italicarum Scriptores, II ed., XVIII/1, vol. II, Città di Castello-Bologna 1938.
Fonti: M. Villani – F. Villani, Cronica di Matteo e Filippo Villani con le Vite d’uomini illustri fiorentini di Filippo e la Cronica di Dino Compagni, Milano, N. Bettoni, 1834, pp. 63-4, Historia Burgi, in Cronache Quattrocentesche di Sansepolcro, a cura di G.P.G. Scharf, in corso di stampa; P. Pellini, Dell’historia di Perugia, Venezia, G.G. Herz, mdclxiv, pp. 910-2; P. Farulli, Annali e memorie dell'antica e nobile città di S. Sepolcro, Foligno, N. Campitelli, 1713, ristampato a Bologna, Forni, 1980, p. 25.
Studi: L. Coleschi, Storia di Borgo Sansepolcro, Sansepolcro 1886, ristampata in L. Coleschi – F. Polcri, Storia di San Sepolcro, Sansepolcro, C.L.E.A.T., 1966, pp. 43-5, R. Dondarini, Bologna medievale nella storia delle città, Bologna 2000; Idem, Il tramonto del comune e la signoria bentivolesca, in Atlante storico delle città italiane, Emilia-Romagna, 2, Bologna, a cura di F. Bocchi, III, R. Dondarini – C. De Angelis, Da una crisi all’altra (secoli XIV-XVII), Bologna 1997, pp. 28-29; L. Frati, Documenti per la storia del governo visconteo in Bologna nel secolo XIV, in Archivio Storico Lombardo, s. II, 6 (1889), pp. 525-580, E. Guidoni – A. Zolla, Progetti per una città: Bologna nei secoli XIII e XIV, Roma 2000; G. Lorenzoni, Conquistare e governare la città. forme di potere e istituzioni nel primo anno della signoria viscontea a Bologna (ottobre 1350 - novembre 1351), Bologna 2008; A. Sorbelli, La signoria di Giovanni Visconti a Bologna e le sue relazioni con la Toscana, Bologna 1902, rist. an. ivi 1976; Gli statuti del comune di Bologna degli anni 1352, 1357; 1376, 1389 (libri I-III), I-II, a cura di V. Braidi, Bologna 2002; G.P.G. Scharf, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento: istituzioni e società (1440 – 1460), Firenze, L.S. Olschki, 2003, § 1.2.; A. L. Trombetti Budriesi, Bologna 1334-1376, in Storia di Bologna, dir. R. Zangheri, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 761-866.
V. Loré ha curato le notizie relative alla signoria di Giovanni Visconti su Bologna, G.P.G. Sharf quelle relative alla signoria su Sansepolcro.