di:
Francesco Pirani,
Vito Lorè
1307 circa – 1366.
Per Bologna: 1355-1360.
Per Fermo: 1360-1366 .
Le città di Bologna e di Fermo con i loro contadi comunali.
Vedi anche scheda famiglia Visconti.
Giovanni fu figlio di Filippo, visconte di Oleggio, morto durante gli scontri fra guelfi e ghibellini intorno al 1320. Riportata quasi esclusivamente da cronache bolognesi posteriori al governo del signore, la voce che Giovanni da Oleggio fosse figlio naturale dell’arcivescovo Giovanni Visconti appare priva di fondamento; risale forse ad ambienti fiorentini, visto che il primo testimone a riportarla è Giovanni Villani.
Per Bologna: civitatis comitatus et districtus Bononie dominus generalis.
Per Fermo: vicarius generalis Marchiae per la Chiesa romana e signore perpetuo della città di Fermo.
Già luogotenente a Bologna dell’arcivescovo Giovanni Visconti, l’Oleggio si insignorì della città approfittando di alcuni errori di Matteo Visconti, succeduto allo zio Giovanni. Matteo impose una tassa straordinaria di 8000 fiorini e non sanzionò lo strappo del podestà Ottorino Burri, imparentato con lui, colpevole di aver lasciato la città prima dell’esito della procedura di sindacato, avviata normalmente al termine del mandato. Matteo cercò di riversare ogni responsabilità dell’accaduto sull’Oleggio, che però reagì, anticipando in tal modo una probabile rimozione: per convincere la popolazione a designarlo signore della città, propose una riduzione di alcuni dazi, subito però seguita da una pesante crescita della pressione fiscale, e trovò l’appoggio di famiglie della fazione maltraversa (Beccadelli, da Panico, Galluzzi, Lambertini, Sabattini), già oppostasi in passato ai Pepoli e al legato pontificio, il cardinale Bertrand du Poujet. Secondo le cronache coeve, due terzi dei Bolognesi gli giurarono fedeltà e gli altri uscirono dalla città, mentre nel contado gli resistettero, per poco, solo il castello di S. Felice e quello di Bazzano. L’affermazione del nuovo potere avvenne senza alcuna resistenza cruenta.
Nel 1360 il card. Egidio Albornoz concesse all'Oleggio il titolo di vicarius generalis Marchiae per la Chiesa romana e signore perpetuo della città di Fermo, in cambio della rinuncia di questi alla pretese su Bologna.
Nel 1358, in funzione antiviscontea, la Chiesa concesse all’Oleggio il vicariato per Bologna.
Nel 1360 il card. Egidio Albornoz concesse all'Oleggio il titolo di Vicarius generalis Marchiae per la Chiesa romana e signore perpetuo della città di Fermo, in cambio della rinuncia di questi alla pretese su Bologna.
A Bologna una delle prime mosse dell’Oleggio, il 21 aprile del 1355, fu la proposta, accolta dagli anziani e consoli, di ripristinare la magistratura dei domini averis, scelti uno per quartiere, per il controllo dell’operato finanziario degli ufficiali, e di restituire al consiglio dei Quattromila la facoltà di nominare ufficiali ad brevia; Giovanni Visconti aveva quasi annullato questa facoltà, nominando direttamente la gran parte degli ufficiali, scelti fra la sua clientela lombarda. In questo modo l’Oleggio restituiva alle assemblee una quota ampia di partecipazione al governo cittadino e ripristinava un canale fondamentale di redistribuzione di risorse pubbliche, attraverso la nomina ad brevia degli ufficiali. Fra il 1357 e il 1358 l’Oleggio promosse una revisione degli statuti del 1352, emanati da Giovanni Visconti. Era sostanzialmente un gesto di propaganda in funzione antiviscontea: la nuova versione non differiva infatti in modo sensibile dalla precedente. L’Oleggio era normalmente presente in Bologna: l’ufficio di capitano, da lui stesso ricoperto sotto l’arcivescovo Giovanni Visconti, fu riassorbito nel potere signorile stesso. Fu invece mantenuto l’ufficio del vicario generale, introdotto anch’esso dal Visconti, con autorità estesa ora non solo alla città, ma anche al contado. Un’altra novità istituzionale introdotta dalla signoria arcivescovile, il consiglio dei Quattrocento, continuò la sua attività e conservò una posizione gerarchicamente superiore al collegio degli anziani e consoli. Il consiglio del popolo fu invece riunito una sola volta, per riconoscere e confermare il potere del nuovo signore, come già era accaduto sotto l’arcivescovo Visconti.
A Fermo l’Oleggio mantenne immutato l’assetto costituzionale comunale. L’accordo del 1° marzo 1360 con il card. Abornoz prevedeva che la perdita di Bologna fosse compensata con un lauto indennizzo in denaro, pari a 1000 fiorini mensili; prevedeva inoltre l’obbligo per Giovanni di armare 30 cavalieri. Possiamo arguire che la sua lauta provvigione fosse stata in parte reinvestita per la città, dal momento che l’impulso edilizio promosso dall’Oleggio sembra non avesse gravato sulle casse comunali.
Giovanni da Oleggio, osteggiato e assalito in guerra aperta dai Visconti all’inizio del suo dominio autonomo su Bologna, fu sostenuto proprio in funzione antiviscontea da Aldobrandino d'Este, marchese di Ferrara, e da Roberto Alidosi, signore di Imola; in un secondo momento entrò in un vasto fronte antivisconteo che comprendeva, fra gli altri, i Gonzaga di Mantova. All’inizio della sua signoria, inoltre, cercò di stabilire rapporti non conflittuali o di vera e propria alleanza con la Chiesa di Roma e con Firenze, in modo da bilanciare l’ostilità dei Visconti. In entrambi i casi i tentativi non sortirono effetti di qualche peso; nel 1357 anzi Innocenzo VI emanò l’interdetto contro la città per il mancato risarcimento dei danni subiti dal seguito di Betrand du Poujet, al termine della sua signoria su Bologna. L’interdetto fu revocato nel 1358, subito prima del vicariato concesso all’Oleggio.
Per quanto riguarda la fase della signoria su Fermo, non sono attestate alleanze, in quanto in quegli anni la città non sostenne scontri esterni né fu attraversata da rivolgimenti interni.
- A Bologna: durante l’assedio subito dalle truppe viscontee nel 1355, le chiuse e i canali del suburbio furono pesantemente danneggiati. L’Oleggio dispose la costruzione in città di vari mulini mossi da forza animale, uno per quartiere.
- A Fermo: gli anni della signoria dell’Oleggio segnarono una vivace ripresa dell’attività edilizia, attraverso numerosi interventi di restauro e la costruzione di nuove fortificazioni murarie. L’intervento più rilevante fu proprio l’avvio alla fortificazione del Girfalco, tanto che in pochi anni venne realizzato un fortilitium che qualche anno più tardi, nella sua nota descrizione, il cardinale Anglic de Grimoard (1371) non esitò a definire il più inespugnabile delle Marche, oltre a quello che poteva ospitare un maggior numero di soldati. Probabilmente non si trattava di un edificio militare vero e proprio, bensì del rafforzamento con torri e bertesche dei sistemi difensivi dell’acropoli, già in parte esistenti. Giovanni fu il primo signore fermano ad eleggere il Girfalco come luogo di residenza della propria corte e soprattutto delle proprie milizie, inaugurando una tradizione destinata a durare fino alla metà del secolo successivo.
L’Oleggio promosse una sistemazione e un ampliamento della cerchia muraria cittadina. L’intervento si sostanziò nella messa in posa della muratura di quei segmenti della cinta ancora forniti di strutture lignee, ma nel settore meridionale si operò anche un allargamento del tracciato, includendo al suo interno il borgo sorto attorno al monastero benedettino di Santa Caterina.
Verso il 1360 il complesso conventuale di S. Agostino, che si estendeva per notevole ampiezza nel sestiere di Campolege fino alle mura urbane, fu trasformato per volontà di Giovanni: il restauro della cinta muraria aveva provocato in parte l’interramento della chiesa, per cui fu necessaria la sopraelevazione.
Finanziò la costruzione della chiesa di Santa Maria Novella (oggi non più esistente), amministrata dalla Confraternita dell’omonimo Ospedale.
Fuori della città, fu inoltre ristrutturato il porto di San Giorgio e furono anche potenziate le strutture del secondo scalo fermano, Grottammare.
Prima della sua morte, nel 1366, l’Oleggio commissionò un monumento funebre (il Monumento funebre a Giovanni Visconti d’Oleggio): l’arca marmorea, sopraelevata secondo la tipologia del sepolcro a pulpito, porta la firma di Tura da Imola, scultore che qualche anno prima aveva lavorato per il cardinale Albornoz nella fabbrica della rocca di Ancona; l’opera scultorea assume forme auliche e celebrative, che si saldano con la raffinata policromia. Giovanni è rappresentato giacente, rivestito dell’abito di governatore, con cappuccio intorno alla testa. L’opera reca anche uno stemma dei Visconti di Oleggio. Il monumento originariamente era posto in una cappella dedicata a San Giovanni (attualmente si trova nell’atrio della chiesa, dopo la dislocazione settecentesca).
L’Oleggio emanò alcuni provvedimenti in favore dello Studio bolognese, con nuovi privilegi per gli studenti e con migliori condizioni per alcuni docenti di prestigio, fra cui Niccolò Spinelli da Giovinazzo, Giovanni Pagliarisi da Siena, Matteo de’ Nasi da Milano. Non pare però che tali provvedimenti siano stati efficaci: lo stato di guerra permanente attorno a Bologna e le condizioni spesso difficili della vita in città inducevano docenti e studenti a emigrare.
A Bologna nel 1356 alcuni tentativi di uccidere Giovanni da Oleggio furono orditi da Bernabò Visconti, dopo la stipula della pace fra lui e l’Oleggio, al termine di una lunga fase di guerra nel contado. Approfittando, in conseguenza della pace, della presenza in città di un podestà inviato a Bologna da Milano, Bernabò Visconti cercava accordi con famiglie bolognesi ostili all’Oleggio, in particolare i Pepoli e i conti di Panico. La congiura fu prevenuta e alcuni dei responsabili decapitati; ai Pepoli, che l’anno prima avevano militato nell’esercito visconteo contro l’Oleggio, furono confiscati i beni. Altri due tentativi di sopprimere l’Oleggio, alimentati da Bernabò Visconti, furono sventati l’anno successivo. Uno dei due fu ordito da Spinolese Caimbasilica, podestà milanese di S. Giovanni in Persiceto, poi messo a morte con i suoi complici.
Per quanto riguarda Fermo, invece, quella dell’Oleggio fu l’unica esperienza signorile del Trecento nella quale il signore seppe garantirsi un largo consenso. Anche dopo la sua morte la cittadinanza espresse forme di gratitudine nei confronti della sua consorte Antonia Benzoni di Crema, consentendole il libero commercio dal porto secondario di Marano (Grottammare).
Per Bologna la cronaca Rampona esprime sull’Oleggio un giudizio molto duro, per quanto generico, poco amato dai cittadini e responsabile di un pesante fiscalismo.
Pressato per anni dalle truppe di Bernabò Visconti, con l’effetto di una costante difficoltà di approvvigionamento della città, nel 1360 il signore negoziò la cessione di Bologna alla Chiesa, in cambio del vicariato di Fermo, di una provvigione vitalizia annua di 12.000 fiorini d’oro e di molti altri benefici per sé, la famiglia e il seguito.
L'Oleggio mantenne la signoria su Fermo fino alla morte, nel 1366.
Per Bologna: Archivio di Stato di Bologna, Provvigioni e riformagioni cartacee.
Per Fermo: poche le testimonianze a proposito dell’Oleggio nelle pergamene del Fondo diplomatico: si conserva tuttavia copia dell’atto di concessione della città di Fermo a Giovanni e il testamento dello stesso, redatto nel febbraio 1364, che istituì come erede universale la sua consorte Antonia Benzoni di Crema, esecutrice peraltro delle sue volontà (alcuni di questi documenti sono editi nelle note del De Minicis alla cronaca di Antonio di Nicolò, vedi Bibliografia).
- Per Bologna:
Fonti: Corpus chronicorum bononiensium, a cura di A. Sorbelli, Rerum Italicarum Scriptores, II ed., XVIII/1, vol. II, Città di Castello-Bologna 1938; P. Azario, Liber gestorum in Lombardia, in Rerum Italicarum Scriptores, II ed., XVI/4, Bologna 1926-1939; Giovanni Villani, Nuova cronica, ed. critica a cura di G. Porta, Parma 20072.
Studi: L. Frati, La congiura contro Giovanni Visconti da Oleggio, in Archivio Storico Lombardo, XX, fasc. 2 (1893), pp. 1-16 dell’estratto; L. Sighinolfi, Di chi fu figlio Giovanni da Oleggio?, in Archivio Storico Lombardo, XXIX, fasc. 35 (1902), pp. 145-156; Idem, Per Giovanni da Oleggio e la sua casata, ibid., XXX, fasc. 38 (1903), pp. 472-483; Idem, Note genealogiche sui Visconti da Oleggio nel secolo XIV, ibid., XXXV, fasc. 17 (1908), pp. 1-7 dell’estratto; Idem, La signoria di Giovanni da Oleggio in Bologna (1355-60), Bologna 1905; R. Dondarini, Il tramonto del comune e la signoria bentivolesca, in Atlante storico delle città italiane, Emilia-Romagna, 2, Bologna, a cura di F. Bocchi, III, R. Dondarini – C. De Angelis, Da una crisi all’altra (secoli XIV-XVII), Bologna 1997, pp. 29-30; A. L. Trombetti Budriesi, Bologna 1334-1376, in Storia di Bologna, dir. R. Zangheri, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 761-866.
- Per Fermo:
Fonti: R. De Minicis, Annotazioni e giunte alla cronaca fermana di Antonio di Nicolò compilate sulle storie italiane e municipali di Fermo, in Cronache della città di Fermo, pubblicate per la prima volta ed illustrate dal cav. G. De Minicis, Firenze, 1870, pp. 110-120.
Studi: P. Zampetti, L’età gotica: portali, tombe monumentali e statue del XIV e della prima metà del XV secolo, in Scultura nelle Marche, a c. di P. Zampetti, Firenze 1993, pp. 207-241; L. Tomei, Lo sviluppo urbanistico (sezione del capitolo Le fortificazioni di Fermo), in M. Mauro (a cura di), Castelli, rocche, torri, cinte fortificate delle Marche, IV.2, Ravenna 2001, pp. 54-88.
Vito Lorè è autore delle note relative a Bologna.
Francesco Pirani è autore delle note relative a Fermo.