di:
Francesco Bianchi
1277-1328
1313-1327
Vedi scheda famiglia Visconti. La città capitale è Milano.
Vedi scheda famiglia Visconti. Galeazzo era figlio primogenito di Matteo Visconti e Bonacosa Borri, fratello di Luchino, Giovanni, Marco e Stefano.
Capitano del Popolo a Milano nel 1300-1302 e poi capitaneus et dominus Mediolani nel 1322; vicario imperiale e dominus generalis di Piacenza nel 1313; vicario imperiale di Milano nel 1327.
Galeazzo fu associato alla carica di capitano del Popolo dal padre, alla fine dell’anno 1300. Nel 1302 dovette abbandonare Milano in seguito al successo di un ampio fronte antivisconteo, che favorì il ritorno in città dei Torriani. Matteo Visconti recuperò il potere nel 1311, approfittando del clima di pacificazione imposto dalla discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII, e, alla sua morte (1322), che seguì di poco la rinuncia alla signoria in favore del figlio, gli succedette proprio Galeazzo.
A Piacenza, invece, Galeazzo si insediò nel 1313, sfruttando gli attriti che intercorrevano fra le fazioni degli Scotti e dei Landi per convincere Enrico VII a conferirgli il vicariato imperiale sulla città.
Nel 1322 Galeazzo fu riconosciuto capitaneus et dominus Mediolani dal Consiglio generale della città; ottenne il vicariato imperiale di Piacenza nel 1313 e nello stesso anno si fece nominare dal Consiglio cittadino signore perpetuo della città; diventò vicario imperiale di Milano nel 1327.
La breve signoria milanese di Galeazzo (1322-1327) − peraltro già coinvolto nell’attività di governo del padre Matteo − fu contraddistinta da un’interminabile successione di assedi, fughe e scontri politico-militari con le milizie guelfe coordinate dal papato (rappresentato dal cardinal legato Bertrando del Poggetto), cui si aggiunsero gli effetti della condanna per eresia (1322-1323) e la conseguente crociata promossa da papa Giovanni XXII contro i ghibellini lombardi, così come gli attriti con altri esponenti del casato (i fratelli Marco e Luchino e il cugino Lodrisio). In questo clima di accesa conflittualità, la politica di Galeazzo fu tutta concentrata sulla conservazione di un potere reso quanto mai precario dalle continue minacce di forze ostili, presenti dentro e fuori Milano.
A Piacenza, dove fu signore tra il 1313 e il 1322, l’azione di Galeazzo fu molto dura e repressiva, anche sul fronte fiscale e giudiziario. Mirò fondamentalmente a depotenziare le basi di potere che alimentavano le due fazioni locali e assunse risvolti antiecclesiastici, intenti a marginalizzare l’autorità episcopale (il vescovo Ugo da Pillori fu costretto all’esilio) e sfruttare i beni della Chiesa locale per incrementare le entrate finanziarie, con cui pagare gli stipendiari tedeschi che lo sostenevano e le opere di edilizia pubblica che aveva promosso. Non mancarono nemmeno riforme istituzionali, come la riorganizzazione dell’esercito cittadino, a discapito del sistema governativo basato sulle strutture del comune di Popolo.
Le alleanze di Galeazzo furono gestite sulla base della tradizionale adesione dei Visconti allo schieramento ghibellino e filoimperiale, di cui il casato milanese era una riconosciuta componente di coordinamento intercittadino, ma non senza tentativi di conciliazione con la curia avignonese, tuttavia infruttuosi.
La politica matrimoniale del padre Matteo Visconti comportò l’unione tra Galeazzo e Beatrice, sorella del marchese Azzo d’Este e vedova di Nino Visconti di Pisa, giudice di Gallura; da queste nozze, celebrate nel 1300, nacque Azzone (1302), futuro signore di Milano.
Podestà di Treviso nel 1310-1311.
Sia a Milano che a Piacenza Galeazzo fu imputato di usurpazione dei beni ecclesiastici e di violazione dei diritti del clero, similmente al padre Matteo, secondo una logica di affermazione signorile sottolineata a più riprese dalla storiografia lombarda.
A Piacenza Galeazzo Visconti fece radere al suolo alcuni borghi extraurbani, costruire un nuovo ponte sul Po e migliorare le fortificazioni della città. Nel 1325 iniziò la costruzione del castello di Monza, nelle cui carceri (note come “forni”) fu poi rinchiuso nel 1327.
La dominazione di Galeazzo fu osteggiata non solo dalle potenze e dalle fazioni che si identificavano con la parte guelfa e il papato avignonese (che giunse ad accusarlo di negromanzia), ma incontrò resistenze e complotti anche all’interno del proprio casato, al punto che i sospetti di tradimento insinuati dai parenti gli procurarono l’inimicizia dell’imperatore Ludovico il Bavaro e infine la rovina. Non ultimo, va ricordata anche l’estesa rivolta antiviscontea che investì la parte settentrionale del contado milanese (l’attuale Brianza), nell’intervallo 1320-1336, e che trova le proprie ragioni nell’oppressiva politica fiscale di Matteo e Galeazzo Visconti.
La figura di Galeazzo Visconti ha lasciato un ricordo sostanzialmente negativo nella cronachistica coeva (ad es. Giovanni Villani e il cronista di Piacenza Guarino, che lo definì tirannus), sia per le diverse censure ecclesiastiche che lo colpirono, sia per le pesanti accuse − almeno in parte calunniose − circa la sua condotta morale, sia per il carattere spietato, collerico e sleale che gli fu attribuito.
La signoria piacentina di Galeazzo Visconti terminò nell’ottobre 1322, in seguito a un colpo di mano militare promosso dal nobile locale Verzuso Landi, che approfittò dell’assenza del signore, in quel momento impegnato a Milano per assicurarsi la successione all’appena defunto padre Matteo. A Milano, accusato di cospirazione, Galeazzo fu spodestato e fatto incarcerare dall’imperatore Ludovico il Bavaro nel 1327; liberato nel marzo 1328, morì cinque mesi dopo sulla strada per Roma.
Vedi scheda famiglia Visconti.
F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 88-93, 148-204; F. Cognasso, I Visconti, Milano 1966, pp. 88-90, 143-157; L. Besozzi, I processi canonici contro Galeazzo Visconti, «Archivio storico lombardo», 107 (1981), pp. 235-245; P. Castignoli, La signoria di Galeazzo I Visconti (1313-1322), in Storia di Piacenza, III, Dalla signoria viscontea al principato farnesiano (1313-1545), Piacenza 1997, pp. 3-24; M. Fossati e A. Ceresatto, La Lombardia alla ricerca d’uno Stato, in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, a cura di G. Andenna, R. Bordone, F. Somaini e M. Vallerani, Torino 1998, pp. 514-517; G. M. Varanini, Reclutamento e circolazione dei podestà fra governo comunale e signoria cittadina: Verona e Treviso, in I podestà dell’Italia comunale. Parte I. Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.), a cura di J.-C. Maire Vigueur, I, Roma 2000, p. 196; A. Gamberini, Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, ad Indicem; A. Cadili, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano (1342-1354), Milano 2007, ad Indicem; R. Rao, Signorie cittadine e gruppi sociali in area padana fra due e trecento: Pavia, Piacenza e Parma, «Società e storia», 118 (2007), pp. 683-684, 695-697, 700; P. Grillo, Rivolte antiviscontee a Milano e nelle campagne fra XIII e XIV secolo, in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Un confronto, a cura di M. Boutin, G. Cherubini e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 198-199, 208-216. Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia Visconti.
Tra le testimonianze raccolte dagli inquisitori papali per sottoporre Matteo e Galeazzo Visconti a processo per eresia e commercio con il demonio, si trova anche la curiosa deposizione di un prete (Bartolomeo Cagnolati), che nel 1320 riferì di aver ricevuto da Matteo l’incarico di praticare malefici contro papa Giovanni XXII, e di essere stato poi ammonito da Galeazzo, il quale avrebbe paventato la possibilità di sostituirlo con Dante Alighieri qualora non avesse prodotto sortilegi efficaci.