di:
Francesco Bianchi
1351-1402
1378-1402
Vedi scheda famiglia Visconti. La città capitale è Milano.
Vedi scheda famiglia Visconti. Gian Galeazzo era figlio primogenito di Galeazzo (II) e Bianca di Savoia, fratello di Violante.
Conte di Sommières (1360), titolo sostituito con quello di conte di Vertus nel 1361; nel 1379 l’imperatore Venceslao confermò a Gian Galeazzo il vicariato imperiale già goduto dal padre e l’anno successivo (1380) lo proclamò vicario di tutti i domini viscontei, fatti salvi i diritti di Bernabò; dominus di Milano (1385); duca di Milano (1395), con estensione del titolo a tutte le terre del dominio visconteo (1396); conte di Angera e conte di Pavia (1397).
Già associato al potere dal padre, che nel 1375 lo aveva emancipato, affidandogli il governo di alcuni centri soggetti ai Visconti, nel 1378 Gian Galeazzo subentrò definitivamente al defunto Galeazzo (II), ereditandone i domini. Nel 1385 fece arrestare lo zio Bernabò con l’inganno, inscenando contro di lui un processo fondato su false accuse ed impedendo ai cugini ogni tentativo di succedere al padre: in questo modo Gian Galeazzo estese il proprio controllo esclusivo sull’intero Stato visconteo.
Nel 1379-1380 Gian Galeazzo Visconti ottenne dall’imperatore Venceslao il riconoscimento del vicariato su Milano e su tutte le altre terre soggette alla signoria viscontea; nel 1385, dopo il colpo di mano che aveva portato all’incarcerazione dello zio Bernabò, il Consiglio generale di Milano lo riconobbe dominus della città e assicurò la trasmissione del titolo ai suoi eredi maschi; nel 1395 lo stesso imperatore Venceslao gli conferì la dignità ducale sulla città e il contado di Milano, estendendo poi la potestas del duca a tutti i domini viscontei, con ratifica dell’ereditarietà del titolo secondo il principio della primogenitura maschile legittima (1396).
L’8 gennaio 1375 Gian Galeazzo Visconti fu emancipato dal padre, che gli affidò il governo di Novara, Vercelli, Alessandria, Tortona, Valenza e Casale, e la facoltà di fare pace o guerra con il conte di Savoia. Alla morte di Galeazzo (II), Gian Galeazzo ne ereditò i restanti domini e la condivisione della signoria con Bernabò, la cui politica successoria favorevole ai propri figli legittimi e naturali contrastava con le ambizioni del nipote. Subentrato allo zio nel 1385, dieci anni dopo Gian Galeazzo ottenne il titolo ducale, che comportò l’unificazione formale delle terre sotto il suo controllo, quantunque la coesione interna dello Stato visconteo dipese più dalla forte personalità del duca che dall’assetto istituzionale.
Non mancarono, tuttavia, politiche atte a rafforzare la costituzione di un organismo unitario, basato su un apparato burocratico che tendeva a staccarsi dalla tradizione comunale. In questo senso vanno annoverati provvedimenti specifici, che spaziavano dalla revisione degli statuti cittadini (quelli di Milano furono rivisti nel 1396) fino all’introduzione di nuove magistrature, tutte misure tese a stimolare i processi di accentramento amministrativo.
Il fulcro del governo visconteo era rappresentato dal Consiglio segreto, che esercitava funzioni di alta corte di giustizia criminale, ma era anche un organo esecutivo e consultivo che affiancava il signore per la conduzione delle più delicate questioni amministrative, politico-militari e diplomatiche. Al Consiglio di giustizia, invece, competeva la discussione delle cause civili in grado d’appello e, sempre in ambito giudiziario, fu introdotta una normativa per assicurare ai sudditi tutela legale in tutte le città del ducato, a prescindere dai diritti di cittadinanza.
In questo stesso periodo si provvide a sviluppare ulteriormente le funzioni della cancelleria signorile, che fu divisa in diverse sezioni e regolata da procedure più standardizzate per la produzione di un’ampia gamma di atti, come richiesto sia dalla gestione di un dominio molto esteso e composito, sia dalla complessità delle relazioni diplomatiche entro cui si muoveva la politica di Gian Galeazzo. Non solo, le cancellerie e i loro archivi si moltiplicarono contestualmente alla nascita di nuove magistrature centrali, ognuna dotata di un proprio staff di scrivani e notai per la stesura e la conservazione della documentazione scritta.
Anche la riforma dei meccanismi di prelievo fiscale contribuì alla strutturazione di un sistema di governo più centralizzato, a detrimento dell’autonomia finanziaria delle comunità soggette. A questo proposito, va richiamata l’imposizione regolare sia di tributi ordinari che di prelievi straordinari, il ricorso a prestiti forzosi, politiche monetarie piuttosto aggressive, la soggezione delle casse comunali ai tesorieri di nomina signorile. Fu poi introdotto l’ufficio del Magistrato delle Entrate (diviso in Camera ordinaria e Camera straordinaria), presso cui erano discusse le cause di carattere tributario. Nello stesso tempo maturò una gestione delle finanze del dominio ormai completamente separata da quella del patrimonio privato del signore.
L’ampliamento dello Stato visconteo richiese non solo il potenziamento degli organi di governo centrali e la loro eventuale duplicazione a Verona, per la gestione degli affari nei territori veneti controllati da Gian Galeazzo, ma anche l’intensificazione del reclutamento di ufficiali preposti a rappresentare il potere signorile presso un numero crescente di centri soggetti, tant’è che rettori e podestà furono incaricati di segnalare la disponibilità di personale competente ed esperto a livello locale.
Infine, il godimento della dignità ducale conferì a Gian Galeazzo la possibilità di esercitare il diritto di investitura feudale, con cui inquadrare e subordinare le giurisdizioni particolari (laiche ed ecclesiastiche) entro le strutture del suo governo, quantunque in certi casi fu deciso di concedere a certe comunità del contado, specie se di valle o di montagna, più ampi margini di autonomia e un migliore trattamento fiscale.
Gian Galeazzo Visconti fu impegnato sin dai primi anni Settanta del XIV secolo nei conflitti che interessavano i domini piemontesi di Galeazzo (II). Una volta subentrato al padre, Gian Galeazzo intraprese una politica estera autonoma e a volte antitetica rispetto a quella di Bernabò, fino al punto di sbarazzarsi dello zio e contrastare poi i tentativi di rivincita dei cugini e dei loro sostenitori.
In tale contesto si collocano le alleanze antiscaligere promosse da Gian Galeazzo a partire dal 1385, sia per propiziare l’espansione dei propri domini verso est, sia per eliminare Antonio della Scala, che si era schierato a favore di Carlo e Giovanni, figli di Bernabò. L’interesse di Gian Galeazzo per l’area veneta si risolse nel 1387 con la presa di Verona e Vicenza (quest’ultima città fu formalmente sottoposta alla signoria della moglie Caterina, figlia di Beatrice Regina della Scala), non senza il sostegno dei Carraresi, che però finirono presto tra le spire del più potente alleato: nel 1388 anche Padova, Belluno e Feltre furono occupate dalle truppe viscontee.
I successivi obiettivi del dominus milanese si rivolsero verso le città toscane, allertando così Firenze, contro cui Gian Galeazzo fu impegnato per oltre un decennio, non solo sul versante diplomatico-militare, ma anche su quello letterario e propagandistico. I fiorentini potevano contare sull’appoggio di un ampia lega antiviscontea, cui partecipavano alcuni eredi di Bernabò Visconti e cospicue casate imparentate con quel ramo della famiglia milanese. Un primo risultato raggiunto dallo schieramento avverso a Gian Galeazzo fu la riconquista di Padova (1390), dove tornò a insediarsi Francesco Novello da Carrara.
L’accerchiamento intorno ai domini viscontei suggerì a Gian Galeazzo di rivolgersi alla corte di Parigi per trovare sostegno, dietro la promessa di sostenere l’insediamento di Clemente VII al posto di Bonifacio IX e di consentire la formazione di un feudo francese nei territori della Chiesa. L’attuazione del progetto, però, incontrò non poche difficoltà e Gian Galeazzo decise allora di puntare sull’alleanza con l’imperatore Venceslao, da cui infine ottenne la concessione del titolo ducale (1395), che a differenza del vicariato non era facilmente revocabile e soprattutto era immediatamente trasmissibile ai discendenti legittimi. Il processo di dinastizzazione della signoria viscontea costò ben 100.000 fiorini, ma quanto meno affrancò il casato dalla necessità di rivolgersi ai vari corpi territoriali per ottenere di volta in volta la legittimazione del proprio dominio.
In seguito Gian Galeazzo tentò prima l’occupazione di Mantova (1397), ma senza successo, e poi tornò a puntare l’area toscana, dove si assicurò subito il controllo della Lunigiana (1398). L’anno successivo (1399) acquistò Pisa da Gherardo Leonardo Appiani e ricevette la dedizione di Siena. Nel 1400, inoltre, aggiunse ai propri domini Perugia, incoraggiando in questo modo le successive dedizioni di Assisi, Spoleto, Gualdo e Nocera. La morsa che l’espansionismo visconteo stava stringendo intorno a Firenze indusse i fiorentini a reclamare e ottenere l’intervento militare del nuovo imperatore Roberto di Baviera (subentrato al deposto Venceslao), ma la spedizione militare tedesca, che godeva anche dell’appoggio carrarese, cozzò subito contro la migliore organizzazione dell’esercito visconteo (1401) e non sortì alcun effetto.
A questo punto Gian Galeazzo approfittò della situazione favorevole per annettere Bologna ai suoi domini, dopo aver sconfitto le truppe di Giovanni Bentivoglio (1402), e predisporre l’assalto finale a Firenze, che tuttavia non si concretizzò per l’improvvisa scomparsa del duca, morto nel castello di Melegnano il 3 settembre 1402, forse a causa della peste.
Le relazioni parentali che ruotano intorno alla figura di Gian Galeazzo rispecchiano pienamente il suo spessore politico. Si unì in prime nozze a Isabella di Valois (1360), figlia del re di Francia Giovanni II, ma i figli nati da questo matrimonio e la stessa moglie morirono tutti entro il 1380, ad eccezione di Valentina, nata nel 1370. Seguì un tentativo di unione matrimoniale con la corona aragonese, tuttavia mai concluso e osteggiato dallo zio Bernabò, che nel 1380 costrinse Gian Galeazzo a sposarne la figlia Caterina, da cui ebbe i figli Giovanni Maria e Filippo Maria. Nel 1387 Gian Galeazzo concluse gli accordi per la celebrazione del matrimonio tra la figlia Valentina Visconti – inizialmente promessa a Giovanni di Goerlitz, fratello dell’imperatore Venceslao − e Luigi di Valois, fratello del re di Francia e duca di Touraine (dal 1392 duca di Orléans): questa unione prevedeva, oltre a una ricchissima dote, anche la trasmissione del titolo ducale a favore di Valentina e dei suoi discendenti, qualora Gian Galeazzo non avesse procreato eredi maschi.
Il rafforzamento dell’azione di governo riguardò anche i rapporti con la Chiesa, attraverso la riduzione delle immunità fiscali e giudiziarie godute dal clero, la nomina di un ufficiale signorile per la tutela dei luoghi pii, la limitazione degli ambiti d’intervento dell’Inquisizione e soprattutto la piena riaffermazione del diritto di placitazione, che di fatto garantiva il controllo signorile sulla distribuzione di tutti i benefici e gli uffici ecclesiastici del dominio, comprese le cariche episcopali. In questo modo Gian Galeazzo continuò la politica di assoggettamento delle istituzioni ecclesiastiche che già aveva caratterizzato i suoi predecessori, favorito dal tacito consenso del pontefice romano, che a sua volta non era propenso a compromettere i rapporti con una potenza in posizione di ambigua equidistanza rispetto allo scisma. Le imposizioni di Gian Galeazzo furono in parte contemperate dalla concessione del patrocinio a diverse chiese e dal riconoscimento di generose esenzioni fiscali alla cattedrale ambrosiana.
A Gian Galeazzo Visconti è attribuita una significativa attività di committenza artistica e architettonica, fra cui spicca la sua adesione al progetto di costruzione di una nuova e grandiosa cattedrale a Milano, il cui cantiere fu aperto nel 1387, e la fondazione della Certosa di Pavia, iniziata nel 1396. A Milano, inoltre, Gian Galeazzo dispose una profonda ristrutturazione delle fortificazioni urbane e interventi simili furono avviati anche in altre città dei domini viscontei.
Appartengono a una consapevole politica monumentale e celebrativa le disposizioni impartite dal signore per la realizzazione di mausolei e arche sepolcrali per sé e la propria parentela a Pavia e Milano; tuttavia, il lento avanzamento dei lavori e la precoce morte del duca impedirono la conclusione di queste opere, che nell’insieme si ispiravano ai costumi funebri tipici della monarchia francese.
Gian Galeazzo Visconti ottenne da papa Bonifacio IX il riconoscimento dell’Università di Pavia quale Studium generale, e si prodigò per potenziarne le attività, concedendo privilegi e promuovendo l’assunzione dei migliori lettori del tempo, con l’obiettivo di creare un centro di alta formazione per i quadri amministrativi dello Stato e di promozione delle istanze giuridiche e ideologiche a sostegno della causa viscontea. Proprio in riferimento agli aspetti ideologici, va ricordato che il lungo conflitto che oppose Gian Galeazzo a Firenze fu accompagnato da una vivace contesa letteraria e propagandistica tra gli umanisti fiorentini, paladini delle libertà repubblicane, e gli intellettuali al servizio della corte viscontea, che invece sostenevano gli interessi di un forte governo signorile, in grado di superare il particolarismo municipale e garantire la pace in Italia.
Inoltre, Gian Galeazzo arricchì la biblioteca del castello pavese di numerosi volumi, in parte provenienti dalle raccolte di altri signori caduti sotto l’avanzata viscontea (come i Carraresi e gli Scaligeri), e li mise a disposizione di importanti umanisti come Manuele Crisolora, Pietro Filargis, Uberto Decembrio e Antonio Loschi. Fu committente di pregevoli codici miniati, fra i quali si ricorda il celebre Offiziolo del miniatore e architetto Giovannino de’ Grassi.
Gli esordi della signoria di Gian Galeazzo Visconti furono contraddistinti da non troppo velati contrasti con lo zio Bernabò, che evidentemente cercava di limitare il potere del nipote per favorire il primato della propria diretta discendenza all’interno dei domini viscontei. Dopo l’eliminazione dello zio dalla scena politica (1385), Gian Galeazzo dovette contenere i tentativi di rivalsa dei cugini e delle casate a loro legate da rapporti matrimoniali, ricorrendo sia alla forza sia alla promessa di compensazioni economiche.
Va da sé che l’imponente figura di Gian Galeazzo trova frequentissimi riscontri nella produzione letteraria coeva, divisa fra autori filo e antiviscontei, a seconda della provenienza. All’interno di questa contrapposizione, va certamente segnalata la querelle politico-letteraria che oppose due campioni delle cultura umanistica: il vicentino Antonio Loschi, sostenitore e cancelliere di Gian Galeazzo, e il suo antico maestro Coluccio Salutati, cancelliere fiorentino e detrattore del “tiranno” milanese.
Morte di Gian Galeazzo Visconti (1402).
Vedi scheda famiglia Visconti.
Per un primo approccio si rimanda alla voce Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, a cura di A. Gamberini, in DBI, 54 (2000), pp. 383-391 (con dettagliato elenco delle fonti e della bibliografia di riferimento), e ai seguenti studi, per lo più posteriori: F. Tasso, Il progetto ‘della memoria’. Testimonianze documentarie e presenza sul territorio per una ricostruzione dell’attività di committente di Gian Galeazzo Visconti, «Nuova rivista storica», 86 (2002), pp. 129-154; A. Gamberini, Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, passim; N. Covini, Cittadelle, recinti fortificati, piazze munite. La fortificazione nelle città nel dominio visconteo (XIV secolo), in Castelli e fortezze nelle città italiane e nei centri minori italiani (secoli XIII-XV), a cura di F. Panero e G. Pinto, Cherasco (CN) 2009 (Atti del Convegno, Cherasco, 15-16 novembre 2008), pp. 57-59. Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia Visconti.