Visconti, Giovanni


di:
Estremi anagrafici:

1290-1354



Durata cronologica della dominazione:

1332-1354



Espansione territoriale della dominazione:

Vedi scheda famiglia Visconti. La città capitale è Milano.

Origine e profilo della famiglia:

Vedi scheda famiglia Visconti. Giovanni era figlio cadetto di Matteo Visconti e Bonacosa Borri, fratello di Galeazzo, Luchino, Marco e Stefano.


Titoli formali:

Vescovo di Novara (1331); arcivescovo di Milano (1339, titolo riconosciuto dal papa nel 1342); signore generale della città e del contado di Milano (1339); vicario imperiale di Milano, Piacenza, Lodi e Crema (1341); dominus generalis (1350) e vicario papale di Bologna (1351).


Modalità di accesso al potere:

La signoria di Giovanni su Novara fu propiziata dalla nomina a vescovo della città (1331), che gli permise di rivendicare il possesso del comitato novarese sulla base di antichi diplomi imperiali e di imporre così il proprio governo temporale, rovesciando il regime instaurato dai Tornielli e facendosi proclamare dominus generalis della città (1332). Giovanni intese poi questa signoria ecclesiastica come un diritto personale, da lasciare in eredità ai propri successori.

A Milano, dopo la morte di Azzone Visconti (1339), scomparso senza eredi legittimi, gli zii Giovanni e Luchino – già impegnati nella politica viscontea sin dalla dominazione del padre Matteo − ne presero il posto quali domini generales della città, con il formale consenso delle magistrature municipali. Alla morte del fratello (1349) Giovanni rimase il solo dominus dello Stato visconteo, avendo estromesso dalla successione l’unico erede legittimo di Luchino.


Legittimazioni:

Le rivendicazioni signorili di Giovanni quale vescovo di Novara furono approvate da papa Giovanni XXII nel dicembre 1331. La signoria milanese di Giovanni e Luchino Visconti, invece, fu annunciata dal Consiglio generale della città il giorno dopo la morte del nipote Azzone, scomparso il 16 agosto 1339. Nel 1341 i due fratelli ottennero da papa Benedetto XII il vicariato imperio romano vacante su Milano, Piacenza, Lodi e Crema. Nel 1342 Giovanni fu riconosciuto arcivescovo di Milano da papa Clemente VI. Nel 1349, dopo la scomparsa di Luchino, il Consiglio generale di Milano e le città soggette ai Visconti riconobbero formalmente il governo di Giovanni; l’assemblea milanese proclamò anche l’ereditarietà della signoria viscontea, per linea maschile e da legittimo matrimonio. Nel 1350 fu il Consiglio cittadino di Bologna a conferire il titolo di dominus generalis a Giovanni, mentre risale all’anno successivo il conferimento del vicariato papale per questa stessa città da parte di Clemente VI.


Caratteristiche del sistema di governo:

La condivisione della signoria con Luchino (alla cui scheda si rimanda per le parti comuni) fu caratterizzata, almeno fino alla morte di quest’ultimo (1349), da una sostanziale intesa fra i due fratelli e da una presenza piuttosto defilata di Giovanni negli affari secolari dello Stato visconteo. Nel 1349 Giovanni unì nelle proprie mani il governo civile e quello religioso, ricalcando così l’esperienza dell’avo Ottone.

Con Giovanni, arcivescovo e signore di Milano, l’intero complesso di proprietà e diritti sotto il suo controllo – cioè i beni personali, fiscali ed episcopali – furono gestiti da un unico vicario generale in temporalibus, con cui collaboravano diversi altri funzionari (tra cui alcuni campsores), pur attraverso esercizi contabili separati. La somma dei poteri derivanti dalla carica arcivescovile, da quella signorile e dal prestigio del casato permisero a Giovanni di muoversi su diversi piani, talvolta intrecciati fra loro, pur mantenendo distinti i diversi ambiti giuridici e giurisdizionali.

Per quanto concerne le politiche finanziarie, nei confronti del comune di Milano e di altri centri soggetti è attestata la concessione di prestiti da parte di Giovanni, attraverso operazioni creditizie che furono ripetute anche da altri signori del casato, così come l’imposizione di “taglie”, cioè contributi straordinari richiesti alle comunità del dominio.


Sistemi di alleanza:

In alcuni momenti della decennale diarchia con Luchino Giovanni sembrò quasi prendere le distanze dalle iniziative militari del fratello, per allontanare eventuali sospetti di complicità, volendo probabilmente salvaguardare i rapporti con la corte avignonese, preoccupata dall’avanzata viscontea nei domini angioini dell’Italia nord-occidentale, piuttosto che per esplicita ostilità nei confronti della politica espansionistica del fratello stesso. Una volta morto quest’ultimo, infatti, Giovanni ne confermò le conquiste e soprattutto ne proseguì l’azione, potendo contare sul florido bilancio economico ereditato e sulla complicità di alcuni importanti alleati, come i Savoia e gli Scaligeri, nonché sul tacito consenso della corona francese.

Risale al 1350 la presa di Bologna, ceduta dai Pepoli dietro compenso, grazie alla collaborazione dei nipoti Galeazzo (II) e Bernabò Visconti, precedentemente esiliati da Luchino, e non senza proteste da parte di Clemente VI, che alla fine dovette accettare la situazione di fatto in cambio di pingui rassicurazioni finanziarie. Tuttavia, il papato rimase in allarme per la rapida progressione delle conquiste viscontee, che stavano minacciando persino Firenze, con cui però Milano giunse a stipulare una pace nel 1353, a Sarzana. Nello stesso anno Giovanni ricevette anche la dedizione di Genova e quella di Savona, conferendo in questo modo allo Stato visconteo la massima estensione mai raggiunta fino a quel momento.

Rientrano certamente nelle strategie politiche di Giovanni i matrimoni (1350) dei nipoti Bernabò e Galeazzo (II), rispettivamente con Beatrice Regina della Scala, figlia di Mastino II, e Bianca di Savoia, figlia del conte Aimone.

 


Cariche politiche ricoperte in altre citt?:

Legami e controllo degli enti ecclesiastici, devozioni, culti religiosi:

Avviato alla carriera ecclesiastica sin da giovane, nel 1317 Giovanni fu probabilmente (la notizia non è del tutto certa) eletto arcivescovo di Milano dagli ordinari del Capitolo, cui si oppose papa Giovanni XXII − forte della Reservatio ecclesiae Mediolanensis del 1295 − con la nomina in chiave antiviscontea del minorita Aicardo da Camodeia, che negli anni successivi risultava effettivamente titolare della sede metropolitana, pur non potendo insediarsi nel suo ufficio per l’opposizione dei Visconti. Di fatto Giovanni continuò ad esercitare il proprio controllo sui beni della Chiesa ambrosiana, con l’approvazione formale dell’imperatore Ludovico il Bavaro, che nel 1327 emanò un diploma per deporre Aicardo e sostituirlo proprio con Giovanni, costituito iudex ordinarius del clero cittadino e diocesano, con tutti i poteri giurisdizionali specifici della carica arcivescovile.

Nel 1329 l’antipapa Nicolò V conferì a Giovanni il cardinalato, l’ufficio di legato pontificio in Lombardia e quello di amministratore in spiritualibus et temporalibus dell’arcivescovado di Milano, tutte cariche cui rinunciò nel giro di pochi mesi per riappacificarsi con papa Giovanni XXII e ottenere l’assoluzione dalla condanna per eresia rimediata nel 1323, riuscendo comunque a conservare l’amministrazione in temporalibus dei beni appartenenti alla mensa arcivescovile. Divenne vescovo di Novara nel 1331. Dopo la morte di Aicardo fu (ri)eletto arcivescovo di Milano dal Capitolo (1339) e confermato in questa carica per decreto papale tre anni dopo (1342). A prescindere dalle titolarità, la preminenza di Giovanni in seno alla Chiesa milanese è comunque attestata con continuità, forte anche del sostegno garantito da una robusta componente filoviscontea all’interno delle gerarchie ecclesiastiche locali.

Non v’è dubbio che la sintonia prima e la somma poi della carica signorile con quella vescovile, durante i governi di Luchino e Giovanni Visconti, contribuirono alla piena affermazione della dominazione viscontea, sia perché risolvevano immediatamente eventuali possibili contrapposizioni tra poteri secolari e poteri ecclesiastici entro i confini dell’arcidiocesi di Milano, sia perché asservivano definitivamente agli interessi del signore istituzioni, patrimoni e benefici del clero milanese, come d’altra parte avevano cercato di fare anche i predecessori, a partire da Ottone.

I rapporti tra Giovanni e la Chiesa ambrosiana, tuttavia, non vanno interpretati solo nel senso di una progressiva occupazione delle istituzioni ecclesiastiche da parte del potere signorile, occupazione che si traduceva in pratiche di sfruttamento economico, gestione dei benefici per la costruzione di reti clientelari, orientamento della religiosità collettiva e dei culti civici come forma di celebrazione del dominio visconteo (ad es. con la promozione del culto di san Pietro martire in Sant’Eustorgio). Giovanni seppe anche circondarsi di collaboratori in grado di assicurare un’ordinata amministrazione del vasto patrimonio arcivescovile, in maniera formalmente autonoma rispetto al regime signorile e apparentemente rispettosa delle prerogative ecclesiastiche; promosse iniziative di riforma e disciplina presso le comunità religiose milanesi; sostenne e favorì la riorganizzazione delle principali fondazioni ospedaliere di Milano; si prodigò per assicurare il corretto funzionamento dei servizi religiosi anche presso le comunità del contado, facendo leva non solo sulla propria autorità episcopale ma pure su quella signorile. Non ultimo, utilizzò il proprio patrimonio personale per elargire generose donazioni a favore di vari luoghi pii.


Politica urbanistica e monumentale:

A Giovanni Visconti è attribuita un’intensa attività edilizia, che a Milano si concretizzò con la ristrutturazione della sede arcivescovile, l’erezione di un palazzo signorile non ancora ben identificato, ma collegato a quello arcivescovile o al Broletto vecchio, e la costruzione di altro palazzo nei pressi del monastero di Sant’Ambrogio, da utilizzare come residenza estiva. Anche nel contado Giovanni promosse la restaurazione di diversi castelli ed edifici arcivescovili; a Garegnano fondò la celebre certosa (1349).

 


Politica culturale:

Giovanni Visconti si contraddistinse per uno stile di vita sfarzoso, scandito da battute di caccia, solenni processioni, sontuosi banchetti, frequenti acquisti di oggetti lussuosi o opere d’arte, non senza significativi episodi di committenza artistica. Fu probabilmente lui – sebbene l’attribuzione non sia certa − a commissionare la decorazione nella grande sala del castello di Angera, con un ciclo pittorico che celebra le gesta dell’arcivescovo e signore di Milano Ottone Visconti, suo prozio e predecessore, nei confronti del quale si percepì come continuatore, tanto da predisporre la propria sepoltura nella stessa arca funebre presso la cattedrale cittadina.

Nel 1353 accolse Francesco Petrarca a Milano, dove il poeta rimase per otto anni, partecipando anche a missioni diplomatiche per conto della signoria viscontea; nel 1354 il poeta fu chiamato a pronunciare l’elogio funebre in memoria dell’appena defunto arcivescovo Giovanni.


Consenso e dissensi:

Vedi scheda Luchino Visconti.


Giudizi dei contemporanei:

La figura di Giovanni Visconti fu celebrata da molti cronisti coevi, sicuramente impressionati dalla inarrestabile espansione dei domini viscontei e dallo splendore della corte. I milanesi Pietro Azario e Galvano Fiamma (quest’ultimo fu collaboratore di Giovanni Visconti) concordarono nell’attribuire all’arcivescovo un particolare gusto per il fasto e la magnificenza, lodando la generosità nei confronti dei suoi ospiti. Lo stesso Francesco Petrarca fu prodigo di lodi nei confronti del signore che lo aveva accolto a Milano.


Fine della dominazione:

Morte di Giovanni Visconti (1354).


Principali risorse documentarie:

Vedi scheda famiglia Visconti.


Bibliografia delle edizioni di fonti e degli studi:

A. Visconti, Storia di Milano, Milano 19522, pp. 296-298; F. Cognasso, L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 250-251, 285-361; A. Viscardi, La cultura milanese nel secolo XIV, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 594-596; F. Cognasso, Istituzioni comunali e signorili di Milano sotto i Visconti, in Storia di Milano, VI, Il ducato visconteo e la repubblica ambrosiana (1392-1450), Milano 1955, p. 528; F. Cognasso, I Visconti, Varese 1966, pp. 174, 180-218; J.-F. Sonnay, Il programma politico e astrologico degli affreschi di Angera, in Il millennio ambrosiano, III, La nuova città dal Comune alla Signoria, a cura di C. Bertelli, Milano 1989, pp. 164-187; G. Soldi Rondinini, Chiesa milanese e signoria viscontea (1262-1402), in Diocesi di Milano, I, a cura di A. Caprioli, A. Rimoldi e L. Vaccaro, Brescia 1990, pp. 303-309; L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo, a cura di L. Chiappa Mauri, L. De Angelis Cappabianca e P. Mainoni, Milano 1993, ad Indicem; M. Fossati e A. Ceresatto, La Lombardia alla ricerca d’uno Stato, in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale: la Lombardia, a cura di G. Andenna, R. Bordone, F. Somaini e M. Vallerani, Torino 1998, pp. 521-522, 528-530, 531-535; A. Gamberini, Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005, ad Indicem; A. Cadili, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano (1342-1354), Milano 2007; G. Cariboni, Comunicazione simbolica e identità cittadina a Milano presso i primi Visconti (1277-1354), «Reti Medievali Rivista», 9 (2008), pp. 20-25, disponibile all’URL: ‹http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/92› [30.10.2011]. Vedi poi la bibliografia generale sotto la scheda dedicata alla famiglia Visconti.


Apporti nuovi di conoscenza:

Note eventuali: