di:
Gabriele Taddei
1265 ca-1296.
1286-1288.
Pisa.
Tra le più antiche schiatte pisane, i Visconti debbono il loro nome alla carica vicecomitale della quale furono insigniti e le cui ultime attestazioni di giurisdizione si hanno per Pisa nel primo ventennio del XII secolo. Nei decenni successivi, a ragione dei diritti fiscali che il casato pretendeva ancora di esercitare, i Visconti entrarono più volte in aperto conflitto con il nascente Comune, pur venendo in modo relativamente rapido assorbiti entro la sua èlite consolare.
La famiglia, o meglio quella sua singola diramazione che si è soliti far discendere da tal Gherardo, vissuto nella seconda metà del Millecento, continuò del resto ad essere al vertice delle istituzioni pisane anche negli anni a cavaliere tra XII e XIII secolo quando la sperimentazione politica comportò prima la creazione di quattro rectores e quindi una caotica alternanza fra sistemazioni podestarili e consolari.
Se in città i Visconti rappresentarono dunque una tra le compagini parentali maggiormente capaci di ipotecare i principali uffici comunali, sovente in aperto antagonismo al casato rivale dei Della Gherardesca, la famiglia dimostrò vivissime aspirazioni in Sardegna. Nell’isola, attraverso dirette conquiste (avviate agli esordi del Duecento da Lamberto Visconti) e accorte politiche matrimoniali (Ubaldo I di Lamberto sposò Adelasia, figlia di Mariano II giudice di Torres), essa poté assumere, per conto del Comune pisano, il controllo sulla Gallura e, in forme libere da qualsivoglia superiore autorità, quello su Torres. Cittadini a Pisa, i Visconti potevano legittimamente considerarsi Re nei loro giudicati sardi.
Titolare a partire dall’estate del 1286 dell’ufficio di Capitano del Popolo, l’anno successivo N. venne associato al potere dal nonno Ugolino della Gherardesca, cui nel 1285, con la speranza che i suoi orientamenti guelfi potessero facilitare il raggiungimento di un accordo con la minacciosa lega tra Genova, Firenze e Lucca, era stato conferito un podestariato decennale. Già prima del settembre 1287 Ugolino e N. sono qualificati nelle fonti cittadine con il titolo di Potestates et Capitanei, rectores et administratores et gubernatores pisani Comuni set Populi a dimostrazione di una “fusione” delle cariche prima detenute disgiuntamente dai due.
Per quanto le fonti relative all’associazione di N. da parte di Ugolino siano assai lacunose, è possibile affermare che tale scelta abbia risposto ad una molteplicità di stimoli convergenti. Da un lato essa può essere stata indotta dalle pressioni dei partigiani filoviscontei desiderosi di veder ascendere il giovane leader della famiglia ad una posizione di pariteticità nei confronti del signore cittadino, membro della famiglia Della Gherardesca, la quale, per quanto recentemente avvicinatasi ed imparentatasi ai Visconti, ne aveva rappresentato fino alla metà del secolo ed oltre la principale antagonista. Da un altro lato la cooptazione può essere stata una personale iniziativa del conte finalizzata ad assicurarsi l’appoggio di uno dei pochi gruppi guelfi dotati di una certa autorevolezza a Pisa, città di tradizionali orientamenti imperiali. Nondimeno i contenuti della revisione normativa intrapresa dai duumviri nel corso del 1287 adombrano il progetto di Ugolino di pervenire, tramite l’assunzione compartecipata della carica podestarile e capitanale, a nuovi assetti di potere che, superando compiutamente il precedente ordine popolare, conferissero ai diarchi il pieno controllo della politica cittadina.
La legittimazione del potere di N. risulta implicita nell’associazione da parte di Ugolino. Sebbene i due, a partire dalla primavera del 1287, congiuntamente e pariteticamente, detenessero i titoli di Podestà e Capitano, essi conservarono comunque le loro tradizionali residenze: il conte Ugolino rimase infatti nel palazzo del Comune, presso la Chiesa di S. Ambrogio in Castelletto, N. in quello del Popolo, attuale sede della Scuola Normale Superiore.
Allorché N. venne cooptato da suo nonno acquisendo assieme a questo il duplice titolo di “Podestà e Capitano”, Ugo lino poteva vantare due anni di permanenza ai vertici della politica cittadina. In questo biennio, il conte di Donoratico era già riuscito a conseguire il notevole risultato di accedere in via compartecipata a buona parte delle attività dell’Anzianato e delle altre istituzioni popolari.
La fusione delle massime cariche cittadine nelle persone dei “due Ugolini” garantì ora a questi ultimi -grazie ad una revisione dei due Brevi del Comune e del Popolo condotta nel corso del 1287- di arrogarsi facoltà che risultavano ben superiori alla somma dei poteri un tempo assegnati, in via disgiunta, ai due uffici. La coppia di “Podestà e Capitani” si vide infatti riconosciuto il diritto di beneplacito su qualunque provvedimento pubblico, nonché la capacità di esautorare in qualsivoglia momento l’Anzianato. L’ampia discrezionalità attribuita ai duumviri compresse dunque in modo radicale l’autorità di quegli istituti di Popolo che fino a qualche anno prima, durante la podesteria del solo Ugolino, avevano ancora conservato, pur di fronte ad una evidente offensiva del conte, una permanente operatività.
N., nato dall’unione tra Giovanni Visconti e la maggiore delle figlie di Ugolino Della Gherardesca, rappresenta nella sua stessa persona il nuovo corso politico che aveva portato le due principali famiglie dell’antica aristocrazia pisana, un tempo rivali, a convergere sulle medesime posizioni.
N. sposò Beatrice d’Este divenendo cognato di Obizzo. Per quanto la legislazione con la quale il signore di Ferrara soppresse le corporazioni di mestiere della sua città sia fortemente diversa dalla normativa volta a comprimere il peso politico delle Arti pisane, non è mancato chi abbia voluto vedere in quella una sorta di modello al quale i due Podestà e Capitani pisani si sarebbero ispirati.
Per diritto ereditario N. era giudice, e dunque sovrano, del giudicato sardo di Gallura. Nel 1293, ormai esule da Pisa ed in aperta lotta contro la sua stessa città, N. fu Capitano Generale della Taglia di Toscana.
La famiglia Visconti controllava la chiesa cittadina di S. Filippo detta appunto Vicecomitum.
Si devono a Ugolino e N. il riassetto del porto di Pisa tramite la realizzazione di nuove strutture difensive, il potenziamento dell’arsenale, il riattamento delle torri dell’intero circuito e vaste opere di sistemazione urbanistica tra le quali il lastricamento dei lungarni ed il completamento del ponte di Spina.
All’indomani della nomina congiunta, i diarchi pisani si adoperarono ad una drastica revisione della legislazione cittadina. Essa fu attuata tramite la più ampia possibilità di aggiungere, abrogare o modificare disposizioni con la sola limitazione che tale opera trovasse la piena concordanza tra i due. E’ nel contesto di tale attività legislativa, concretizzatasi nella più antica redazione del Breve Pisani Comunis a noi pervenuta, che si inserisce quella ricca normazione volta a ridurre quanto più possibile l’operatività delle istituzioni popolari.
Nel novembre 1287, ultimata la redazione del Breve, tra N. ed Ugolino cominciarono ad emergere contrasti che la tradizione vuole generati dall’assassinio di un seguace del Visconti per mano di un omonimo nipote del conte, detto evocativamente il Brigata. N. dopo un fallito tentativo di far insorgere Pisa contro Ugolino, decise di ritirarsi a vita privata pretendendo, con l’appoggio delle Sette Arti Maggiori, evidentemente intenzionate a recuperare le posizioni perdute, che il conte facesse lo stesso. Il governo della città fu allora affidato a Guidottino Bongi da Bergamo che tuttavia fu destituito allorché Ugolino, col pretesto di ottenere la liberazione di un suo partigiano, marciò in armi sul palazzo del Popolo. Per ampliare il consenso del colpo di mano, il conte ottenne che la reintegrazione dei propri poteri comportasse anche quella del nipote in una integrale restaurazione di quel passato regime diarchico che pure aveva già dato evidenti segni di instabilità.
La restaurazione seguita alla cacciata di Guidottino Bongi non impedì all’estesa opposizione antiugoliniana di organizzarsi in modo più maturo attorno alla figura dell’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini. Il prelato, membro di una delle famiglie di più fervente tradizione filoimperiale, riuscì a coagulare in un’unica alleanza antiugolinana tanto i grandi casati magnatizi d’orientamento ghibellino (Lanfranchi, Gualandi, Sismondi) quanto gli esponenti di vertice del gruppo popolare, pur esso intransigentemente ghibellino, la cui autorità era stata sensibilmente compressa dai diarchi. Forte di un così vasto schieramento, oltre che di abboccamenti presso i Genovesi, l’Ubaldini sfruttò i contrasti nuovamente emersi tra i due signori. Accordatosi con Ugolino, intenzionato a recuperare una posizione di personale ed individuale predominio, Ruggieri fece insorgere la città contro N., che lasciò Pisa il 30 giugno 1288. Alla fine del potere del Visconti sarebbe comunque seguita a breve anche la conclusione della esperienza ugoliniana. Assediato nel Palazzo del Popolo, il Della Gherardesca fu infatti catturato assieme a figli e nipoti, quindi imprigionato e lasciato morire per fame entro la Torre della Muda. Negli anni successivi N. s’impegnò al fianco di tutte le forze guelfe ostili al Comune di Pisa ottenendo finanche la carica di Capitano Generale della Taglia guefa di Toscana. Dopo aver ottenuto la cittadinanza genovese, N. si ritirò nei suoi domini sardi dove morì nel 1296 lasciando per mandato testamentario che, a segno della sua tenace fedeltà guelfa, il suo cuore fosse trasportato e deposto nella chiesa dei frati minori di Lucca.
La perdita quasi totale degli atti pubblici del Comune di Pisa anteriormente al 1297 ha ridotto sensibilmente il panorama documentario attraverso il quale studiare le vicende precedenti il XIV secolo. I pur ricchi fondi diplomatici del locale Archivio di Stato sono comunque integrabili con la numerosa cronachistica. Del resto offrono nutrite informazione sulla signoria dei due Ugolini non solo le narrazioni pisane, ma anche quelle genovesi, lucchesi e fiorentine.
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